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De Luca Athos - 24 aprile 1984
DIBATTITO PRECONGRESSUALE: ATHOS DE LUCA

SOMMARIO: Intervenendo nel dibattito precongressuale (XXX Congresso del Pr - Roma - 31 ottobre/4 novembre 1984) Athos De Luca afferma che se non si spezza il "regime consociativo" tra i partiti, non vi sono spazi per la politica radicale che ritiene possibile il miglioramento della società attraverso una democrazia "conflittuale" con un diverso ruolo tra maggioranza ed opposizione, dove si fanno leggi che non compendiano a tutti gli interessi ma si fondano su valori ai quali tutti credono.

(NOTIZIE RADICALI N. 70, 24 aprile 1984)

Alternativa socialista, laica e libertaria era lo slogan del Partito radicale degli anni '70. Può ancora questo slogan racchiudere l'idea-forza della politica radicale?

Anche quest'anno il congresso non avrà uno slogan? La fame non è un referendum. Non ha nemici in campo aperto. La "legge Piccoli" ha la maggioranza in Parlamento ma non passa perché manca il consenso del Pci. I partiti pensano di non perdere voti per la fame. Questa è la questione fondamentale a mio parere che ci ha ricordato il segretario all'ultimo consiglio federale.

Questo significa che se non si spezza il "regime consociativo" tra i partiti, non vi sono spazi per la politica radicale che ritiene possibile il miglioramento della società attraverso una democrazia "conflittuale" con un diverso ruolo tra maggioranza ed opposizione, dove si fanno leggi che non compendiano a tutti gli interessi ma si fondano su valori ai quali tutti credono.

Come si mette in mora la democrazia consociativa che soffoca i radicali e con essi gli ultimi margini di lotta democratica?

Costringendo i partiti a scoprire le carte: un caso Andreotti ogni giorno! E' possibile?

Il partito deve diventare più "pericoloso", più forte. Mentre i "divorzisti" erano nel paese forza di opinione, di interessi diretti e personali che potevano minacciare il consenso dei partiti e coloro che ne erano portavoce godevano di questo potere, diversamente coloro che muoiono a milioni per fame e per sete nel Terzo mondo non sono organizzati in nessuna lega, non voteranno alle prossime elezioni amministrative e non fanno neppure opinione, scandalo, né tantomeno smuovono la coscienza popolare, perché i mezzi di informazione dello Stato li censurano: ne hanno paura.

La fame non è un referendum. Ma essendo legati dal congresso ad un obiettivo annuale ci domandiamo se sulla fame siamo stati sconfitti: certo, siamo stati sconfitti, ma tutto sta a capire se in questi anni abbiamo rafforzato o indebolito la battaglia, per valutare le possibilità che abbiamo oggi.

I regimi cercano sempre di delegare alle competenze umanitarie, personali, religiose la risposta alle contraddizioni sociali ed umane che essi stessi scatenano; i radicali con l'aborto ed il divorzio ed oggi con la fame non fanno altro che ricondurre questi problemi alle loro cause per impedire che siano "cristianamente" accettati dalle vittime, anziché "laicamente" risolti dai responsabili.

Credo che il rifiuto e la denuncia politica del gioco truccato, espresso con il non-voto e il codice di comportamento che richiedevano un impegno straordinario per assumere la valenza di "messa in mora" di questa politica, hanno finito per divenire una riduzione di impegno e addirittura una estraneità alla lotta politica nella sede istituzionale, mentre andava fatto l'opposto.

Se dovessi dare un giudizio sulle possibilità di lotta politica radicale a partire dalla mia esperienza di consigliere di una lista civica, sarei portato ad esprimere una opinione positiva, ma il nostro regolamento comunale non è stato ancora cambiato, lo stanno facendo; la stampa locale può essere assediata dalla nostra iniziativa e quando ci censura, con venti manifesti o un giro in auto con gli altoparlanti, riusciamo comunque ad informare i cittadini: e se ciò non è sufficiente e ne abbiamo la convinzione, ricorriamo ad azioni nonviolente.

In definitiva il 50% delle nostre azioni politiche si trasforma in informazione, comprensione, riconoscimento e consenso popolare e ciò dà alla politica radicale quella centralità che ha ovunque si verifichino le medesime condizioni; vedi l'azione radicale dal '76 al '79, in Parlamento, con soli 4 deputati.

Ma le eccezioni non sono la regola e sarebbe un grave errore di valutazione ritenere una risposta risolutiva per il partito oggi la presentazione di liste radicali alle amministrative; con altre implicazioni, le elezioni sarde insegnano quanto sia duro lo scontro politico e il comportamento dell'elettorato.

Un elemento di forza nell'organizzazione del Partito radicale è stato sempre quello di consentire a ciascuno di "fare il radicale" come, dove e meglio credeva, garantendo così un'assunzione diretta di responsabilità ed esperienza. In questo modo ciascuno ha dato il meglio di sé. Non credo alle "presentazioni facili" perché lo scontro politico poi non è facile, bensì durissimo se portato avanti con efficacia. Non credo alle presentazioni "concesse dal partito" e decise astrattamente, bensì a quelle che nascono dall'assunzione diretta di responsabilità.

In questo momento il partito ha bisogno di una risposta politica sui suoi obiettivi e sulle possibilità di raggiungerli; la mia stessa iniziativa politica locale che senso avrebbe se non fosse riferita ad un progetto, ad un'idea-forza capace di cambiare la vita della gente? Se non troviamo questa risposte al congresso, cosa faranno alcune centinaia di consiglieri, inseguiranno la "buona amministrazione?".

Quanto al partito democratico e nonviolento, sempre più spesso mi trovo impegnato in azioni nonviolente se voglio difendere fino in fondo la democrazia.

Penso che vi sia nel paese uno spazio stretto ma decisivo per fare la politica radicale, a patto che i radicali oltre a parlare da radicali facciano anche i radicali. Ciao al congresso.

 
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