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Spadaccia Gianfranco - 25 marzo 1984
DUE POLITICHE IN ALTERNATIVA
Comunisti e radicali

di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: L'effetto Berlinguer è stato soprattutto l'effetto di un conformismo di regime. Intellettuali di sinistra e vecchi arnesi di destra, dissenzienti di ieri e uomini rotti a tutti i consensi, maîtres à penser mancati e tutori degli equilibri partitocratici si sono dati convegno intorno a una bara non per rendere omaggio a un uomo integro, ma per beatificare una politica. Il vero "effetto Berlinguer" doveva essere il blocco di ogni dibattito interno al Pci. Marco Pannella ricorda, scelta per scelta, tutti gli errori della politica berlingueriana. Gianfranco Spadaccia parla della contrapposizione, a sinistra, fra politica radicale e politica del Pci.

(NOTIZIE RADICALI N. 67, 25 marzo 1984)

La crisi della partitocrazia registra una accentuazione dopo queste elezioni. La "carta Craxi", come carta di riserva se non di alternanza e tanto meno di alternativa, è stata bruciata. E nonostante questo, la Dc rimane ferma al suo minimo storico elettorale. E nonostante questo, si sgonfia il pallone gonfiato del Pri di Spadolini che doveva essere la "saponetta di Cadum" del regime.

Qualcuno ci consiglia, molti ci suggeriscono, anche all'interno del Pr, di indirizzare i nostri attacchi soprattutto verso questi partiti. Essi hanno gravissime responsabilità, soprattutto la responsabilità di non avere alcuna politica, e di limitarsi solo a una gestione cieca del potere, senza alcuna prospettiva, senza alcun disegno, senza alcuna proposta per uscire dalla crisi istituzionale, morale e politica cui l'occupazione partitocratica ha condotto la Repubblica. Il problema centrale della nostra democrazia passa però essenzialmente attraverso la "questione comunista". Ed è su questa che dobbiamo concentrare, con il massimo di forza ideale e politica e con il massimo di chiarezza, i nostri sforzi.

Non è un caso che alle elezioni europee gli unici due partiti che hanno registrato un netto successo politico, e un netto aumento sia in voti sia in percentuali, siano stati il Pci e il Pr. Pannella aveva già drasticamente affermato durante la campagna elettorale che si tratta degli "unici" due partiti sulla scena politica italiana: gli unici che non si presentino al paese come meri apparati di potere, ma come portatori di una politica. Questo è il dato centrale, fortemente emblematico, del risultato elettorale, che non può essere offuscato da considerazioni e valutazioni, giuste e importanti ma secondarie. C'è stato l'effetto Berlinguer, c'è stato effetto Tortora, ma essi hanno enfatizzato la "politicità" delle rispettive immagini e delle rispettive proposte del Pci e del Pr.

L'altra considerazione centrale, per quanto ci riguarda, è che questo successo elettorale radicale è venuto dopo un lungo, ininterrotto, confronto e scontro politico, su tutte le questioni fondamentali, proprio con il Pci e con la sua politica. Un milione e duecentomila elettori si sono riconosciuti nelle liste e nel simbolo del Pr perché si sono riconosciuti - in termini di valori, di concezione dello Stato e della democrazia, di prefigurazione dell'alternativa - in una sinistra radicalmente diversa da quella proposta e rappresentata dal Pci.

Il corporativismo di Stato, l'occupazione partitocratica delle istituzioni o - come la chiamano i politologi - la gestione consociativa del potere hanno avuto e tuttora hanno nel Pci il loro maggiore punto di forza teorico e pratico.

Non c'è possibilità di soluzione democratica della crisi e non c'è possibilità di alternativa democratica se non si batte questo corporativismo partitocratico di regime, e se non si sconfigge questa cultura, questa ideologia, questa politica all'interno del Partito comunista italiano.

Se oggi all'interno del Pci, sia pure in maniera contraddittoria e tortuosa, si comincia a riflettere sulla convergenza con la cosiddetta "componente eversiva" del partito della fermezza (cioè con la P2 e i poteri occulti), questo avviene perché per due anni non abbiamo neppure per un momento cessato, assolutamente isolati, di denunciare l'alleanza Pci-P2. Se nella proclamata continuità con la segreteria Berlinguer la prudenza di Natta sembra sottrarre a coloro che inseguono una politica avventurista la sponda del "governo presidenziale", questo avviene anche perché dal caso D'Urso in poi non abbiamo mai cessato di denunciare i disegni - apertamente e onestamente proclamati da De Benedetti, sottaciuti da Scalfari - di chi si propone di utilizzare la forza del Pci per imporre scorciatoie istituzionali e soluzioni tecnocratiche e autoritarie alla crisi. Mentre gli altri parlavano, con anni di ritardo rispetto a noi, di Gelli, di Ortolani, di Calvi, di Sindona, noi abbiamo avuto il coraggio di parlare delle res

ponsabilità di Pecchioli e di Minucci, e di preoccuparci di coloro che, essendo stati alleati in patti scellerati con Gelli e Tassan Din, ne hanno con tutta evidenza raccolto l'eredità. Siamo stati gli unici ad avere il coraggio di parlare di P-Scalfari.

Non è stato facile e non sarà facile, in un paese in cui i potenti hanno sempre ragione, in cui Scalfari è considerato e osannato come il principe illuminato del giornalismo democratico, e in cui tutta la cultura, di sinistra e di destra (ma esistono più queste distinzioni, esiste più una cultura che non sia di regime?), tutti i mass-media, tutta la classe politica partecipa al rito conformistico e unanimistico della beatificazione non di Berlinguer ma della sua politica.

Le elezioni ci danno misura delle enormi difficoltà che - fra l'apparente trionfo solo numerico del Pci e il disfacimento degli altri - dobbiamo ancora affrontare, in una situazione di solitudine, non necessariamente di isolamento. Ma ci danno anche la misura della potenzialità democratica che esiste nel paese, e della forza che noi possiamo avere.

Chi ci consiglia oggi, all'interno del partito, di occuparci dei Gelli e degli Ortolani già sconfitti anziché di preoccuparci e occuparci di coloro che si candidano a prendere il posto o l'hanno già preso, chi ci accusa di anticomunismo pregiudiziale solo perché non rinunciamo allo scontro politico e ideale con le scelte partitocratiche e per questo non democratiche del Pci, ci indica la strada della spoliticizzazione, cioè la strada della perdita dell'unica forza che abbiamo, che è la forza dell'analisi, e forza ideale e politica. Ma è egli stesso il sintomo di una spoliticizzazione già avvenuta, il sintomo che gli avversari hanno in qualche misura già vinto, o possono vincere. Ed è su questo fronte - quello della lotta politica radicale, quello dell'indicare senza tabù le vere cause della crisi - che il partito va prontamente munito di presidi e di armi non-violente più resistenti ed efficaci, collettive e non individuali.

 
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