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Teodori Massimo - 25 marzo 1984
LA LOGGIA DI PALAZZO
La relazione di Massimo Teodori sulla P2

di Massimo Teodori

SOMMARIO: In trecento pagine il deputato radicale Massimo Teodori ha costruito la contro-relazione sulla P2, contrapponendo una puntuale ricerca della verità alle verità di Stato e di partito, riproposte da Tina Anselmi. Seguono stralci della relazione.

Per difendere verità dicomodo, Tina Anselmi ha dovuto cancellare i capitoli più importnati dell'inchiesta: il caso Sindona, il caso Moro, il caso Eni-Petronim, il crediti di Calvi ai partiti, l'accordo Gelli-Rizzoli-Scalfari-Caracciolo, ecc.: tutte le vicende che provano lo stretto intreccio fra P2 e partitocrazia. La massima concentrazione del potere di Gelli coincide con gli anni dell'unità nazionale: è in questo periodo che la P2 acquisisce il controllo dei Servizi e si impossessa della stampa italiana. Il ruolo di Andreotti. Il rapporto con il Pci. I vertici della partitocrazia non erano le vittime ma i complici della P2.

(NOTIZIE RADICALI N. 67, 25 marzo 1984)

Nella relazione Anselmi (rappresentativa dell'opinione pubblica dei partiti di unità nazionale) si afferma che la Loggia P2 rappresenta un potere autonomo che agisce contro i partiti e che è uno "strumento neutro di intervento per operazioni di controllo e di condizionamento". Si tratta di una interpretazione totalmente deformante e falsificante che ignora i dati di fatto acquisiti nell'inchiesta e che non tiene affatto conto del funzionamento reale del nostro sistema politico. Al contrario la documentazione raccolta dimostra in piena evidenza che la P2 è parte integrante del sistema politico nel suo concreto funzionamento come regime partitocratico. Non vi è operazione o situazione (servizi segreti, stampa, affari), in cui il potere P2 si sia esercitato indipendentemente ed autonomamente dal potere ufficiale, fuori da esso e prescindendo da esso. Tutte le operazioni di marca piduista sono operazioni nelle quali gli uomini della P2 situati in determinati gangli dell'apparato pubblico o non pubblico hanno agi

to in stretta combinazione, favoriti o addirittura delegati dai detentori dell'esercizio legale del potere.

La Loggia P2 non ha mai agito come entità ma ha sempre esercitato la sua influenza attraverso l'iniziativa di singoli o di gruppi di piduisti, che capillarmente hanno potuto operare in ragione della loro collocazione nelle strutture ufficiali e delle convivenze su cui potevano contare in quelle stesse strutture. Se la costellazione del 953 piduisti che formalmente figurano nelle liste non avesse avuto rapporti di stretta complicità con i protagonisti ufficiali operanti nelle istituzioni non avrebbe avuto alcuna possibilità di raggiungere capacità di pesare ed incidere paragonabili a quelle che hanno conseguito.

Perché la P2 è parte integrante del sistema partitocratico ed elemento essenziale della sua stessa sussistenza? La risposta è che la degenerazione partitocratica del sistema politico italiano consiste precisamente nella dislocazione del potere fuori dai luoghi costituzionalmente riconosciuti, nei partiti e, ancora di più, in centri interni ed esterni di carattere occulto, che tagliano trasversalmente gli stessi partiti. La conseguenza - come ha osservato uno dei pochi studiosi italiani di poteri occulti, Umberto Curi - è "l'accentuarsi di un dualismo, che non è affatto diarchia di poteri diversi - palese l'uno, occulto l'altro - e tuttavia in una certa misura equipotenti, ma è dualismo e tendenziale contrapposizione fra diritto e potere, fra sedi legali vuote di poteri e luoghi del potere reali ``ciechi'' di ogni legittimazione; fra centri del governo e dell'amministrazione statale o periferica letteralmente impotenti, perché incapaci di agire efficacemente sul terreno in cui si costruiscono e si modificano

i rapporti di potere e centri di governo occulto, tanto più rivestiti di autorità effettiva quanto meno ufficiali e deputati".

