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Negri Giovanni - 24 aprile 1984
DIBATTITO PRECONGRESSUALE: GIOVANNI NEGRI

SOMMARIO: Intervenendo nel dibattito precongressuale (XXX Congresso del Pr - Roma - 31 ottobre/4 novembre 1984) Giovanni Negri afferma che in Italia vi è una domanda di Partito radicale più ampia rispetto alla effettiva consistenza del partito. Da partito dei diritti civili che lavora per rinnovare la sinistra, il Pr è divenuto infatti da una parte, con la battaglia contro lo sterminio per fame, lo strumento per l'immissione traumatica del parametro dei valori della speranza in una possibile civilizzazione diversa all'interno della politica e dall'altra l'unica tutela contro uno Stato che è ormai nemico del cittadino. Con lo strumento dello "sciopero del voto" abbiamo tentato di dare uno sbocco politico a queste domande di pulizia, a questa rivolta contro la partitocrazia. Ma dobbiamo anche riconoscere una sconfitta: "l'obiettivo '3 milioni di vivi' è mancato. Abbiamo commesso un errore: sopravvalutare le capacità di sviluppare antagonismo diffuso "contro il regime" con questa lotta, così forte da arginare i

l degrado civile e politico, e ritenere che questo Stato-partito, questa partitocrazia, persino in presenza di una maggioranza politica e di governo con noi firmataria della legge Piccoli, potesse consentire la crescita di questa buona serpe nel suo cattivo seno, con le immaginabili, "destabilizzanti" conseguenze. Non dobbiamo né pentirci né ripeterci: solo i mostri non si correggono, e noi il tiro dobbiamo correggerlo, perché questa lotta rischia altrimenti di essere lodata al tribunale della coscienza e bocciata al tribunale della storia".

(NOTIZIE RADICALI N. 70, 24 aprile 1984)

Oggi, in questo paese, esiste una diffusa domanda di Partito radicale assai più ampia di ciò che effettivamente siamo. Volendo, il nuovo Partito radicale si può forse scorgere in questi ultimi due anni, in questi ultimi mesi. Non è più il partito che con i diritti civili negli anni '70 smuove profondamente le acque per riequilibrare la sinistra, lavora al suo rinnovamento e all'alternativa, dà sbocco al desiderio di cambiare. E' un partito che si fonda su una duplice connotazione anti-autoritaria, dinanzi a un potere avvertito come sempre più cinico, disperato, la cui estraneità è solo rotta dai telegiornali che controllano e deviano. E' da un canto il cosiddetto "partito della vita": strumento di immissione brusca, di forzatura irruenta ("marziana", "mistica", "religiosa" si è detto...) del parametro dei valori, della speranza in una possibile civilizzazione diversa, all'interno della politica. E' immediatamente dopo - ormai accanto - il partito della tutela e della liberazione individuale da uno Stato che

è ormai nemico. Non si crede più nella speranza di uno Stato: anche quello gestito dalle "sinistre" non sarebbe che lo spettro dello Stato figlio della rivoluzione dei lumi, capace di organizzare e produrre libertà. E' lo Stato-partito, illiberale per eccellenza, di un monopartitismo sostanziale che edulcora, trucca tutto ciò che attiene alla mia vita: trucca la mia giustizia, la mia sanità, l'informazione; trucca l'assunzione e la pensione, non mi difende in nulla e mi intralcia in tutto. Al massimo mi riduce a cliente: abbiamo allora il welfare sia di De Mita che della Triplice. Stato-partito, Stato-padrone, Stato-padrino: senza il delirante Sim dei documenti brigatisti ma diffuso in mille centri, che procede come un panzer anche nel sottrarmi quello in cui potrei rifugiarmi, a cominciare dalla natura. Oggi devasta acqua, aria, suolo. Domani la sua tecnologia rischia di dominarmi definitivamente.

