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Melega Gianluigi - 10 novembre 1984
Mille buone ragioni per disdire
Sono ormai pochi i giorni utili

di Gianluigi Melega

SOMMARIO: E' il momento di fornire nuovamente le ragioni della nostra battaglia per disdire il canone per la tv: la prima è che in uno Stato democratico lo strumento dell'informazione pubblica ha una responsabilità primaria nel portare a conoscenza del cittadino i programmi, i comportamenti delle forze politiche in ballottaggio, e in questo la RAI non è solo insufficiente ma addirittura di parte; in secondo luogo perché non è accettabile che la RAI vada in passivo pur avendo due fonti di introiti (canone e pubblicità) mentre le reti private proliferano avendo il solo introito pubblicitario. Infine, c'è una motivazione giuridica: è ingiusto il pagamento di un servizio che viene fornito attraverso uno strumento che serve a tante altre cose; la RAI dovrebbe attrezzarsi per bloccare a chi non paga il canone, la fruizione del servizio che essa fornisce e solo di quello.

(NOTIZIE RADICALI N. 74, 10 maggio 1984)

Poiché un numero crescente di italiani fa propria ogni anno la proposta radicale di dare la disdetta del canone Tv della Rai, forse non è inutile chiarire a noi stessi, per meglio spiegarlo ad altri, perché questa iniziativa è utile e per quali ragioni diverse la si può intraprendere.

Se il Cipe e la maggioranza delle forze politiche approveranno la proposta di aumentare e unificare il canone per televisori a colori e in bianconero, l'aumento del canone dovrebbe portare nelle casse della Rai una somma aggiuntiva di 240-245 miliardi nel 1985.

Nel 1983, gli abbonati Rai hanno pagato, per canoni televisivi, 865 miliardi. Su questi, lo Stato ne ha prelevati 222, lasciandone alla Rai circa 643.

Per il 1985 la Rai prevede un deficit di gestione di circa 335 miliardi. L'aumento del canone e l'aumento del gettito pubblicitario lo coprirebbero a malapena, stando ai ragionieri Rai. E in ogni caso, sia direttamente (attraverso l'aumento) sia indirettamente (attraverso un contributo straordinario o a una rinuncia ai prelievi fiscali da parte dello Stato), sarebbe il cittadino italiano a chiudere questo buco.

A meno che...

Allora, anzitutto c'è una buona ragione politica per non pagare il canone Rai. Come dice il modulo distribuito dal Comitato per la disdetta del canone, "perché la Rai disinforma".

In una democrazia, dove l'aggregazione del consenso popolare intorno alle proposte politiche è il passaggio fondamentale per una gestione democratica del potere, lo strumento dell'informazione pubblica ha una responsabilità primaria nel portare a conoscenza del cittadino i programmi, i comportamenti e i consuntivi degli uomini e delle forze politiche in ballottaggio.

Come radicali, abbiamo documentato fino a saturazione, in termini di minuti primi e secondi, come per anni la Rai abbia fatto disinformazione sulle proposte politiche del Pr: per un radicale, quindi, questa motivazione basta e avanza.

Per chi radicale non è, o per chi non sente l'importanza di questa motivazione per disdire il canone, ci possono però essere altre buone ragioni per prendere parte alla campagna radicale.

Anzitutto, in termini di lotta contro uno spreco che viene assurdamente fatto pagare ai cittadini. Non è accettabile, infatti, che un sistema come quello Rai vada in passivo di gestione per centinaia di miliardi, pur avendo due fonti di introiti (canone e pubblicità), quando le reti private sono in grado di presentare programmi concorrenziali finanziandoli con il solo introito pubblicitario.

Anche qui, la documentazione, radicale e non, sugli sprechi Rai è omai colossale: dalle spese per certi programmi (ricordate il "Marco Polo"?, con un consuntivo che si avvicina ai 40 miliardi di spesa?), a quelle per gli organici inefficienti, dagli immobilizzi di magazzino agli appalti esterni, l'immagine della forma di formaggio traforato da topi voraci rende appena vagamente l'idea di ciò che accade in Rai.

E perché un cittadino non radicale dovrebbe sopportare e finanziare questa truffa ai propri danni? Ecco un eccellente motivo per dare la disdetta del canone.

C'è poi una ragione giuridica per sottrarsi a un balzello ingiustificato. Se il canone Rai non è una tassa, ma il pagamento di un servizio che viene fornito attraverso uno strumento (il televisore) che serve a tante altre cose (ricevere altri programmi, videogames, utilizzazione come computer e collegamento a banche di dati private), perché la Rai non si attrezza per bloccare a chi non paga il canone non lo strumento, come fa ora, ma il servizio che fornisce?

La Rai dice che non c'è marchingegno tecnico capace di bloccare la ricezione soltanto dei suoi tre canali?

A parte il fatto che non è vero, non è una buona ragione per imporre il pagamento del canone a chi vuole possedere e utilizzare un televisore essenzialmente per altri scopi che siano quelli di seguire i programmi Rai.

A molti, questa del canone può sembrare una battaglia ormai superata. Se una maggioranza parlamentare lo vorrà, il problema sarà regolato dalla nuova legge sull'utenza radio-televisiva.

Ma proprio perché la discussione parlamentare su questa legge potrebbe essere il prossimo terreno di confronto politico su valori come la libertà, l'informazione, il pluralismo, la cultura, la democrazia, è oggi importantissimo che il maggior numero possibile di cittadini faccia sapere con un gesto concreto e organizzato di non voler accettare uno stato di cose per molti versi inaccettabile.

La Rai, per anni, con la prepotenza dei potenti, se ne è infischiata delle critiche, delle documentazioni, delle minoranze di opposizione. La disdetta del canone è un gesto che la punge in profondità, ben più efficacemente di qualsiasi altra forma di mugugno o di protesta.

E' uno strumento democratico e nonviolento perfetto. Per questo vale la pena di farlo utilizzare dal maggior numero possibile di cittadini.

 
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