A svuotare le istituzioni dai conflitti che in quelle sedi dovrebbero trovare la naturale democratica composizione sono stati i partiti costituendo altre sedi dove negoziare secondo il metodo spartitorio, e dove trasformare gli antagonismi in faide e lo scontro politico in lotta fra clan concorrenti. E sempre più lo scontro fra bande partitiche, infrapartitiche e interpartitiche si è realizzato con un alto tasso di illegalità e fuori dal controllo pubblico, quindi in situazioni clandestine se non addirittura segrete.

Le vicende del Sifar, di Sindona, di Cefis, per restare ad alcuni casi del passato, sono esemplari della realtà delle lotte per bande prima che si affermasse quella professionalmente più larga, più specializzata e più capillare che Licio Gelli ha costituito attraverso il canale massonico della P2.

Analizzando alcuni momenti dello sviluppo e dell'affermazione della P2 e di particolari gruppi di suoi uomini - si vedano i meccanismi del salvataggio Sindona, delle faide fra i servizi nella prima metà degli anni '70, della conquista della Rizzoli, dell'Ambrosiano di Calvi - si nota puntualmente che la P2 agisce sempre dentro alla guerra per bande che vede protagonisti grandi settori della politica-partitica italiana e mai al di fuori di essa come centrale autonoma per fini autonomi. La genialità di Gelli e di alcuni suoi comprimari è consistita nell'operare all'interno della struttura portante del regime italiano, collegando direttamente attraverso le loro persone, o attraverso apposite direzioni strategiche di coordinamento, quelle che fino ad allora erano bande specializzate in un singolo settore (rispettivamente servizi segreti, settori della finanza, economia pubblica, settori della stampa, ecc.). Dando vita ad un circuito integrato di potere, momento fra una pluralità di gruppi di pressione monospecia

lizzati, di tipo occulto, in precedenza separati.

E' durante gli anni dell'unità nazionale dal 1976 al 1979 che la loggia P2 tocca il momento di massima espansione. Dopo essersi riorganizzata nel 1975, la loggia allarga il proselitismo a personaggi autorevoli, diviene la sede di incontro e mediazione di conflitti interni a determinare istituzioni. E' in questo periodo, soprattutto che, mette a segno le più importanti operazioni: Rizzoli "Corriere della Sera", Sindona e Calvi, Eni-Petromin ed Eni-Ambrosiano, controllo completo dei servizi segreti.

Non è un caso che tutto ciò avvenga in coincidenza non solo temporale ma anche causale con i governi diretti da Giulio Andreotti. Il leader democristiano gestisce una formula politica, l'unità nazionale, incentrata sul rapporto Dc-Pci, nel momento di massimo sviluppo e perfezionamento della partitocrazia. Il conflitto politico fuoriesce dalle sedi istituzionali e viene ricomposto nelle sedi partitiche con un processo che investe tutto l'universo dei partiti tradizionali e a tutti i livelli delle istituzioni e della società. Di più, la trasformazione del conflitto politico in pura lotta per il potere trova proprio in Andreotti l'espressione più autentica come dimostra la stessa storia del leader dc da sempre pronto a praticare politiche di destra, di centro-destra, di asse con il Pci e di centro-sinistra, ma sostanzialmente sempre tese al solo obiettivo di gestire il potere per il potere, senza obiettivi e senza valori.

