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Mellini Mauro - 30 giugno 1984
UNA REPUBBLICA PENTITA: (7) Capitolo V
Leggi speciali e imbarbarimento della giustizia in Italia

di Mauro Mellini

INDICE

Prefazione (3802)

Introduzione (3803)

Capitolo I (3804)

Capitolo II (3805)

Capitolo III (3806)

Capitolo IV (3807)

Capitolo V (3808)

Capitolo VI (3809)

Capitolo VII (3810)

Capitolo VIII (3811)

Appendice (3812)

SOMMARIO: L'analisi della "legge sui pentiti" (la legge 29 maggio 1982, n. 304, che concede larghi benefici - fino all'impunità - ai delatori dei propri complici) e delle sue conseguenze sul sistema giuridico italiano.

("UNA REPUBBLICA PENTITA" - Leggi speciali e imbarbarimento della giustizia in Italia - di Mauro Mellini - Prefazione di Enzo Tortora - Supplemento a »Notizie Radicali nº 58 del 13 marzo 1984)

Capitolo V

Se politici, magistrati, giornalisti hanno preferito evitare un approfondimento critico degli effetti complessivi della legge sui pentiti, lasciando che la generalizzazione del meccanismo del »pentitismo facesse la sua strada quasi per forza d'inerzia, è pur vero che una valutazione dell'effettiva portata, della compatibilità con i principi comunemente accettati del diritto penale e processuale nella nostra civiltà, ed anche un bilancio degli effetti dell'applicazione della legge e le previsioni circa la sua estensione ai processi per altre forme di criminalità organizzata, non possono essere compiuti senza tener conto della correlazione con altre caratteristiche ed altre anomalie del nostro sistema processuale e della situazione in cui versa la Giustizia nel nostro paese.

Abbiamo già detto che se può essere fatto un accostamento tra legge sui pentiti e tortura, e se il »pentitismo segna una svolta involutiva nel sistema della prova penale, ciò è dovuto all'abuso della carcerazione preventiva, all'istruttoria scritta e in gran parte segreta, all'indulgenza verso i maxiprocessi, frutto a sua volta almeno in parte, della gran varietà di reati associativi previsti dalle nostre leggi e, non ultimo in ordine d'importanza, al regime carcerario.

Queste considerazioni valgono anche a spiegare il fenomeno cui ripetutamente si è fatto cenno: quello cioè di una estensione di fatto delle prassi introdotte dalla legge sui pentiti a processi nei quali, per la natura dei reati in discussione, tale legge non sarebbe applicabile.

Vediamo dunque come si articoli tale collegamento e come ne scaturiscano conseguenze così gravi.

Se la carcerazione preventiva fosse contenuta in tempi ragionevoli e non assumesse il carattere di espiazione anticipata di pena, la scelta dell'imputato non avrebbe altro oggetto che la sua sorte all'esito del processo e sempreché questo dovesse avere per lui esito sfavorevole. In altre parole l'imputato non ancora raggiunto da prove tali da provocarne la sicura condanna, non avrebbe alcun interesse a »pentirsi ed a contrattare la delazione di complici e magari ad accusare degli innocenti, se non in previsione di un probabile sopraggiungere di tali prove.

Ma quando si pensa alla possibilità di anni di carcerazione preventiva, di mandati di cattura a ripetizione e di conseguenza all'irrogazione di una pena certa già in attesa della sentenza, allora i termini della scelta cambiano completamente. La legge prevede per i pentiti responsabili dei reati più atroci, puniti ordinariamente con l'ergastolo, una pena di gran lunga inferiore al massimo della carcerazione preventiva, anche a prescindere dai sistemi in uso per eludere tale termine.

