intervista a Alberto FranceschiniSOMMARIO: Il mese di marzo è stato di nuovo un mese di iniziative nonviolente - con digiuni, scioperi della fame, scioperi della sete - in quasi tutte le carceri speciali. Il 31 marzo scadeva infatti il termine dei tre mesi di conferma della sospensione della legge di riforma penitenziaria, prevista dall'art. 90. I detenuti "speciali" si sono battuti con le armi della nonviolenza per ottenere l'abolizione, ma soprattutto per ottenere la chiusura di quell'offesa alla civiltà che sono i cosiddetti "braccetti della morte". I deputati radicali Adelaide Aglietta e Giovanni Negri hanno svolto una costante azione di sostegno alle iniziative nonviolente dei detenuti, utilizzando i poteri parlamentari di ispezione e di controllo. Il 31 marzo il ministro Martinazzoli ha purtroppo ritenuto di dover confermare la sospensione prevista dall'art. 90, anche se ne sono state ulteriormente attenuate le misure restrittive rispetto alla circolare Amato del dicembre 1983. Continueranno ad esistere i "braccetti della morte", anch
e se anche qui con qualche annunciata umanizzazione.
In una intervista, Alberto franceschini, condannato per la sua appartenenza alle Brigate Rosse, spiega le ragioni del suo digiuno: lo sciopero della fame è essenzialmente una scelta di vita. Non è un'iniziativa politica. E' possibile concepire e vivere i rapporti interpersonali senza essere inevitabilmente risucchiati nell'alternativa tragica del dover dare o subire la morte.
(NOTIZIE RADICALI n. 64, 28 marzo 1984)
Roma, 28 marzo -. Alberto Franceschini, processato a Torino nel '78 come uno dei leader delle Br, è uno dei detenuti che sta conducendo a Badu' e Carros lo sciopero della fame, dopo una prima iniziativa nonviolenta fatta nel dicembre scorso. Franceschini ha rilasciato un'intervista al giornalista Paolo Pillonga, del quotidiano "L'Unione Sarda", che la pubblicherà domani. L'intervista, si tiene a specificare, è rappresentativa del pensiero dei detenuti che digiunano a Nuoro.
I parlamentari radicali che hanno ieri visitato Badu' e Carros hanno chiesto a Franceschini di poter divulgare alcuni tratti di questa intervista, poiché giudicavano di estrema importanza la piena conoscenza del significato dello sciopero del fame.
Ecco cosa afferma Franceschini:
D.: sciopero della fame, una strada di nonviolenza. Vuole spiegare quali scelte del suo passato ritiene oggi un errore?
R.: lo sciopero della fame, quello di dicembre e quello di oggi, è essenzialmente una scelta di vita. Non è un'iniziativa politica né un'indicazione di alcun genere. E' un modo, il solo possibile nella condizione in cui ci troviamo, per ribadire quei valori umani, cui ci sentiamo profondamente legati...
Il dare e ricevere violenza è sempre un atto altamente drammatico che ognuno desidera il più possibile evitare. Quindi solo liberandosi dalle gabbie dell'ideologia politica, come stiamo cercando di fare, è possibile concepire e vivere i rapporti interpersonali senza essere inevitabilmente risucchiati nell'alternativa tragica del dover dare o subire la morte.
D.: c'è chi dice che la scelta nonviolenta sia troppo repentina per non porre dei problemi: non sarà per caso una via obbligata più che il frutto di un tormentoso itinerario interiore; perché non prima, insomma?
R.: valutata semplicemente dal punto di vista dei nostri comportamenti esteriori, la nostra scelta può suscitare scalpore e incredulità, per il carattere repentino. Ma questa è solo l'apparenza.
D.: perché?
R.: noi per alcuni anni abbiamo da portarci addosso un'immagine che di fatto non corrispondeva più a ciò che realmente eravamo. E' almeno dall'82, anno di crisi irreversibile delle organizzazioni armate, che molti di noi hanno iniziato a mettere in discussione la propria esperienza passata e a cercare nuove prospettive.
D.: lei vuol dire in sostanza che il travaglio non è iniziato ieri?
R.: sì. Il travaglio personale e collettivo è rimasto a lungo sotterraneo anche perché non è facile né immediato liberarsi dagli schemi e dagli stereotipi che sono stati parte essenziale della nostra vita per un decennio e più. E' stato con lo sciopero della fame di dicembre che siamo riusciti a trovare il modo concreto e aperto all'esterno di manifestare questo nostro nuovo modo di essere e quindi liberare noi e gli altri dalle vecchie immagini. Del resto, anche il fatto che lei sia qui a farmi un'intervista e io le risponda senza problemi non è forse un'ulteriore conferma di questo cambiamento da parte d'entrambi? E' manifesto infatti che lei per me non è più il giornalista pennivendolo di regime e io non sono più per lei il sanguinario terrorista da mettere all'indice.
D.: si potrebbe obiettare ancora che i braccetti della morte, le prigioni speciali li ha voluti chi ad esempio introduceva esplosivi in carcere (l'ha detto anche il ministro Martinazzoli).
D.: si può verificare, dati alla mano, che solo dopo l'istituzione delle carceri speciali hanno iniziato a verificarsi episodi come quelli a cui lei allude. Sono proprio le carceri speciali ad aver indotto una spirale di avvitamento delle dinamiche presenti all'interno del carcere e quindi determinati fenomeni come le rivolte violente. In realtà la ragione fondamentale dell'istituzione delle carceri speciali e dei braccetti della morte è legata a motivi di deterrenza: terrorizzare tutti i prigionieri; e questo risulta ormai chiaro perfino dalle dichiarazioni del ministro di Grazia e giustizia.
D.: la lotta armata è davvero finita in Italia? La riorganizzazione delle brigate rosse, come può apparire da una lettura basata più che altro sulla cronaca degli ultimi mesi, rappresenta l'ultima fase del fenomeno o no?
R.: un ciclo storico si è chiuso. Questo mi sembra ormai un fatto evidente, anche se non tutti son disposti ad ammetterlo. La riorganizzazione delle Br? La domanda dovrebbe rivolgerla a chi ne fa ancora parte.
D.: torniamo ai braccetti della morte. Medda ha detto ai giudici: "Se proprio debbo morire, decido io come e quando". I braccetti della morte sono stati istituiti per ragioni di sicurezza. Questa è almeno la motivazione ufficiale del ministero. Ma come sia stata concepita questa scelta resta ancora un mistero, così come sono sconosciuti i criteri, i responsabili e i termini di quest'isolamento che per alcuni si prolunga da oltre 20 mesi. Non si capisce poi cosa c'entri la sicurezza con il divieto di corrispondenza con i familiari, la mancanza assoluta di spazi di socialità, la proibizione di tenere in cella il televisore, oggetti personali, libri. Lei non è nei braccetti. La sua contestazione riguarda più che altro l'art. 90.
R.: esatto, l'art. 90 viene applicato dall'82 indiscriminatamente in tutte le carceri speciali: congela le norme basilari della riforma. A noi preme ribadire alcuni bisogni essenziali: il primo riguarda l'assegnazione di tutti i detenuti alle carceri più vicine alle loro residenze, in modo da favorire i rapporti con i familiari. Il secondo, il diritto di ogni prigioniero di mantenere e sviluppare rapporti affettivi anche durante la detenzione: l'amore è un diritto inalienabile, così come l'amicizia; sono parti essenziali della vita di ciascuno di noi; non intendiamo rinunciare in alcun modo ad amare e ad essere amati.