La P2 ha il suo naturale terreno di coltura proprio in un sistema nel quale le alleanze o gli scontri fra "gruppi trasversali" costituiscono la dialettica politica e la mediazione o il conflitto fra di essi prendono interamente il posto della politica che si svolge dentro le istituzioni secondo le regole dello stato di diritto. Se uomini dei servizi o delle Forze armate vogliono accedere ai posti di comando sanno che la strada è quella del beneplacito partitico o della pressione extra-istituzionale di gruppo; se Sindona vuole contrattaccare quella parte della magistratura che procede in autonomia è consapevole che deve mobilitare i politici "amici" e l'organizzazione appropriata per azioni di guerriglia su tutti i fronti, cioè la P2; se Calvi vuole rovesciare il corso avverso delle cose deve acquisire benevolenza e praticare la corruzione distribuendo danari in tutte le direzioni, a cominciare dai grandi partiti Dc, Pci e Psi; se si deve procedere all'assoggettamento di una centrale editoriale di primaria im

portanza quale Rizzoli occorre stabilire un alleanza partitico-sindacal-piduista come quella che si realizza tramite Tassan Din; se si devono usare i servizi segreti per coadiuvare la politica di emergenza permanente, non c'è di meglio che affidare il compito ad uomini "leali" della P2.

Si è voluto attribuire a Gelli ed ai suoi uomini un progetto politico conservatore o reazionario facente perno sull'anticomunismo e più in generale sull'opposizione all'unità nazionale. Ma questo è solo la facciata di un complesso di azioni ed operazioni targate P2 indirizzate di volta in volta in diverse direzioni; e che, nella sostanza, hanno avuto l'effetto politico di consolidare quel regime partitocratico in cui assi portanti negli anni 1975-80 erano la Dc e il Pci.

Gelli nel corso delle diverse stagioni politiche ha sostenuto Leone (elezione 1971) e lo ha attaccato (1976-77);, ha dato una mano sia al "partito" Moro-Miceli che a quello Andreotti-Maletti; con un diretto intervento attraverso il "Corriere della Sera" ha parteggiato, amplificandone la voce, per il partito della fermezza (caso Moro, caso D'Urso) incarnato da Pecchioli e da una parte della Dc, ha giocato contro Craxi e per la ricostruzione dell'unità nazionale (Eni-Petromin) nel 1979, per poi sostenere Craxi nel corso del 1980 nella politica opposta (Eni-Ambrosiano, Calvi); ha fiancheggiato alcuni uomini della destra nazionale sponsorizzati da Andreotti (Birindelli-Tedeschi) ed ha contemporaneamente puntato su Almirante e Miceli; ha offerto finanziamenti, attraverso Calvi, alla Dc (Piccoli) ma anche, ed abbondantemente al Pci ed ai suoi giornali ("Paese Sera"); si è contrapposto al "partito Fiat" (no alla direzione Ronchey al "Corriere") ed ha attaccato la stampa cosiddetta democratica e progressista ("Repub

blica, L'Espresso, Panorama"), ma si è anche preoccupato di venire a patti con Caracciolo-Scalfari tramite Tassan Din; è stato dentro l'ala clerico-vatican-massonica della finanza (Banco Ambrosiano, Banco Roma...) ma anche favorito le manovre dell'Ambrosiano di quel Carlo De Benedetti che lavorava nello stesso periodo per la realizzare un "governo diverso"; ha collaborato con il generale Mino ma ha anche sostenuto Carlo Alberto Dalla Chiesa quando si trattava di farlo arrivare ai vertici dell'Arma; ha favorito ed incoraggiato il terrorismo e l'eversione, quelli neri ma anche quelli rossi, attraverso la deliberata politica dell'inerzia delle forze dell'ordine e dei servizi segreti a direzione piduista (Santovito e Grassini), invocando contemporaneamente la mano forte della repressione (la pena di morte di Maurizio Costanzo) con il costante obiettivo di istituzionalizzare l'emergenza. "Una sola costante ha accompagnato per oltre un decennio l'azione di Gelli, per altri versi cangiante nelle più disperate direz

ioni; l'aver prestato con continuità la propria opera di organizzatore professionale di bande e di clan a favore di Giulio Andreotti nelle sue diverse funzioni politiche e, soprattutto, nel suo ruolo di supremo gestore dell'unità nazionale e del rapporto con il Pci".