Questi dati di fatto fanno sì che sia tutt'altro che fantasioso ritenere che qualche imputato possa essere indotto ad imboccare la via del »pentimento , pur non avendo di che pentirsi. A parte casi limite come quello di cui abbiamo parlato all'inizio di queste pagine, in molte situazioni in cui è perlomeno discutibile che l'imputato possa dirsi effettivamente colpevole, non è contestabile che possa determinarsi un'effettiva convenienza al »pentimento anche da parte di chi avrebbe tutto il diritto di essere riconosciuto innocente ed anche ottime probabilità di pervenire a tale risultato. Si pensi poi alla labilità dei criteri con i quali si può passare da un'imputazione assai maggiore ad una minore (concorso-favoreggiamento etc.), per rendersi conto che la scelta di un rapporto di collaborazione piuttosto che la strenua difesa della propria innocenza, diventi per l'imputato la soluzione più »ragionevole , anche in situazioni nelle quali a prima vista dovrebbe ritenersi inconcepibile un tale comportamento.

A tutto ciò si deve aggiungere l'incidenza del regime carcerario. Non c'è bisogno di spendere molte parole per dimostrare che esso nel nostro paese è tale da poter essere definito insopportabile anche per soggetti meno vulnerabili e più solidi fisicamente e

psichicamente. Ad aggravare l'effetto della sofferenza del carcere preventivo ed a determinare la possibilità di una specifica utilizzazione di esso analoga a quella dei tormenti inflitti con la tortura nelle istruttorie regolate da leggi che oggi tutti considerano barbare, c'è poi da considerare lo speciale regime carcerario generalmente inflitto agli imputati di terrorismo o indiziati di appartenenza ad organizzazioni criminali, attraverso l'istituzione di »bracci speciali , in base all'art. 90 della legge carceraria o per meglio dire usando arbitrariamente tale norma.

Se ciò non bastasse c'è poi la misura dell'isolamento »per esigenze istruttorie , prolungata per mesi e mesi. Un espediente nel quale si sono specializzati, ad esempio, alcuni Magistrati della Sardegna. Qui l'accostamento con la tortura viene spontaneo. E non è un caso che proprio in un processo alla Assise di Cagliari - il processo Manuella - sia esploso lo scandalo dei pentimenti che, ottenuti con metodi simili, avevano portato ad incriminazioni infondate.

L'uso spregiudicato della carcerazione preventiva come mezzo per estorcere pentimenti, ed, anche senza giungere a tanto, il fatto obiettivo della carcerazione preventiva come condizione nella quale la scelta del »pentimento matura in maniera distorta e pericolosa, è a sua volta aggravato dal fatto che l'istruttoria avviene in forma scritta e praticamente segreta. Invocare l'esempio del »testimone della regina nel processo inglese non ha senso, ove si consideri che lì la prova non viene raccolta nel segreto dell'istruttoria, né la scelta di optare per la collaborazione in cambio dell'impunità matura attraverso le sofferenze inflitte con la carcerazione preventiva illimitata.

Si può obiettare che, in fin dei conti, tutti gli inconvenienti che abbiamo descritti, se sono effettivamente suscettibili di determinare conseguenze assai gravi dell'uso della legge dei pentiti, sono però essi stessi frutto di altri abusi, così che non si potrebbe far carico tanto alla legge dei pentiti, ma piuttosto alle violazioni ed all'uso distorto di altre norme processuali, di portare a conseguenze aberranti. Ma siffatti abusi, o semplicemente i difetti del sistema processuale penale, non sono fatti che possono essere ignorati, né rappresentano delle eccezioni. Del resto la legge sui pentiti è stata adottata sul presupposto che »il fine giustifica i mezzi e che tutto il meccanismo penale, nei suoi aspetti sostanziali e processuali, debba essere improntato al conseguimento di un'utilità sociale immediata, non identificabile con lo stesso rispetto delle leggi nel loro armonico e stabile assetto complessivo, ma con le esigenze imposte dalle varie »emergenze che di volta in volta si presentano. Tale con

