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Taradash Marco - 13 ottobre 1984
DIBATTITO PRECONGRESSUALE: MARCO TARADASH

SOMMARIO: Il 1984 ha decretato che il PR è l'unico "luogo della politica" del nostro Paese: l'anomalia radicale è frutto della disfunzione del sistema politico. Il 1984 è stato l'anno del "questione droga", della "questione giustizia", della "questione della sopravvivenza" - nonostante in Parlamento non sia passato il disegno di legge Piccoli-Cicciomessere contro lo sterminio per fame. Il PR non produce più né dirigenti né militanti per l'incapacità di offrire alternative efficaci. Il progetto per il 1985 è il terreno reale per la ridefinizione delle forme del partito, ponendo tre campi dell'azione della politica radicale: il campo dell'iniziativa antiregime; il campo dell'informazione (di fronte alla spartizioe del controllo dell'informazione la voce del PR è pressocché nulla); il campo degli schieramenti (l'analisi dei comportamenti del PCI ha dimostrato che l'alternativa non è più auspicabile, ciò cui dobbiamo mirare è la consociazione).

(NOTIZIE RADICALI N. 71, 30 aprile 1984)

Anche nel 1984 il Partito radicale si è dimostrato l'unico "luogo della politica" del nostro paese. E' la necessaria premessa di ogni analisi critica e di ogni critica. "Chi può, con l'irruenza di Pasolini" leggevo qualche giorno fa sul "Manifesto" "parlare oggi di riforma della scuola, di democratizzazione della stampa, provocare dicendo che si deve abolire la televisione, o sostenere che non ci può essere futuro per il paese se prima non si processano gli uomini politici che ci hanno governato per quarant'anni?". Chi non so. So però che si può ancora, e si può solo (oggi come nel 1975) nel Partito radicale. E' con amarezza che osservo l'"anomalia radicale", come una disfunzione del sistema politico, non con entusiasmo patriottico, sia chiaro. vorrei che lo scontro politico fosse fatto di grandi opzioni e di piccole scelte quotidiane, ma vere (le une e le altre sono il canovaccio della democrazia). Sappiamo che non è così.

E mi pare un segno di rispetto di una realtà storica rimossa e seppellita, anno dopo anno, ricordare che l'anno 1984 è stato per la politica italiana anche l'anno della "questione giustizia" grazie (soprattutto: si rileggano le cronache prima e dopo) allo scandalo della candidatura Tortora, e l'anno della "questione droga" (o meglio per chi l'ha capito, della "questione criminale") oltre che quello della "questione morale" cui i partiti della maggioranza e il Pci hanno portato ciascuno il proprio contributo in termini di mandati di cattura oltre che di agitazione verbale. E l'avvio della "questione sopravvivenza" - questa ancora di più negletta da stampa e teste pensanti - e cioè di una risposta (e altre non ci sono) sui temi dello sviluppo, della sicurezza, del disarmo, tanto più generale nei termini di una politica estera non subalterna né ai blocchi né ai nuovi ricchi del Terzo mondo ma "occidentale", quanto più definita nel suo impianto concreto (tanti soldi, tante vite, tanto tempo).

Quale il lascito altrui? Nessuna grande legge, nessuna grande proposta politica. Pur in un anno ricco di rotture, contrasti e non solo di facciata. Segno tanto più allarmante di un esaurimento generale e - stando così le cose - irrimediabile. Palude, lento (oggi più rapido) affondarvi, gran dibattersi (ecco gli scandali, le forzature, i massimalismi) per restare a galla. Col Pci di cui la morte di Berlinguer rivela tutta la genericità politica.

Questa la situazione in cui si colloca l'attività del Pr, e anche la "crisi" del Pr. Che io non nego esista, come invece altri compagni hanno fatto, finendo, mi pare, per trasformare in luogo comune quello che è stato tante volte un giusto rifiuto del luogo comune della "crisi radicale".

Il fatto è che questo partito si avvita su se stesso. Il "partito di fatto" è oggi mai come in passato diverso e distante dalla sua configurazione statutaria: ha una forma chiusa in se stessa e respingente. Lo statuto descriveva il partito dell'alternativa in competizione dentro un sistema di democrazia effettiva? Cioè in condizioni terribilmente diverse da quelle in cui è possibile oggi praticare la politica? E' vero.

Ma questa nostra analisi della realtà deve meno che mai consentirci un'interpretazione sciatta della realtà esterna e di quella del partito. E ci impone quella riflessione sullo statuto che abbiamo rimandato di anno in anno in attesa di una chiarificazione che non troveremo finché non cercheremo. Propongo perciò che il congresso ne deliberi modi e tempi. Il rinviare ancora questa scelta aggrava il rischio che all'interno del partito si consolidi una casta infelice costretta a centralizzare le risorse, che spera e reclama impulsi e sostegni dal suo esterno ma che non offre alcuna possibilità reale di altra produzione politica. Il partito non produce più né militanti né dirigenti, né "compagni di strada". Le responsabilità di questo stato di fatto, che è sotto gli occhi di tutti, sono di ciascuno di noi, per l'incapacità di suggerire alternative efficaci. Il progetto politico per il 1985 è il terreno reale della ridefinizione delle forme del partito. Spero che nel prossimo congresso non ci siano nuove ricadute

nella retorica dei "vessilli" e simili.

