di Eugenio Melandri direttore di "Missione Oggi"SOMMARIO: Il direttore di "Missione oggi" spiega le ragioni della sua adesione al digiuno proposto dal Partito radicale con il quale si vuole sollecitare la votazione della proposta di legge presentata da 116 parlamentari di tutti i gruppi politici che prevede "Interventi urgenti e straordinari diretti ad assicurare nel 1984, e comunque entro 12 mesi, la sopravvivenza di almeno tre milioni di persone minacciate dalla fame, dalla denutrizione e dal sottosviluppo nelle regioni dei Paesi in via di sviluppo dove si registrano i più alti tassi di mortalità": "digiuno per testimoniare che su questo problema bisogna superare ogni barriera ideologica, in un dialogo che veda uniti insieme tutti gli uomini di buona volontà".
(NOTIZIE RADICALI n. 64, 28 marzo 1984)
Quello della fame nel mondo è un problema complesso che certamente non può essere risolto con una legge, né può essere accantonato con uno stanziamento di fondi da parte del governo. La fame, per essere sconfitta, esige il cambiamento delle strutture che regolano il commercio internazionale, la fine di ogni forma di neocolonialismo economico, l'abbattimento del sistema internazionale delle multinazionali, esige anche che nei paesi della fame le élites al potere non attuino una politica di privilegio, ma piuttosto una politica di distribuzione equa delle ricchezze, così come richiede che, attraverso uno scambio e un dialogo corretto tra culture, ci si aiuti insieme, da parte di tutti, a trovare strategie possibili per affrontare seriamente il problema della vita per ogni uomo.
Tutto questo cambiamento (si tratta di una vera e propria rivoluzione) può tuttavia avvenire solo se da parte nostra, nel nostro mondo ricco, abbiamo la consapevolezza che dobbiamo cambiare stile di vita, rivedendo i nostri bisogni e verificando i nostri consumi. C'è bisogno, in una parola, di capire che la fame è l'altra faccia del nostro modello di vita. La soluzione del problema della fame deve fare i conti con il nostro modello di sviluppo e ci domanda di trasformarlo radicalmente. E' questa, a mio avviso una condizione necessaria (anche se non sufficiente) senza la quale tutto diviene un palliativo per tacitare la coscienza.
Di fronte ai morti di fame penso che nessuno possa dirsi del tutto tranquillo in coscienza e che sia importante - proprio per non abdicare alla nostra dignità di persone umane - che ogni persona si senta in qualche modo interpellata, soffra profondamente questo dramma, in una inquietudine che non può fare dormire sonni tranquilli.
Come credente e come missionario ho sempre creduto che la vita abbia significato solo nella misura in cui la si dosa e che nessuno possa dirsi del tutto cristiano se non tenta - anche con una carica utopica - il possibile e l'impossibile per rispondere concretamente - con dei gesti, anche col dono stesso della vita - a questa grande sfida e a tutte le sfide che l'uomo è chiamato a vivere.
Su questa strada, la Chiesa da sempre - pur con delle contraddizioni - è stata presente. Lo è stata soprattutto attraverso l'azione di tante persone che si sono poste accanto ai più poveri a condividere la loro sorte e a lottare con loro per una vita più umana; lo è stata attraverso tante prese di posizione autorevoli, che spesso hanno precorso i tempi, sia nella denuncia delle ingiustizie, sia nella proposta di strade alternative. Mi piace citare, a questo proposito, l'enciclica "Populorum progressio" di Paolo VI.
Se poi confronto il dramma della fame con lo sperpero assassino di risorse che il sistema mondiale attuale opera attraverso le spese militari, allora il bisogno di fare il possibile e l'impossibile diviene ancora più forte. Come posso vivere la mia vocazione missionaria se io parto per qualche paese del Terzo Mondo ad annunciare con la vita e la condivisione il vangelo della pace, se dietro di me vengono i mercanti della morte, del mio stesso paese a commerciare strumenti di morte?
Su questo sfondo si situa la mia adesione al digiuno proposto dal Partito radicale. Tengo a precisare che spesso non ho condiviso e non condivido determinate posizioni dei radicali, ma è pur vero che - di fronte a un dramma di questa portata - non ci si può attardare in elucubrazioni di carattere ideologico. In particolare, i motivi di questa mia adesione possono essere così riassunti:
- digiuno per testimoniare che su questo problema bisogna superare ogni barriera ideologica, in un dialogo che veda uniti insieme tutti gli uomini di buona volontà;
- digiuno perché ritengo che il digiuno sia un'azione nonviolenta che fa pressione senza fare violenza, che interpella gli altri - in particolare le persone che detengono il potere - ma che ha radici nella disponibilità a pagare in prima persona. Personalmente voglio sfruttare questo tempo di digiuno anche per fare una verifica della mia vita e per cercare tutti quegli ambiti in cui devo cambiare stile di vita per essere più credibile nel mio impegno;
- digiuno per appoggiare la proposta di legge contro lo sterminio per fame. Non so se il progetto (che mi pare fondamentalmente buono) avrà successo. Ma mi pare sia importante tentarlo e verificarlo, senza tuttavia accontentarsi di questo, è una tappa di un cammino che deve rivoluzionare tutto il sistema mondiale che genera e riproduce la situazione disumana nella quale ci troviamo.
Penso che la mia storia possa essere una testimonianza della convinzione profonda che porto dentro di me circa la necessità di una vera e propria rivoluzione strutturale per risolvere alla radice il dramma dei popoli della fame e il dramma della guerra che dilania tante parti del mondo e che mette in discussione la sopravvivenza della stessa umanità. Per questo sono convinto che occorra incamminarsi sulla via del disarmo unilaterale, dell'obiezione fiscale alle spese militari, dell'obiezione di coscienza al servizio militare e dell'obiezione professionale alla fabbricazione di armi. Ma bisogna cominciare, e in fretta. Occorre fantasia, capacità di rischio, speranza profonda nell'uomo e nelle sue capacità, voglia di novità, disponibilità a cambiare.
In questa ricerca, lo ripeto, bisogna superare le barriere ideologiche che ci dividono e occorre avere una grande passione per l'uomo, capace di unirci al di là delle diverse provenienze.
La mia adesione a questa iniziativa si situa in tutto questo spettro di convinzioni, come un piccolo gesto che ha quasi il valore di simbolo e che vorrei rappresentasse solo la nuova tappa di un coinvolgimento sempre più grande.
Eugenio Melandri
direttore di "Missione Oggi"