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Battista Vittorio - 23 ottobre 1984
IL CASO ITALIA: (36) La crisi del rapporto giudice-difensore
di Vittorio Battista - LO STATO DELLA GIUSTIZIA IN EUROPA - I· CONVEGNO

STRASBURGO, 23.24 OTTOBRE 1984 - PARLAMENTO EUROPEO

SOMMARIO: Gli atti del convegno su lo stato della giustizia in Europa "Il caso Italia".

Con questa prima iniziativa, parlamentari di tutte le correnti politiche comunitarie intendono verificare lo stato della giustizia in Europa.

Deroghe nei confronti di alcune garanzie democraticamente poste a tutela dei diritti della persona, sanciti dai trattati comunitari e dalle costituzioni nazionali, si registrano in diversi paesi della comunità europea. Molto spesso queste violazioni delle fondamentali libertà civili sono state giustificate dall'insorgere di forme violente di contestazione politica, dall'esplosione di fenomeni terroristici o dal rafforzamento delle organizzazioni criminali.

Avviare il processo di ristabilimento democratico della legalità compromessa, rappresenta l'impegno dei promotori di queste iniziative.

Il primo caso che viene esaminato è quello italiano. In due giorni di discussione a Strasburgo il 23 e 24 ottobre.

("IL CASO ITALIA", Lo stato della giustizia in Europa - I· Convegno - Strasburgo, 23-24 Ottobre 1984 - Parlamento Europeo - A cura del Comitato per una Giustizia Giusta - Cedam Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova 1985)

VITTORIO BATTISTA

La crisi del rapporto giudice-difensore

La relazione Mellini, nella vasta e penetrante panoramica sui dissesti che caratterizzano lo stato della giustizia nel nostro Paese, non ha mancato di mettere in evidenza uno fra i più preoccupanti aspetti del »caso Italia sul quale ritengo doveroso soffermarmi: la crisi del rapporto giudice-difensore, un rapporto degradato ben presto nella incomunicabilità e, quel che è peggio, nella manifesta insofferenza nei confronti della funzione difensiva, in taluni ma non rari casi perfino criminalizzata.

Affermato e ribadito ancora una volta che il libero esercizio di detta funzione costituisce "l'unica" garanzia del rapporto di legalità fra cittadino e Stato, è agevole intravedere i cupi orizzonti che gravano sulla collettività ogni qual volta - malgrado la Costituzione sancisca "l'inviolabilità" del diritto di difesa - la funzione difensiva sia mortificata e svilita od anche solo compromessa nella credibilità del suo ruolo.

Non è qui il caso (forse altri lo faranno in questo convegno) di citare i tanti dolorosi casi di avvocati colpiti da incriminazioni non corrette, quasi sempre contestate con provvedimenti restrittivi della libertà personale: incriminazioni e arresti manifestatisi, successivamente, del tutto infondati se non pretestuosi e, nelle migliori delle ipotesi, non meditati. Cito soltanto ed emblematicamente - soprattutto perché riguarda una vicenda del tutto estranea alla politica - il caso dei quattro avvocati cagliaritani i quali, detenuti per ventidue mesi sotto il peso schiacciante di gravissime imputazioni, furono poi assolti con la più ampia formula dalla Corte d'assise con una sentenza che mise a nudo l'inconsistenza originaria delle fonti di accusa e le deviazioni dell'istruttoria.

Per questo e per tanti altri drammatici episodi, l'Ordine Forense italiano, a conclusione di un'assemblea straordinaria di tutti i presidenti degli Ordini, nel dicembre scorso votò una mozione nella quale si denunciò, fra l'altro, che »"l'esercizio del ministero difensivo è spesso svolto in una situazione di grave difficoltà per la diffidenza ed il sospetto dal quale è investito il ruolo stesso del difensore, considerato da vari magistrati come causa di intralci e di ritardi e come tale visto non soltanto con disfavore e con fastidio, ma anche come ostacolo da rimuovere" .

Rilevato, nella detta occasione, che i fatti evidenziavano un contrasto di natura culturale fra l'avvocatura ferma nella sua vocazione garantistica e talune fasce della magistratura la cui condotta appariva sottoposta ad una involuzione di marcato carattere inquisitorio, si affermò con estremo vigore che, "nell'interesse generale", necessitava recuperare, nella pratica giudiziaria, i genuini valori costituzionali, superando i perniciosi effetti della legislazione dell'emergenza.