Questo pezzo di carta, fatto volutamente trovare da Gelli nel 1982, è un collage di ovvie e banali proposte di riforme costituzionali in circolazione negli ambienti politici ed accademici alla metà degli anni settanta: esso non ha avuto alcun seguito, non trovava riscontro in alcun altro documento o passaggio dell'inchiesta e soprattutto non ha messo in moto alcuna concreta operazione. Ma anche volendo attribuire a quel pezzo di carta valore di ipotesi di progetto politico, resta che esso non è altro che la spia della consapevolezza che la banda Gelli aveva di se stessa come di una parte interna, inseparabile e strutturalmente organica al sistema partitocratico. Che progetto eversivo è mai quello assume a proprio punto di riferimento uomini ("selezionati") come Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia per la Dc, Mancini, Mariani e Craxi per il Psi, Visentini e Bandiera per il Pri, Orlandi e Amadei per il Psdi, Cottone e Quilleri per il Pli, e (eventualmente) Covelli per la Dn, ossia buona parte della

classe dirigente dei partiti di quel periodo? In verità tutti i riferimenti del piano a uomini politici rivelano l'intenzione vera della loggia, quella di agire all'interno dei partiti, servendo come banda armata determinati uomini e le loro operazioni nella lotta per il potere.

Resta dunque la domanda: di quale progetto politico era portatrice la P2? La risposta l'abbiamo già data indicando nella dislocazione dei centri di potere e di decisione al di fuori delle istituzioni costituzionalmente preposte, in sedi che eludono trasparenza e controllo, il nocciolo della trasformazione del sistema politico italiano da democratico a partitocratico.

Se il progetto di "massonizzazione" della vita politica italiana produce "un crescente occultamento delle regole del gioco politico, sempre meno politico, sempre meno controllabile, sempre più dipendente dall'alterno andamento della contesa fra bande concorrenti", il progetto della P2 altro non era se non quello di porsi come il nucleo di coordinamento e al tempo stesso il terreno di composizione di quelle contese.

Si tratta di un progetto politico che coincide con l'usurpazione partitocratica della democrazia, anche se non si esaurisce, in questo, con un intenso uso di metodi illegali e talvolta criminali, sia nel senso ristretto del termine che in quello più profondo di attentato al diritto ed allo Stato costituzionale.

La P2 si pone dunque come uno dei protagonisti del regime del nostro paese, in maniera più accentuata a partire dalla seconda metà degli anni settanta quando più articolato, vasto e complesso diviene collegamento con uomini e forze. E' d'obbligo domandarsi come sia stato possibile ad un solo uomo, Licio Gelli, esercitare tanta influenza e tanto potere. Sarebbe infatti errato considerare la sua organizzazione agente come una struttura compatta che si mobilita organicamente per compiere delle operazioni. Non solo non tutti gli appartenenti alla loggia ebbero consapevolezza dell'entità dell'organizzazione, ma mai risulta che la loggia abbia agito in quanto tale. Le diverse operazioni attuate nel tempo impegnarono solo alcuni settori e la P2 non si mosse mai tutta insieme su impulso di un'unica direzione strategica ma di volta in volta attivando accanto al capo gruppi dirigenti settoriali.

Determinanti sono stati quei settori - servizi segreti e Forze armate, credito e banche, stampa e informazione, pubblica amministrazione - in cui l'organizzazione gelliana ha potuto disporre di propri punti di forza attraverso il "reclutamento di iscritti". Ma ancor più larga e profonda è stata l'incisività della loggia nell'intermediazione. In questo senso anche un uomo solo come Gelli o ristretti gruppi di piduisti hanno potuto esercitare un potere semplicemente collocandosi nei punti di incrocio e di composizione di potenti interessi rappresentati da altri gruppi di potere. "La forza di Gelli - ha affermato senatore Fanfani - sta nella debolezza altrui": un'osservazione pertinente se quell'altrui si riferisce alla classe partitica dominante. In un'altra direzione ancora si è specializzata l'attività del maestro venerabile ottenendo degli effetti: ed è stato nella "organizzazione di scontri di potere" per arrivare quindi alla "loro composizione".

