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Tortora Enzo - 25 marzo 1984
QUELLE LEGGI CHE CI MINACCIANO
Enzo Tortora deputato europeo

di Enzo Tortora

SOMMARIO: Continua l'opera di diffamazione di giornalisti e giudici contro Enzo Tortora, questa volta accusato di aver minacciato i giudici in occasione della sua elezione al Parlamento europeo. "Non li ha mai minacciati. E' il Paese, è l'Italia ad essere minacciata da queste leggi, da queste procedure medievali, e da un certo giornalismo farabuttesco e subdolo. Ma quello che non possono fare è mettere le manette al mio mandato".

(NOTIZIE RADICALI N. 67, 25 marzo 1984)

Non avevo il minimo dubbio. Dell'incredibile limitazione di un mandato parlamentare, non si parla. E' giusto. Sono problemi gravi. Sono problemi seri e tremendi. Meglio discettare se Tortora ha detto a "Il Mattino" "mi avete rotto le palle". No. Non l'ha detto. Si è trattato di uno dei frequenti casi di pirateria, di brigantaggio giornalistico. E lo abbiamo dimostrato. Ma intanto, oltre che camorrista, esportatore, importatore, consumatore, trafficante di droga, eccomi anche tracotante diffamatore. Un grammo di fango in più non guasta, dopo le tonnellate di infamie con le quali hanno tentato di schiacciarmi. Ti difendi? Sei "querulo".

Gridi che è ignobile, per te come per tanti, stare in galera senza ombra di prova, sulla semplice parola di un pazzo criminale? Sei "irrispettoso", presumi di essere "chissà chi". Affermi di essere semplicemente innocente? "Aspetta". E quanto? "Non si sa. I tempi della giustizia sono lunghi". Io grido, e denuncio perché dal 17 giugno 1983 l'ho provato sulla carne che i tempi di questa Giustizia sono inverecondi, che distruggono fisicamente un uomo. Del resto, lo riconosco, è molto più comodo occuparsi del fatto se un uomo, dopo tredici mesi di atroce privazione della libertà, ha "minacciato i giudici". No. Non li ha mai minacciati. E' il Paese, è l'Italia ad essere minacciata da queste leggi, da queste procedure medievali, e da un certo giornalismo farabuttesco e subdolo. Ma quello che non possono fare è mettere le manette al mio mandato. Mai come oggi mi sono sentito orgoglioso e fiero di essere un deputato radicale. Mai come adesso ho sentito che in questa solitudine, in questa assenza di commenti dei part

iti, in questo silenzio del Parlamento e del governo, sta l'orgoglio nostro e la certezza, definitiva, che ormai questo Paese è in pericolo.

Alla conferenza stampa dei radicali, al mio domicilio, l'altro giorno, poche ore dopo l'ordinanza napoletana che misurava col bilancino, dosando la libertà di un parlamentare a mezzi grammi, un giornalista, ironizzando, ha fatto capire che forse mi sentivo "prigioniero politico". Sarei per loro anche delle Brigate Rosse? Non so se pensava, quel giornalista: spero di no. Ma vorrei rispondergli molto semplicemente: sì. Mi sento "anche" prigioniero politico. Perché oggi, in questo Paese, il golpe inquisitorio e penale ha effetti non meno devastanti o crudeli di quelli di uno Stato totalitario.

Se la democrazia diventa magistratocrazia, è finita. E queste sono le opinioni di un liberale, ma di un liberale vero. Non di quelli che ornano, con le loro barbe fluenti, i congressi dove l'unica atmosfera che si respira è quella della naftalina. Scrivo queste righe dopo altri giorni di tensione e di nausea. Letteralmente: ho nausea. Aspetto, doverosamente (!) che l'ordinanza (spero si accorgano almeno che non è una "sentenza") di rinvio a giudizio mi getti, come è "doveroso", l'ultima verniciata di fango, e poi sarò libero.

Comincerà la seconda fase. Converrà ripeterlo, a certa gente che è abituata a misurare gli altri sul metro di se stessa, e quindi attribuisce ogni viltà a chi non è mai stato vile. Chiederò il mio processo. Lo voglio. Lo esigo. Io non ho mai inteso sottrarmi a nulla. Io non ho paura della Giustizia. La mia coscienza è non solo netta, ma ferita a morte da certi comportamenti. Nausea, ripeto, è la parola giusta. Come non ci si può non accorgere che oggi il "pentito" domina, con la sua ombra proterva, l'intera vita di una società?

Come non si può vedere come la civiltà, la cultura del sospetto divori, squartandola prima col tormento, ogni vita che per malasorte incappa nelle sue spire? La gente rischia di non credere più nella Giustizia. In "questa" Giustizia. Sono infinite, ed è incredibile, le lettere che mi dicono "devi essere realista. Quando sei all'estero, restaci". E io continuo a ripetere: non lo farò mai. Il mio posto è qui. Accanto a chi soffre l'ingiustizia diventata quotidiana. Il mio posto è in questo Paese, che amo nonostante tutto. Il mio posto è qui, per onorare sino in fondo, deludendo i diffamatori, le jene che da un secondo "caso Negri" trarrebbero solo motivo di intima profonda soddisfazione. L'Italia del "te l'avevo detto?" sarà servita di barba e capelli. Io ho un compito, una bandiera, una missione. Non sono un bancarottiere della fede pubblica: sono un uomo che ha capito, un uomo al quale avete fatto capire tutto. E che deve mettere tutto, il suo dolore, la sua umiliazione, il suo disgusto, al servizio degli al

tri. L'"immunità" non deve valere per me solo. Deve valere per tutti. Io voglio che l'"habeas corpus" protegga il cittadino e non tuteli l'onorevole. Sarà un caso, ma i radicali sono gli unici a rifiutare il titolo di "onorevole". E hanno ragione.

Almeno, fino a quando dovremo ripetere che lo Stato di diritto, come Alice, non abita più qui.

 
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