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Panebianco Angelo - 25 marzo 1984
UN VOTO CONTRO IL REGIME
Appunti sul successo elettorale del Partito radicale

di Angelo Panebianco

SOMMARIO: Il voto del 17 giugno rivela una forte redifinizione della geografia elettorale radicale. Si stringono le forbici prima molto ampie fra grandi e piccole città e fra capoluoghi e province. Il forte successo a Torino e in Piemonte, nelle regioni meridionali, in Sicilia e Sardegna. Flessione rispetto al '79 a Roma e nel Lazio e nel nord-est. Correlazione fra successo radicale e successo comunista, e perdite democristiane e socialiste. L'influenza del voto di coloro che si astennero e votarono bianco alle ultime politiche. L'effetto Berlinguer: una campagna partitocratica.

(NOTIZIE RADICALI N. 67, 25 marzo 1984)

Sono solo due le strade praticabili per valutare i risultati elettorali: la prima immediata, consiste nell'esame, più o meno accurato, delle percentuali di voto ottenute dai diversi partiti e nel confronto, partito per partito e zona per zona, fra un'elezione e l'altra. La seconda strada - che richiede elaborazioni lunghe e complesse - consiste nell'esame dei flussi elettorali (gli scambi fra un partito e l'altro) delle correlazioni esistenti fra il comportamento elettorale e una lunga serie di fattori socio-economici e culturali.

Poiché ritengo che solo la seconda strada conduca a risultati analitici e interpretativi apprezzabili (mentre la prima porta sovente a grossolani errori di valutazione) e poiché non è qui possibile percorrerla, mi limiterò ad avanzare alcune semplici "impressioni" (nulla di più saranno) sul voto radicale alle elezioni europee del 17 giugno. Con l'augurio che sia possibile, nei prossimi mesi, presentare agli iscritti e simpatizzanti radicali, e in più in generale ai lettori di "Nr", una analisi approfondita e attendibile di quel voto. Restando inteso che qualsiasi discorso sui risultati elettorali radicali deve assumere come termine di confronto le europee del '79 e non le politiche del '83 (sia per ragioni generali di omogeneità fra i tipi di elezioni, sia per "segnali" che appaiono piuttosto chiari).

Si è assistito, innanzitutto, a una forte ridefinizione della geografia del voto radicale. In generale, ma con una rilevante eccezione (Piemonte) si può dire che i radicali vanno (relativamente) male nelle zone ove sono stati in passato elettoralmente più forti, mentre per contro ottengono rilevanti successi - e in alcuni casi dei veri e propri exploit - in zone ove erano in precedenza assai deboli.

I dati disaggregati per regione, ad esempio, mostrano che le perdite più forti (superiori all'1%) rispetto al '79 si concentrano nel Friuli-Venezia Giulia (-2,2) e nel Trentino-Alto Adige (-1,4%), ossia nelle regioni protagoniste delle campagne radicali, comunali e regionali, del '78, nonché in Lazio (-1,2), il tradizionale serbatoio dei maggiori consensi radicali. A parte l'eccezione piemontese i guadagni elettorali vengono conseguiti in Sicilia (+1,1), in Abruzzo (+0,2), in Calabria (+0,4), ossia in regioni nelle quali i radicali avevano in passato (capoluoghi regionali a parte) una debolissima capacità di penetrazione. I dati per province confermano questo quadro. Ma danno anche altre indicazioni: in Sicilia, ad esempio, con l'unica eccezione di Agrigento (-0,3) la crescita rispetto al '79 è uniforme in tutte le province con i picchi collocati a Palermo (+1,4), a Messina (+1,5), a Siracusa (+1,4); in Piemonte, analogamente, non c'è soltanto il grande successo di Torino ma incrementi si registrano anche in

Alessandria, ad Asti, a Cuneo. Più in generale, tanto nelle regioni ove il voto cresce quanto in quelle ove subisce arretramenti, guadagni e perdite si distribuiscono uniformemente per provincia. Viene meno, sia pure con eccezioni, la tendenza che vedeva in passato i capoluoghi di regione maggiormente premiati, in proporzione, rispetto alle città di provincia.

I risultati delle consultazioni elettorali precedenti (politiche del '76, politiche del '79) avevano mostrato l'esistenza di una costante nella distribuzione dei suffragi radicali: l'operare di una forbice, molto accentuata, fra grandi centri urbani, medi centri e piccoli centri, tale per cui la percentuale di voto radicale decresceva uniformemente passando dalle metropoli alle medie città, alle piccole città, alle campagne.

Questa tendenza (ma alcuni segnali si erano già manifestati nelle politiche dell'83), anche se non del tutto scomparsa, si è notevolmente affievolita. Se l'esistenza di quella forbice consentì in passato di definire come prevalentemente metropolitano il voto radicale, oggi le cose sono cambiate. Gli scarti fra capoluoghi e province indicano ancora una dominazione urbana nel voto radicale ma la forbice fra grandi centri e centri medio-piccoli, sia pure con eccezioni, si è notevolmente ridotta. La sensazione di essere in presenza di un forte rimescolamento delle carte è confermata poi dall'andamento del voto nei capoluoghi.