In queste operazioni ancora una volta il singolo Gelli ha esercitato l'influenza nella misura in cui è entrato in combinazione con altri attori, non necessariamente appartenenti alla loggia, e molto spesso attivamente richiedenti l'intervento del venerabile. "E' perciò errato sostenere che la loggia sia stata un potere autonomo esterno e conflittuale" con i centri di potere ufficiali: al massimo il grado di autonomia della P2 deve essere circoscritto al perseguimento di vantaggiosi affari personali o di gruppo. Si tratta tuttavia di un aspetto complementare e secondario. Gli effetti principali sul sistema politico consistettero nell'affermazione, difesa ed allargamento del potere di gruppi non totalmente appartenenti alla loggia.

La risposta al quesito ""di che natura fosse la potenza di Gelli" non dev'essere ricercata tanto nella forza intrinseca della loggia quanto nella sua funzionalità rispetto alla lotta per bande partitiche."

E' opportuno riflettere anche sulle "modalità di azione" attraverso cui Gelli ha potuto esercitare il proprio potere. Il capo della P2 ha accumulato nel tempo una gran massa di informazioni (fotocopie e archivi) con il materiale più vario proveniente dalle più disperate fonti. Risulta che ai neoaffiliati il maestro venerabile chiedesse una dote di informazioni e documentazioni. Sembra anche che il capo della P2 abbia ricevuto dal colonnello Allavena, affiliato alla loggia fine degli anni '60, una parte di quei fascicoli che costituivano la base materiale della deviazione del Sifar e che dovevano essere distrutti per ordine del Parlamento. Sta di fatto che risulta che Gelli possedesse un archivio, costituito da oltre 500 voci e relativi fascicoli, di cui si conosce l'indice e, direttamente, una parte, piccola e marginale, acquisita in Uruguay. Da questa e da altra documentazione di desume che l'archivio delle fotocopie gelliane si compone di informazioni stratificate nel tempo, una parte delle quali provenien

ti dai servizi segreti, anche del tempo del Sifar.

Questa riserva di informazioni costituisce per Gelli la base più efficace per l'esercizio del potere. In una situazione come quella italiana nella quale il terreno degli scontri di potere ha assunto vieppiù caratteristiche illegali, il possesso dell'informazione delle segrete cose del regime divene l'arma per eccellenza, talora con il suo uso, talaltra con la minaccia.

Le transazioni finanziarie e non solo finanziarie, la corruzione, le operazioni illegali, le malversazioni, il favoritismo, le connivenze con attività di criminalità ordinaria o legalizzata - si pensi al traffico delle armi - le attività devianti dello Stato e di alcuni suoi corpi, sono divenuti, nel degrado del sistema, il nutrimento principe dello scontro partitocratico. E la loro conoscenza accumulata nel tempo con i relativi collegamenti fra fatti ed uomini diviene una formidabile arma di ricatto nei confronti di una classe dominante in posizione ricattabile per la natura delle azioni compiute nel corso del lungo esercizio del potere. Risulta, per citare solo un esempio, che al Gelli sia bastato mostrare da lontano al presidente dell'Eni, Giorgio Mazzanti, un fascicolo, con l'annunzio che si trattava di documentazione relativa all'Eni-Petromin, per arruolarlo nei ranghi della P2 e quindi per manovrarlo a piacimento.

"Ricatto dunque basato sulla conoscenza delle segrete cose del regime: ecco la base del potere gelliano". Ma anche questo strumento non può essere adoperato in autonomia perché acquista un senso solo in relazione allo stato di ricattabilità della maggior parte della classe dominante italiana coinvolta in affari illegali d'ogni tipo.