Il documento espresso dall'Ordine Forense, in un'assemblea che si qualificava per la più alta rappresentatività, costituiva un monito per i pubblici poteri ma era anche un "appello al popolo" perché avesse compiuta scienza e coscienza delle irrisarcibili e nefaste conseguenze di quanto gli »addetti ai lavori stavano maturando nella loro sofferta esperienza quotidiana. E vale la pena a questo punto di ricordare che, in un convegno tenutosi a Roma nel maggio del 1981 sul tema »La difesa del cittadino espressione di civiltà e di libertà , il prof. Nuvolone - che partecipa a questo convegno illustrandolo con la sua adesione - ammoniva: »"I dittatori, e gli aspiranti dittatori, hanno sempre incominciato, prima di abolire la libertà di tutti, a mortificare la libertà della difesa" !

Epperò quel denunziato contrasto culturale fra avvocatura e magistratura invece che ad attenuarsi tende piuttosto a sistematizzarsi determinando situazioni che - i magistrati debbono una buona volta rendersi conto di ciò - destabilizzano irrimediabilmente le strutture su cui si regge lo Stato di diritto: credo sia indiscutibile che la compressione e quindi la perdita di ruolo e di credibilità della funzione difensiva comporta fisiologicamente la caduta di credibilità della stessa funzione giudiziaria.

L'ormai ipercitato aneddoto del modesto contadino prussiano, che, pur nell'assolutismo del grande Federico, si dice certo che »a Berlino ci sarà giustizia , sarà forse storicamente inattendibile ma è certamente e massimamente dimostrativo dell'antica aspirazione di giustizia come anelito di civiltà di tutti i tempi. Giunti sulle soglie del duemila, quell'aspirazione è ancora oggi - specialmente oggi - sentita come esigenza fondamentale della società civile.

Bene è stato detto che il giudice, oltre che essere, deve anche apparire imparziale. Ma tale non è apparso - e la sua funzione perciò sarà ed apparirà inquinata e quindi non credibile - quel magistrato di un tribunale del sud il quale, dopo aver premesso che l'avvocato può essere necessario partecipe di valori espressi dal cliente e quindi genera sospetti(!!), ha affermato che »"alle varie emergenze è necessario porre rimedio e pertanto il giudice perde sempre più la propria terzietà fra Stato ed imputato per diventare strumento di attuazione concreta della potestà punitiva dello Stato" .

Così come giammai appariranno e saranno credibili nell'esercizio della loro funzione quei magistrati (questa volta del nord) che, solidarizzando con un documento diffuso a mezzo stampa con un loro collega sul cui operato, gravemente violatore del diritto di difesa, era caduta la censura di un procuratore generale, hanno duramente contestato questi perché aveva »"fatto proprie espressioni verbali che, per la loro asprezza, sono solitamente patrimonio esclusivo della dialettica difensiva delle parti private e solo per tale motivo appena tollerate nelle aule di giudizio" ! Ecco, dunque, la prova documentale di quel contrasto di cultura che poc'anzi citavo. Siamo al difensore »tollerato e guai a quel magistrato che incautamente ne mutuasse le espressioni.

Si tratta di episodi sporadici, inadeguati a caratterizzare la crisi del rapporto giudice-difensore?

Niente affatto, purtroppo, perché la cronaca offre tanti (e analoghi) elementi di valutazione e qui, per dovere di sintesi, sto citando accadimenti registrati da un capo all'atro d'Italia come punte emergenti di un vasto iceberg in rotta di collisione con lo Stato di diritto.

Ho appena parlato del difensore »appena tollerato , ma conviene che accenni anche al »"difensore alternativo" .

Lo ha auspicato, ora è qualche mese, un presidente di Corte d'assise (ritorniamo, ora, nel sud) il quale, dopo aver scritto la sentenza, ha ritenuto di pubblicarne un commento per una »"valutazione politico-culturale della decisione" e, pur ammettendo che tale sua iniziativa era »"non consueta" , ciò malgrado (ha scritto) »"il processo e la sentenza suscitano un più ampio dibattito nel quale al giudice che ne è stato protagonista" (è scritto proprio così!) "si apre uno spazio ulteriore di intervento" .