No: non mi accodo agli inni antistatalisti che attraversano l'Occidente, nel cui nome qualche pirla va cercando il post-industriale e la "deregulation" anche a Matera. Vorrei, più semplicemente, che un'angolazione della "cosa radicale" sia posta in giusta luce e se ne abbia giusta coscienza. Cos'è lo sciopero del voto e il conseguente codice di comportamento se non un tentativo (inadeguato e da arricchire, ma assai serio) di sintesi di questa esigenza diffusa? Cosa sono, in simmetrica corrispondenza, le indagini che ci dicono che larghe fasce di cittadini ci individuano come la forza che può ripulire un'informazione inquinata o la "cosa"-antipartiti attraverso le cui campagne ad hoc, su specifici temi, può oggi passare la domanda generalizzata di tutela dallo Stato-partito e domani porci nelle condizioni di essere autenticamente credibili nell'avanzare rimedi per un paese ridotto a colabrodo, poiché soli nel non avere le mani impelagate nei fattori strutturali di crisi, a non dipendere in termini di potere e

consenso da essi? E' così casuale che da 6 mesi, ormai, l'immagine radicale per la gente (non per noi, per i "vicini") sia costituita da iniziative di questo genere, e per l'esattezza: 1) il lascia e raddoppia Negri-Tortora, giustizia e carcere; 2) azione anti-P2 e rivelatrice delle connivenze di Stato negli "affaires"; 3) droga e successivo dibattito; 4) Napoli: ruolo anticamorra e proposta di modifica istituzionale-elettorale; 5) liste verdi? Non lo è. Allora è necessario, certo, riferirci alla mozione di Rimini per fare analisi e bilanci. Ma non avendo o non esplicitando l'indispensabile coscienza di ciò che si è e si rappresenta, si sbaglia. Possiamo anche non tenerne conto. Anche molti soldati giapponesi non lo hanno fatto, sulle loro isole del Pacifico, fino al 1970: continuavano a sparare, non tenevano conto della pace di San Francisco.

Per "fare politica" non è tuttavia indispensabile fare, o conservare in vita con le fleboclisi, un partito, con i suoi intralci, foss'anche il partito più libertario di questo mondo. Il movimento fabiano o quello gandhiano, gli enciclopedisti o il Mitterrand dei club stanno lì a dimostrare che vi sono altre vie; non è né indegno né illegittimo ragionare sulla superfluità del soggetto specifico partito. Si può ritenere, abbandonando malsani istinti di sopravvivenza a tutti i costi, che una radio, un gruppo parlamentare, una postazione europea e i cosiddetti soggetti autonomi bastino e avanzino, che debbano potersi muovere senza impacci contando su aree di simpatizzanti-contributori, sul finanziamento pubblico, sull'esperienza e il sapere accumulati. In questo momento e in questa fase politica, in Italia, sarebbe a mio avviso un errore capitale: viva le competenze apprezzabili che questi soggetti possono garantire. Ma questi soggetti (tutti, nessuno escluso) non possono garantire il terminale di raccolta della

passione civile: e ostinatamente penso che il mondo si muova prima che con la competenza con la passione civile. Un errore grave, quindi: gravemente dignitoso. Assai meno legittimo e dignitoso il tentare di travestirlo con i panni di Arlecchino, vendendo il duro vetro come un diamante dalla mille sfumature. Quando ascolto i desideri di svincolarsi a tutti i costi (ciascuno per sé, e chissà quale Dio per tutti) o sento rifiggere lo sloganetto "Forza ragazzi, tutti a far politica fuori del partito", vedo solo una delle due facce di una medaglia pericolosa, letale.

L'altra - lo dico con franchezza - è quella di Gigi Melega. Io lo ringrazio senza riserve mentali e senza ironia per aver seguito - molto solo - la via metodologicamente corretta di elencare analisi, proposte e candidature, e lo faccio tanto più essendo in profondo dissenso con le sue terapie che ci farebbero vedere lucciole per lanterne finendo in una colossale sbornia. Non si può giocare al salto con l'asta con la fame (aprendo un ufficio a New York) con i problemi del partito (ponendo ogni regione sotto la tutela di un deputato e attraverso le liste radicali ovunque alle amministrative) con il Parlamento (votando "sulle battaglie radicali") con i soldi (sparando i "4 miliardi in due mesi") e aggiungendo un po' di raccolte-firme tanto per non distrarsi. Siamo ciò che siamo innanzitutto grazie al "metodo". Siamo un mulo che ha scalato tutte le vette dell'Italia che facevamo cambiare. Abbiamo attraversato, e non fino in fondo, il deserto della fame. Abbiamo resistito ai calci negli stinchi che pigliavamo da

tutte le parti. Questo mulo non ha bisogno né di un sonnifero che lo stenderebbe definitivamente né di cocaina per illudersi di poter correre il Derby, stramazzando dopo 100 metri. Spero che non ci si trovi per recitare il vecchio sketch del simpaticone di turno che prova a vendere al turista americano il Colosseo da trasportarsi a casa. E' un film vecchio e già visto, non credo possa valere i soldi del biglietto.

Che fare, allora? Chiedo scusa se procedo con l'accetta, ma schematizzare, soprattutto sul piano delle proposte è a volte indispensabile.

Guardare in faccia la fame secondo me non significa esasperare il fallimento, sottolineare l'impossibilità del nontracollo finanziario, spingere sino al paradosso dell'immobilismo l'analisi sulla non-democrazia rischiando il vecchio vizio italiano del confondere i problemi di una democrazia sempre da conquistare con quelli del proprio partito o di se stessi. A che serve tutto questo? A ridiscutere duramente la ragione dell'associarsi in Partito radicale sul parametro delle alterne vicende della legge Piccoli? Sarà pure un oltraggio all'annualità del Pr: il tentativo "legge Piccoli" non poteva essere meglio gestito, ma è un parametro troppo angusto per le ragioni associative che la mia coscienza mi detta. Parigi non vale la libertà di andare a messa o meno, le alterne vicende della legge Piccoli non valgono il Partito radicale. Mi si dica pure che è una fuga: no. Le fughe e i sotterfugi sono ben altri.

Dobbiamo riconoscere una sconfitta: l'obiettivo "3 milioni di vivi" è mancato. Abbiamo commesso un errore: sopravvalutare le capacità di sviluppare antagonismo diffuso "contro il regime" con questa lotta, così forte da arginare il degrado civile e politico, e ritenere che questo Stato-partito, questa partitocrazia, persino in presenza di una maggioranza politica e di governo con noi firmataria della legge Piccoli, potesse consentire la crescita di questa buona serpe nel suo cattivo seno, con le immaginabili, "destabilizzanti" conseguenze. Non dobbiamo né pentirci né ripeterci: solo i mostri non si correggono, e noi il tiro dobbiamo correggerlo, perché questa lotta rischia altrimenti di essere lodata al tribunale della coscienza e bocciata al tribunale della storia.

E' una lotta giusta nel merito: è la politica dei valori, il progetto di civilizzazione, il passo obbligato per qualsivoglia politica di pace ed estera degne di questo nome e all'altezza delle sfide dei nostri tempi. E' giusta anche nel metodo: solo il "tot vivi in tot tempo con tot soldi e strumenti" rompe il ciarpame ideologico che fa da contenitore dello sterminismo. Dobbiamo strappare leggi di vita per il 1985. Ma dobbiamo allora comprendere cosa il soggetto partito (non il gruppo parlamentare, non i parlamentari europei, non i mezzi di comunicazione che debbono avere questa priorità con contributi diversi e svincolati), cosa gli iscritti, i compagni possano e debbano fare di preciso e puntuale. Bacchette magiche non ci sono: ma la legge Piccoli va ripresa e sostenuta con raccolte di firme, sindaci e personalità riaggregati su un nuovo appello, azioni nonviolente vanno finalizzate a obiettivi minimi ma concreti, marce e manifestazioni vanno praticate. Questo fronte di lotta, entusiasmante o no, va tenuto

: occorre la consapevolezza collettiva di tenerlo.