La relazione Anselmi ha fatto ricorso all'assai improbabile teoria di un Gelli strumento nelle mani dei servizi segreti a causa della informativa Cominform, la cui rimessa in circolazione avrebbe determinato nel 1979 la crisi del suo sistema. E' invece assolutamente documentato che la crisi del potere gelliano interviene soltanto con il ritrovamento di quei documenti tra i quali accanto alle liste della P2 vi è un lungo elenco di operazioni illegali dei protagonisti del regime.

Accanto e contestualmente alla "penetrazione" negli apparati pubblici e privati per disporre di manodopera "leale" alla propria banda ed accanto alla partecipazione agli scontri di potere e alle successive "intermediazioni", un'altra e non meno importante dimensione ricorre nell'armamentario di Gelli e della P2; il "volano eversivo e golpista".

Numerose sono le tracce degli interventi di Gelli e di uomini a lui legati in episodi di eversione, di golpismo e anche di terrorismo.

Si va dall'appoggio attivo e diretto al favoreggiamento e al deliberato intervento per bloccare l'opera di repressione da parte di quei settori delle forze dell'ordine che la loggia controlla. Né, in questo quadro, può essere dimenticata la serie delle morti (omicidi, "suicidi", "indicidenti") su cui permane il mistero e che si è collocano tutte all'incrocio di vicende nelle quali la P2 o singoli piduisti sono protagonisti determinanti (colonnello Rocca, generale Mino e Anzà, maresciallo Ciferri, gli ufficiali della Guardia di Finanza che condussero indagini sulla P2, Rossi e Florio, Mino Pecorelli, il magistrato Occorsio...).

Nella seconda parte di questa relazione dedicata alle vicende della P2 è nei fatti narrata la storia violenta del nostro paese dalla fine degli anni sessanta. Noi riteniamo, tuttavia, che una interpretazione genericamente "golpista" ed eversiva (nel senso di organizzazione e partecipazione a particolari complotti) sia una lettura facile, falsa e deviante di un tipo di attività che va considerato in un quadro più ampio.

Per ben comprendere l'azione degli uomini della loggia, di quelli che sono poi entrati nella loggia, o di quelli che hanno dovuto sottostare all'ordine mafioso della loggia, occorre riferirsi alla funzione sempre più centrale e necessaria che l'uso della violenza ha avuto nel funzionamento del sistema politico. Una lotta politica che si fa extraistituzionale, che ha per oggetto prevalentemente il potere, che si fonda sui conflitti fra bande concorrenti, trova la sua naturale continuità nella lotta armata e nella violenza. "La lotta armata qualunque ne sia `il colore', rappresenta solo la manifestazione estrema di una criminalità politica diffusa; non è dunque che la militarizzazione di uno scontro tra bande rivali che hanno occupato ormai stabilmente i centri nevralgici di produzione effettiva delle decisioni. Ben lontano da costituirsi soggettivamente come `alternativa' radicale al sistema politico... il terrorismo non è che una delle espressioni della carica di violenza e di sopraffazione implicita nel mod

o stesso in cui funzionano "questa" democrazia e "questo" sistema politico" (Curi).

La conferma del carattere "professionale" dell'attività di Gelli e dei suoi uomini anche nei tentativi golpisti e nel fiancheggiamento dell'eversione sta nel particolare ruolo che il capo della P2 ha sempre giocato. "Gelli", per quel tanto che si è potuto ricostruire, "ha sempre operato non già all'interno dei complotti e delle operazioni eversive ma ai loro margini, come canale di collegamento e come anello di congiunzione fra settori dell'establishment politico e dello Stato e la manovalanza operativa". Nel golpe Borghese sembra che il ruolo di Gelli sia stato quello del collegamento con le alte sfere dei carabinieri, e che egli sia stato l'autore del contrordine; nelle vicende della primavera-estate 1974 ha cercato di mobilitare con le sue riunioni settori ufficiali delle forze armate e dei servizi segreti in appoggio ad eventuali manovre sovversive; nel superSid i piduisti rappresentano il punto di raccordo fra la struttura ufficiale Sid e di Miceli e le protezioni politiche; nel caso Moro è ormai chiaro

: gli uomini della P2 si adoperarono perché il presidente della Dc non fosse ritrovato e salvato; nel caso D'Urso la stampa piduista ("Corriere, Occhio") intervenne direttamente perché si potesse contare su un cadavere.

