di Ernesto Galli Della LoggiaSOMMARIO: Il concetto di modernità è ambiguo e appartiene piuttosto alla filosofia; comunque, quando Claudio Martelli fa ad esso ricorso non innova molto "nella tradizione della sinistra" perchè, sempre, "la sinistra è stata il partito della modernizzazione", anche se "modernità" e "modernizzazione" non fanno tutt'uno con "progresso", inteso anche in senso etico. Perché il problema vero si pone quando si ha crisi nell'identificazione "tra i processi di modernizzazione socio-produttivi" e il "discorso illuministico-razionale". Nell'attuale fase storico-politica appare difficile trovare un punto di equilibrio tra le due esigenze, che sono esigenze di equilibrio tra "efficienza" ed "equità", perchè troppo rapidamente stanno mutando la "geografia sociale" e i rapporti di lavoro, ecc... La sinistra non ha dunque più, ha perduto, un suo specifico programma; l'obiettivo dello "sviluppo tecnico-capitalistico" è stato assunto dalla destra, e la sinistra tende pericolosamente a rifluire su movimenti "anti-efficientis
tici", "anti-industrialistici" di tipo "verde", ecc.
Nella società dell'informatica ci sarà spazio per il partito radicale e dei diritti civili, pur se esso dovrà guardarsi dagli estremismi ideologici dell'antinucleare o dei Verdi.
(LA PROVA, Supplemento di discussione N. 1 - Notizie Radicali n. 3 del 10 gennaio 1985)
1. Non so se effettivamente il dibattito, il botta e risposta che c'è stato a Bologna si sia svolto proprio nei modi in cui la stampa lo ha riportato, anzi credo che la stampa, come spesso fa e per ragioni anche oggettive, ha accentuato e radicalizzato un dissenso che forse non era così pronunciato come ci è stato riferito. Comunque, a parte questo, cosa è la modernità in politica? Non lo so. Direi che anzitutto è un concetto ambiguo, la modernità; la modernità presuppone naturalmente che si sappia dove va il mondo, per cui la modernità in realtà è anch'essa una filosofia, è una filosofia del progresso; in questo senso è un concetto proprio da professore di filosofia. Non mi sembra comunque che la posizione di Martelli sia una innovazione nella tradizione della sinistra, la sinistra è stata sempre il partito della modernità, il partito della modernizzazione, credendo che modernità e modernizzazione facessero tutt'uno con il progresso, progresso inteso anche in senso etico, con i valori positivi. