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Tortora Enzo - 30 giugno 1984
UNA REPUBBLICA PENTITA: (1) Prefazione
di Enzo Tortora

Una Repubblica Pentita

LEGGI SPECIALI E IMBARBARIMENTO DELLA GIUSTIZIA IN ITALIA

di Mauro Mellini

Prefazione di Enzo Tortora

In appendice: alcuni pentiti celebri nella stampa italiana

a cura di Dimitri Buffa

INDICE

Prefazione (3802)

Introduzione (3803)

Capitolo I (3804)

Capitolo II (3805)

Capitolo III (3806)

Capitolo IV (3807)

Capitolo V (3808)

Capitolo VI (3809)

Capitolo VII (3810)

Capitolo VIII (3811)

Appendice (3812)

SOMMARIO: L'analisi della "legge sui pentiti" (la legge 29 maggio 1982, n. 304, che concede larghi benefici - fino all'impunità - ai delatori dei propri complici) e delle sue conseguenze sul sistema giuridico italiano.

("UNA REPUBBLICA PENTITA" - Leggi speciali e imbarbarimento della giustizia in Italia - di Mauro Mellini - Prefazione di Enzo Tortora - Supplemento a »Notizie Radicali nº 58 del 13 marzo 1984)

Prefazione

"Queste pagine, dico le pagine che voi leggerete, io non le ho lette. Io le ho vissute. Io le ho sentite tutte, come scudisciate, sulla pelle. L'immondo sabba di streghe giuridiche che s'è dato appuntamento sul mio capo, il 17 giugno 1983, ha le sue radici, oltre che nel »Malleus maleficarum , nelle leggi di questa Repubblica che se offre, come offre, e se fa vivere, come fa vivere, ai suoi cittadini condizioni simili alla mia, deve smettere di considerarsi »democratica .

Ho provato, durante lo strazio che m'è stato e mi è ancora inflitto, più volte la tentazione di chiedere scusa addirittura a Pinochet, a Stalin, a Hitler: ai dittatori insomma più neri e più feroci. Ma almeno costoro avrebbero riso, se qualcuno avesse loro parlato di Stato di Diritto, di Costituzione Democratica. Qui siamo sotto Pertini: eppure accadono cose che neppure sotto il Fascismo, dove una Magistratura rifiutò pur sempre di far letame dei diritti dei cittadini e si fu costretti ad istituire almeno dei Tribunali Speciali, avrebbero osato apparire e presentarsi come vergogna, dico vergogna vera, e lebbra dell'Occidente. Un pugno di criminali pazzi, o di pazzi criminali (i due termini non si elidono affatto), può oggi consentirsi infatti il lusso, un lusso contrattato, barattato, premiato, di distruggere e di schiantare la vita di qualsiasi onest'uomo. Un'opinione pubblica disinformata e torpida, più sensibile ai problemi del campionato di calcio che ai problemi di libertà e dei diritti civili più eleme

ntari, ancora non sa a quali perversi, devastanti effetti le cosiddette leggi »dell'emergenza (diceva qualcuno che nulla, in Italia, è più duraturo del »provvisorio ) possono condurre una civiltà giuridica. Ma se l'opinione pubblica non sa (e se non sa lo si deve in gran parte a quell'informazione gestita ancora da quei »padroni del vapore descritti da Ernesto Rossi), la classe politica che queste leggi ha partorito non solo" deve sapere; "ma deve portarne per sempre, con la responsabilità, l'infamia: almeno per non aver detto »basta .

Dopo un anno, un anno ignobile, durante il quale sono stato gettato in cella come un criminale sulla sola parola di criminali (senza una prova, senza nulla che andasse al di là della macchinazione livida e della calunnia), avrei dovuto, secondo le cabalette sospirose dei sofisti dell'elzeviro, ancora »attendere . Attendere cosa? Ma naturale: »i tempi della giustizia , quei tempi che in Italia, chissà perché, debbono sempre e ancora (ma soprattutto oggi) coincidere coi tempi del supplizio e del tormento.

Ponetevi per un attimo, un attimo solo, nei panni di un cittadino preso al laccio come un animale, ignaro di tutto, e provate, col carcere, col cuore che mi hanno schiantato, con quella mente che stavano per distruggermi, l'obbrobrio di una pubblica, impietosa crocifissione. Stato di Diritto, questo? Democrazia, questa? Stampa democratica, questa? Fui il primo a gridarlo, quando con quella bomba atomica che mi fecero esplodere dentro, io vidi e compresi che non il »caso Tortora , ma il »caso Italia era quello che mi presentavano coi ferri ai polsi, la desolazione e la vergogna intorno.

Oggi c'è, in Italia, una figura, ma che dico figura, una Istituzione Giuridica in più: il »pentito . Fiore immondo, nato dal letame dei Codici dei Monsignori (leggete lo splendido libretto del Mellini: »Eminenza, la pentita ha parlato , squarcio di storia giudiziaria papalina, dove agisce quella Costanza Diotallevi che può essere considerata la trisavola dei Sandalo, dei Peci, dei Barra, »o' animale , dei Pandico, dei Melluso, e della squallida teoria dei loro eredi attuali, e di quelli prossimi venturi); il »pentito oggi e addirittura elevato, secondo gli schemi della miglior cultura cattocomunista, a dignità di Culto Mariano, di Istituzione statuale, ripeto, vera e propria.

Mi meraviglio che la Costituzione, che in questo momento di furore giudiziario islamico assomiglia sempre più al Corano, non contempli, tra i »poteri degli Organi dello Stato , i »poteri del Pentito . Ne ha più di tutti. Più del Presidente del Consiglio, più dei due rami del Parlamento, e, in definitiva, più degli stessi Magistrati, che vedono trasformarsi questi cosiddetti »collaboratori della giustizia non solo in strumenti di supplizio per gli altri, ma in vera e propria gabbia dove essi stessi, m'auguro, inconsciamente, si fanno bellamente rinchiudere e beffare.

Ma non intendo addentrarmi nel mio caso. Preferisco siano fino in fondo loro, i »pentiti , a vendere a colpi di milioni i loro »memoriali , a una stampa che definire omicida e poco. S'innestano insomma, sul »pentitismo tali e tanti problemi di così macroscopica efferatezza tricolore, da sfigurare per sempre i connotati d'un Paese che voleva considerarsi »culla del diritto . Ne è diventato la bara. Mellini, in questa lucida disamina della genesi, delle metastasi di questo mortale tumore giudiziario, cita - giustamente - il Verri, il Manzoni, il Beccaria. Ma gli untori sono ancora vivi e vegeti tra noi. Pagati, vezzeggiati, alloggiati nelle caserme dei Carabinieri, sottratti alle carceri e trasferiti, con tutti i riguardi, a quelle »Pensioni per Pentiti che le questure e le caserme sono diventate, e a Napoli con sequenze imprevedibili, pulcinellesche e torve; motivo d'indignazione che dovrebbe ormai rivoltare, fino alla nausea, ogni coscienza comune.

Il 9 marzo 1984, chiuso in una autoambulanza diretta a Napoli (avevo dovuto interrompere un delicato esame di angiografia computerizzata, iniziato in quella clinica dove mi avevano autorizzato all'esame quelli stessi Magistrati che ora esigevano laggiù la mia presenza, »a costo , come dissero alla Direzione, »di far venire a prendermi con l'Esercito ), io viaggiavo, a cento all'ora, verso il Medioevo. Era un viaggio nel tempo, fatto senza la macchina di Wells, ma ugualmente agghiacciante.

Gli ultimi due »pentiti del mio bestiario, raccattati a nove mesi (a nove mesi!) dal mio arresto, stavano per venirmi proposti, in una Caserma dei Carabinieri vigilata da armati che puntavano i loro mitra sulla folla, vera e propria parodia di uno Stato che non esiste, e finge la fermezza che non ha con gli inermi e con gli onesti. Qui, in questa Napoli, così diversa da quella dei grandi riformatori giacobini, dei Filangieri, dei Cuoco, delle Fonseca de Pimentel, ma nella Napoli dei preti da Torquemada, io delibai »sconvolto (ma sconvolto per lo stato del naufragio, totale, della cosiddetta Giustizia), gli ultimi due pendagli da forca dell'inesauribile catalogo del pentitismo criminale. Ero a Napoli nel 1984 o a Milano, la Milano degli untori e dei Mora e dei Piazza, del 1630? Era il 1984, purtroppo, l'anno che ha superato ogni più cupa profezia di Orwell. E facevo il mio »confronto . Uno dei due criminali era giunto addirittura incappucciato: me lo scappucciarono per l'occasione. Siamo dunque alla Santa I

nquisizione, coi suoi neri simboli e rituali di morte. Ma, ripeto, io non intendo entrare nel merito del »caso Tortora .

Mentre scrivo, mi si dice, in una Procura dagli uffici fatiscenti, dal personale scarso, un migliaio di cittadini e in attesa che due dattilografi (due!) finiscano di battere a macchina gli »atti , i famosi »atti dove ogni aspetto, ripugnante, del caso Tortora e dei loro »casi e illustrato, raccontato, con adeguato stile curiale. Li leggeremo, almeno. E vedremo »cosa c'è sotto . Io so che sotto c'è solo la vergogna, ma non è questo che mi preme. Forte solo della mia coscienza, che è limpidissima, io ho inteso rompere i tempi del silenzio. In modo »radicale . Ho accettato una candidatura non per cercare, come dicono i nuovi Monsignori, una »scorciatoia . Ma per indicare all'Europa, che ha tutto il diritto di trattarci da barbari, che qui non si è costruita neppure la strada: e che il diritto del cittadino, la libertà, i codici e i Tribunali camminano irrimediabilmente nella polvere di un Paese perduto". ENZO TORTORA

 
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