cezione non può ritenersi accettabile solo in funzione di una singola legge che contraddica l'armonia dell'ordinamento: una volta accettata è logico che ad essa ci si ispiri anche quando si tratta di applicare e di osservare quelle altre norme e principi, dai quali dovrebbe attendersi una salvaguardia contro possibili inconvenienti della legge dichiaratamente eccezionale ed anomala rispetto al sistema. Certo, a questo punto interviene il discorso della responsabilità del Giudice, il suo dovere di perseguire la verità con senso di equità e con mezzi umani e ragionevoli: il discorso del Manzoni in contrapposizione alla semplice e netta condanna della iniquità della legge di Pietro Verri. Ma, a parte il fatto che anche questi discorsi è opportuno farli e farli subito senza attendere, come per la storia del processo degli untori, un Manzoni dei secoli venturi che ricerchi responsabilità di uomini e problemi di coscienza per le ingiustizie di oggi, è certo, come del resto abbiamo detto all'inizio, che compito del

le leggi, e delle leggi di uno Stato libero, è quello di non prestarsi a distorsioni ed abusi, ma invece di prevenirli e di ovviarli.

Se le considerazioni che abbiamo svolte non sono arbitrarie e fantasiose, è chiaro che un bilancio degli effetti della legge sui pentiti non può essere fatto senza tener conto di questa complessa realtà.

Quanti »pentimenti sono effetto degli sconti di pena promessi dalla legge e quanti semplicemente della disperata ricerca di uscire dal tormento intollerabile di un carcere speciale? Quanti »pentiti hanno detto quello che realmente sapevano e quanti hanno semplicemente confermato quello che veniva loro domandato o suggerito o addirittura hanno inventato fatti e persone, o magari hanno dato per conosciuto ciò che hanno dedotto, ipotizzato, sentito dire, per mettere insieme quella »eccezionale rilevanza dei mezzi di prova forniti in cambio del massimo sconto delle pene, della liberazione condizionale, della libertà provvisoria? Quanti Giudici hanno vagliato, sottoposto ad effettivi riscontri le dichiarazioni dei pentiti, le hanno usate solo per andare alla ricerca di prove effettive, e quanti invece hanno accettato il concetto che è il pentito che »fornisce elementi di prova ? Quante detenzioni preventive sono state ordinate e prolungate nella speranza che il detenuto, colpevole o innocente, avesse qualcosa

da dire e si disponesse a parlare, come unica via d'uscita?

Nessuno nega che la legge sui pentiti abbia ottenuto dei risultati, abbia aperto delle brecce nella compattezza dei terroristi catturati, fino a qualche tempo prima sempre coerenti al loro ruolo di »prigionieri politici . Ma, a parte il fatto che cedimenti, confessioni e collaborazioni sono certamente state conseguenze più del senso della sconfitta e dell'inutilità sia delle gesta terroristiche realizzate, sia dello scotto da pagare, che dell'intrinseca efficacia della promessa d'impunità, è certo che un bilancio non può essere effettuato senza contare tutte le voci del passivo, che sono quelle che poi emergono più lentamente, spesso a distanza di tempo e quasi sempre con interessi enormi.

Vi sono delle considerazioni, in ordine a questi effetti a lungo termine che concorrono a fornire il quadro completo delle conseguenze di questa legge, che portano a riflessioni amare.

La sconfitta del terrorismo è dovuta prima di tutto e sopra tutto al fatto che le azioni terroristiche non sono mai riuscite ad imporsi al paese come azioni politiche sostanzialmente diverse dagli atti di delinquenza comune. Il trattamento riservato oggi ai terroristi responsabili degli stessi fatti, a seconda che siano o no passati alla collaborazione con lo Stato, fa sì che, proprio per dare una giustificazione meno brutale a tale operazione, un metro politico viene adottato a posteriori per giudicare i terroristi (e quindi il terrorismo) cioè quel metro politico che si è voluto negare a priori.

Se il »pentito non è più punito perché ora »è con lo Stato , il terrorista irriducibile è punito, è delinquente, perché »è contro lo Stato . E questo metro si sovrappone ad ogni altro e cancella ogni altro.

 
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