Ebbene, ha dichiarato questo magistrato, »"la funzione dell'avvocato si è di fatto allontanata dal modello tradizionale che lo voleva collaboratore della giustizia" con la conseguenza che »"si concepisce come priva di limitazioni, sicché ogni espediente diventa lecito purché possa caratterizzarsi come difensivo, e l'unico limite negativo è costituito dal favoreggiamento dell'imputato delinquente ossia da un comportamento criminale" .

Ne scaturisce - sempre secondo la citata fonte - una »"difesa aggressiva" e addirittura »"selvaggia" . Per cui, ha concluso il magistrato, »"bisognerà invertire la tendenza" e »"fare appello alle forze intellettuali migliori all'interno della stessa avvocatura per configurare un modello alternativo di difensore, elaborando i principi di una deontologia nuova" .

E' questa una voce sola e perciò isolabile? Purtroppo no perché, nel settembre del 1983, il Consiglio superiore della magistratura, in un elaborato documento noto come Piano antimafia contenente articolate proposte per fronteggiare questo aspetto dell'emergenza, aveva proposto la costituzione di un Comitato di magistrati il quale, destinato ad avere stabili rapporti con la Commissione parlamentare antimafia e con l'alto commissario, avrebbe avuto anche il compito di »"prendere contatto con gli ordini forensi nazionali per discutere il ruolo dei difensori nei processi di mafia" .

Il Consiglio superiore non è andato più in là di questa espressione per un verso ermetica e per un altro densa di significati sinistri ed allarmanti. Il presidente del Consiglio nazionale forense, inaugurando nei giorni successivi il XVII Congresso nazionale, raccolse ed espresse l'indignazione senza commento dell'avvocatura italiana, contestando che si potesse »mettere in discussione il ruolo del difensore in qualsiasi processo ed in qualsiasi modo.

L'avvocato non è mai stato e non potrà mai essere »collaboratore nel senso delineato da quel presidente di Corte d'assise e non accetterà mai che il suo ruolo sia »messo in discussione .

A chi, errando, ha opposto il »modello tradizionale occorre ricordare che, oltre cento anni fa, Zanardelli, nel famoso discorso sui diritti e sui doveri dell'avvocatura, ammonì che la »collaborazione dell'avvocato alla giustizia non si svolge nell'interesse astratto dello Stato ma nel solo interesse del cittadino. Mi duole ripetere, anche in questa occasione, un concetto (che, poi un principio) fondamentale, ma, tant'è, il già citato contrasto di culture impone di ribadire sempre che l'avvocato era, è e "deve rimanere" difensore del diritto "tutte" le volte in cui tale diritto è ritenuto leso in danno del proprio assistito; che, pertanto, la funzione va esercitata, quando occorre, con la più doverosa energia (a costo di essere qualificata »aggressiva e addirittura »selvaggia ); che, di conseguenza, una volta accettato il mandato difensivo, l'avvocato non può perseguire fini che pretermettono gli interessi del proprio cliente perché la sua presenza nel processo (non quale »convitato di pietra ) realizza un

o dei fini dello Stato di diritto che è quello di garantire a tutti, nessuno escluso, il processo giusto e quindi il diritto ("inviolabile") di difendersi. Aggiungo e ripeto che questo è il modello di avvocato che il giudice dovrebbe auspicare per la serenità della sua coscienza e per la credibilità stessa della sua sentenza, che sarà ed apparirà imparziale e giusta solo quando sarà filtrata attraverso la più rigorosa verifica e la più garantita dialettica fra le parti.

Né si venga a citare qualche singolo caso di indegnità. In tutte le categorie, magistrati non esclusi, si annoverano le »pecore nere : ma ciò non autorizza a generalizzare; né ad elevare a livello fenomenologico la patologia di qualche episodio (posto che si sia verificato); né, ancora meno, a »mettere in discussione principi costituzionalmente protetti.

Il »caso Italia registra, dunque, anche questa crisi come aspetto minaccioso della »emergenza della legalità che ha i connotati propri della »emergenza morale . Occorre produrre ogni sforzo per recuperare alla pratica del diritto, alla »giustizia giusta (come paradossalmente scandisce l'epigrafe di questo convegno) i ruoli - essenziali - del giudice e dell'avvocato; perché la reciproca intangibile indipendenza possa esaltarsi nell'applicazione della legge e nel rispetto della Costituzione.

Io credo che gli avvocati, degni di questo nome e del rilievo della loro funzione, siano pienamente coscienti, nel rigoroso svolgimento del loro esercizio, che l'attuale momento storico conferisca loro una responsabilità più alta che nel passato.

 
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