In congresso dovremo probabilmente prendere atto che la legge Piccoli-Cicciomessere contro lo sterminio per fame non è stata approvata dal Parlamento. Dovremmo allo stesso tempo riconoscere (uso deliberatamente un linguaggio capovolto) che rispetto all'anno precedente i criteri fondamentali della legge hanno realizzato - a certi livelli - un netto avanzamento in termini di attenzione politica e diffusione di conoscenza. Senza darsi buona coscienza, senza facilità di nessun genere, dobbiamo usare della dura esperienza di quest'anno e dei cinque passati. Lottando per la legge come se ogni giorno dell'anno fosse quello decisivo, ma sapendo che va mobilitata l'intera capacità di azione politica radicale nei suoi vari campi per cercare le condizioni più favorevoli all'approvazione della legge.

I campi dell'azione politica radicale, appunto. Farò alcune proposte per circoscriverli e "armarli":

1) Il campo dell'iniziativa antiregime. Appare sempre più evidente il fallimento del tentativo di una rifondazione democratica ad opera della partitocrazia, che qualcosa ha tentato con la commissione per le riforme istituzionali. Il "tavolo" istituzionale è truccato. Il 1985 rischia di essere decisivo: in direzione del caos, probabilmente, magari in coincidenza con l'elezione del presidente della Repubblica. Ma il lavoro della commissione Bozzi era viziato in partenza dal rifiuto di intervenire sul rapporto fra lo Stato e le forze organizzative intermedie: partiti e sindacati, all'interno dei quali garanzie giuridiche individuali e democrazia sono stati di fatto - e di solito anche di diritto - espulsi.

Mi pare necessario (direi quasi "naturale") che il Pr intervenga in questa zona d'ombra del dibattito istituzionale per dotarsi di una proposta forte in vista e in preparazione di un referendum sul finanziamento pubblico dei partiti (che oggi non riusciremmo probabilmente a promuovere).

2) Il campo dell'informazione. "Chi potrebbe oggi parlare di democratizzazione della stampa?". Eppure di fronte alla nuova spartizione del controllo dell'informazione in tutti i suoi settori la voce in capitolo del Pr è pressocché nulla. Perché suonerebbe come quella del grillo parlante? E' una parte della verità, non tutta: in assenza di un'idea forza ben definita, c'è che siamo portati a correre dietro gli eventi. Dovremmo, credo, concentrare meglio attenzione e iniziative su una nostra antica e solitaria scoperta, la tutela del diritto di essere informati, puntando ad esempio (così la vedo io) sull'abolizione della commissione parlamentare di vigilanza e la sua sostituzione con un organo di controllo sull'intero sistema pubblico e privato, televisivo e no (fra l'altro c'è l'ottimo esempio della Federal Commission americana, un organismo dai poteri ampi e incisivi che risponde della sua azione al Parlamento).

3) Il campo degli schieramenti. Tutte le lacrime possibili sono state ormai versate sulla sterilità dell'idea di "alternativa" dopo l'aborto che di essa ha procurato il Pci. L'analisi dei comportamenti del Pci ci ha portato a dire di più: l'alternativa non solo non è possibile, ma neppure auspicabile, nel momento in cui il partito comunista si dimostra in tutti i momenti chiave il perno fondamentale della partitocrazia.

Più che l'alternativa oggi l'obiettivo di una forza democratica deve essere la bancarotta della "consociazione": per questo il Pr deve con forza opporsi al referendum comunista che punta a riacquistare al partito non tanto la solidarietà operaia quanto il potere di veto parlamentare. Ma al tempo stesso non dobbiamo consentire al Pci di fare impunemente bottino del patrimonio di speranza collettiva che c'è dentro l'idea forza di una Dc all'opposizione. Dobbiamo cercare le forme della comunicazione che dicano alla gente di sinistra che la sconfitta è certa finché i comportamenti del Pci saranno espressione di autoritarismo, trasformismo, opportunismo.

In questo senso faccio una proposta che può essere articolata in molti modi: un'"indagine sul Pci" cadenzata nei mesi, nelle forme che si troveranno (borse di studio, convegni, pubblicazioni, ecc.) rispetto a istituzioni (es: Parlamento, gli enti locali, la magistratura), economia, informazione, magari la scuola.

Costerà soldi, questa iniziativa come le altre. Non rimuovo il problema dell'autofinanziamento. Così come non rimuovo quello delle liste "verdi e azzurre". Mi fermo però a questo punto, perché credo che il senso di un dibattito precongressuale sia - in questo particolare momento - quello di delineare, pagando qualche prezzo di genericità e di "velleitarismo", una configurazione del partito piuttosto che un'altra.

 
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