Ci sono poi altri due tavoli sui quali il partito deve giocare. Il primo è di "metodo di lavoro interno" e non è per nulla irrilevante. Io avverto su questo due esigenze: 1) Ripresa netta delle specificità e dei diversi ambiti d'intervento di ciascuna gamba su cui cammina la politica radicale. Bussola comune ma ciascuno con autonomia di navigazione. Certo non è subito realizzabile: ma partito, gruppo, radio debbono almeno tendenzialmente fare ognuno il proprio mestiere. La loro diversità è una ricchezza, l'appiattirsi uno sull'altro non moltiplica e ci fa mediocri.

2) Mandato formale di messa a punto entro un anno di una proposta statutaria ridefinita: anche a noi occorrono regole certe.

Il secondo è quello dell'utilizzare ogni contraddizione, ogni scadenza, ogni possibile alleanza per aprire varchi e sgretolare muri dello Stato-partito. Far finta che questo tavolo non esista, liquidarlo come "quelle cose che comunque e in ogni caso si fanno e si faranno", è stupido. Le cose o si deliberano e si fanno continuativamente (come la giustizia e la P2, tanto per fare esempi) o non si fanno seriamente, bensì solo in modo sporadico, improvvisato, strumentale. E allora io penso che: 1) L'appuntamento elettorale delle amministrative '85 va colto. Non lo si coglie né con le liste di partito né con il gatto radicale che finge di fare il leone, ruggendo "Fuori i partiti dai comuni". L'indicazione generalizzata dello sciopero del voto va integrata con le proposte di modifica elettorale-istituzionale avanzate da Pannella a Napoli. Vanno in ogni caso individuati 4/5 grandi centri di scontro elettorale. La questione liste verdi col congresso deve vedere un superamento dell'ufficiale, scontato, vuoto ripetere

: "Se ci saranno liste verdi le appoggeremo, altrimenti chissà". Abbiamo la responsabilità della prima indicazione di voto bianco nel 1980. Nell'85 dobbiamo accrescere una teoria preziosa e la sua traduzione politica. 2) La primavera elettorale (amministrative e Quirinale) deve vedere i radicali mobilitati in campagne ad hoc su singole tematiche. Mentre le questioni Giustizia e Droga viaggiano su canali e strumenti diversi, le questioni informazione (cioè i monopoli), antimilitarismo (riarmo ed esportazione di armi), ambiente (caccia, inquinamento aria ed acqua, abusivismo), partiti-struttura (finanziamenti, giustizia politica) si prestano a sbocchi di raccolte di firme almeno certamente per leggi di iniziativa popolare. Non esiterei, come ho fatto in passato sia al congresso di Rimini che ad un consiglio federale di luglio, a riproporre anche lo strumento referendario, poiché non mi convince nemmeno una sola delle motivazioni che mi sono state opposte. E' uno strumento oggi impensabile per un'unica ragione,

che è bene tuttavia dirsi: oggi non siamo in grado di raccogliere 500 mila firme, un "difettuccio" al quale non credo si possa più ovviare.

Ci sono persone in grado di rappresentare a grandi linee questi orientamenti e gestire direttamente questa politica? Io credo di sì, ed anche più di una: rischia semmai di scoppiare, a medio termine, il nodo di una ricerca e promozione di nuove energie che si fa ormai obbligata. Un segretario ideale, comunque, ce l'ho anch'io. E' quello che al mulo non rifila sonniferi né cocaina, né lo spinge nel burrone. Si chiama Pedro: "Adelante, Pedro, con juicio".

 
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