Nelle principali metropoli del centro-nord, Roma più le capitali del vecchio triangolo industriale, ove più radicati e intensi apparivano in passato i consensi radicali e maggiori anche le potenzialità di espansione, solo Torino registra un ulteriore incremento (+0,8); a Roma, la tradizionale "patria radicale", si concentrano invece le perdite più elevate (-1,9) mentre regrediscono anche a Milano e Genova. Per contro, crescono a Palermo, Catania e Reggio Calabria e tengono, rispetto al '79, Napoli e Cagliari. Il partito del "centro-nord" non è più tale: la geografia del voto radicale appare drasticamente mutata. Per inciso, è chiaro che, nella valutazione dei risultati nei capoluoghi, contano anche i valori assoluti.

Non si ha una chiara percezione della consistenza del successo radicale del 17 giugno se non si considera che il Pr è risultato in queste elezioni il quarto partito a Palermo e a Cagliari, il quinto a Torino, ecc. (Si vedono, per un quadro completo, le tabelle allegate.)

Senza bisogno di continuare più a lungo nella descrizione del voto, le principali ipotesi che sembra possibile avanzare (e che richiederanno la conferma e la smentita di analisi sistematicamente e approfondite) sono le seguenti:

1) nel voto radicale, ma in realtà nel voto europeo di giugno nel suo insieme, sembravano avere operato più "logiche di voto": le tradizionali distinzioni (nord, centro, sud; metropoli, città, campagna, ecc.) non appaiono in grado di offrire molti lumi sulle determinanti del voto: moltissime, e fra loro assai differenti, "Italie" hanno votato radicale il 17 giugno: l'estrema complessità socio-politica del paese sembra avere dispiegato in pieno i suoi effetti in quel risultato.

2) apparentemente, l'andamento del voto, così diverso da quello delle precedenti consultazioni, lascia ampio spazio all'idea che si sia verificato un turn-over, un ricambio di rilevante ampiezza anche nella composizione sociale degli elettori radicali: dai successi nei quartieri operai di Torino, agli exploit del sud e delle isole, tutto lascia intendere che ci siano stati forti cambiamenti nell'identikit dell'elettorato radicale: da un elettorato prevalentemente giovane, metropolitano, occupato nel settore terziario ('76 e '79) a un elettorato molto più composito e differenziato per età, istruzione, reddito, occupazione, collocazione geografica.

Se passiamo a considerare il voto radicale in relazione agli andamenti generali, anche qui emergono novità rilevanti. E' stata, ad esempio, individuata (Statera su "Panorama") una forte correlazione fra i guadagni elettorali radicali e comunisti nelle diverse zone e le perdite socialiste e democristiane nelle stesse zone. Una correlazione, peraltro, che appare comprensibile solo se introduciamo nel quadro un altro fattore che ha svolto, fra le elezioni dell'83 e quelle dell'84, un ruolo decisivo: l'astensionismo.

Risulta, da una prima analisi sui flussi elettorali (Draghi e Natale su "Rinascita") che tanto il voto comunista quanto, e soprattutto, il voto radicale hanno beneficiato dell'apporto di quote assai rilevanti di astensionisti (e di voto bianco e nullo) dell'83.

Per quanto riguarda specificamente i radicali, gli autori della inchiesta citata osservano che: "la crescita radicale ha avuto come input principale, oltre ai propri ex elettori, elettori appartenenti all'area del non voto, segno questo che il potenziale elettorato del partito è più vasto e ramificato nelle zone con più alta disaffezione politica". Si tratta naturalmente di capire se tali apporti provengono principalmente da segmenti di elettorato già in area radicale (ossia, votanti che seguirono nell'83 l'indicazione per lo sciopero del voto) oppure, come è possibile, da settori fino ad oggi estranei alla influenza dei messaggi radicali. Va aggiunto, per completare il quadro, che l'esame dei flussi elettorali condotto da Draghi e Natale indica, accanto all'area del non voto '83, in quote di voto ex missino, ex socialista fonti consistenti del risultato radicale dell'84.

Si è parlato, nei commenti a caldo, di nuove tendenze alla "polarizzazione". A molti osservatori queste elezioni sono apparse come la rivincita dei (due) vecchi partiti di massa. In realtà, le cose appaiono molto più complesse. Per un verso il "sorpasso" comunista - come ha rilevato Giuliano Urbani ("Corriere della Sera") e come l'analisi di Draghi e Natale sembra confermare - è stato quasi interamente l'effetto di un andamento delle estensioni e del voto bianco e nullo che, a differenza del '79, ha penalizzato assai più la Dc che il Pci. Per un altro verso, e a differenza dal 1976 (le ultime elezioni per definire le quali il termine "polarizzazione" poté suonare appropriato), una effettiva polarizzazione non si è affatto verificata: sia perché la Dc non ha recuperato i voti perduti nell'83, sia, e soprattutto, perché il Psi e partiti minori non sono stati fermati solo da concentrazione di voti sui due partiti maggiori ma anche dal ruolo giocato dal Pr: appare, ad esempio, più attendibile l'ipotesi che vede

nel successo radicale una importante concausa dell'impasse socialista.

Concludendo, le elezioni di giugno confermano che il Partito radicale è e resta il principale punto di riferimento della protesta politica antipartitocratica. Le sue potenzialità di espansione nella vasta area di elettorato non direttamente controllata dalle forze politiche di regime rimangono intatte.

L'attivazione fino in fondo di questo amplissimo potenziale dipenderà in futuro, ovviamente, dalla evoluzione della situazione politica ma anche dalle scelte che i radicali sapranno fare.

 
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