Che gran parte degli eventi che fanno parte della stagione definita della strategia della tensione fossero finalizzati non già ad un sovvertimento dello Stato nel senso tradizionale, golpista nel termine, ma come detonatori per operazioni politiche che dovevano alterare e mutare i rapporti di forza all'interno del sistema politico ufficiale, magari con l'inserimento di varianti autoritarie, è una valutazione ormai fondamentalmente diffusa anche sulla scorta della specifica documentazione acquisita nel corso dell'inchiesta P2. Così come risulta evidente che durante gli anni dell'unità nazionale terrorismo d'ogni colore ed eversismo variamente manifestatisi servirono per giustificare prima e per mantenere e consolidare poi la legislazione speciale d'emergenza e tutti gli altri provvedimenti tesi alla restrizione delle libertà e delle garanzie costituzionali.

Vi è in questo contesto una continuità di comportamenti di Gelli, del gellismo e delle forze piduistiche: il sostegno alla linea dell'emergenza, grazie alla quale potevano assumere maggiore centralità le forze cosiddette dell'ordine che interpretavano quest'ordine secondo modalità illegali ed extralegali. In questo senso il "rapporto biunivoco fra Gelli ed i servizi segreti, a loro volta piduizzati, è esemplare del gioco delle parti nell'ambito di una unica strategia di creazione del disordine violento per esercitare lo speculare ordine violento".

In conclusione, si può fondamentalmente affermare che "la P2 ha giocato sì la carta della destabilizzazione ma al fine di una più profonda stabilizzazione dei meccanismi extraistituzionali e anticostituzionali del sistema".

Si è molto argomentato su Gelli e i servizi segreti, nazionali ed esteri. Non c'è dubbio che il maestro venerabile - come del resto altri personaggi simili, a cominciare da Mino Pecorelli - si muova nell'area dei servizi segreti italiani e che una parte assai importante degli uomini a lui collegati nella P2 appartengono direttamente o indirettamente (come collaboratori) ai servizi segreti italiani in una continuità di esperienze che va dal Sifar al Sismi/Sisde passando per le sezioni specializzate degli altri corpi: Esercito (Sios), Carabinieri, Guardia di Finanza (Ufficio I), ministero dell'Interno (Affari riservati). Ma, a nostro avviso, la potenza operativa di Gelli non deriva principalmente da questa appartenenza all'area dei servizi, a cui pure hanno appartenuto molti altri personaggi simili nella storia del regime. "La peculiarità di Gelli è di operare con i servizi, per i servizi e nei servizi, a seconda delle situazioni e dei periodi come pivot nei giochi politici in cui i servizi sono stati continua

mente coinvolti". Vero è che trent'anni di storia italiana (ma si potrebbe riandare ancora indietro, al "caso Giuliano") a forza di essere politicamente usati dalle bande partitiche, i servizi o alcune loro sezioni ed uomini, hanno acquisito a loro volta un potere autonomo. Padrini e protettori nelle pratiche illegali e clandestine, divengono a loro volta vittime di coloro che hanno protetto ed usato: di tal natura è certamente il rapporto trentennale fra padrini politici e servizi segreti, fra "devianti" e utilizzatori delle deviazioni.

Tuttavia, in questo complesso rapporto Gelli non avrebbe potuto trascendere il ruolo tipico degli uomini legati ai servizi se il suo orizzonte di riferimento non avesse avuto come coordinate principali il conflitto tra bande partitiche.

 
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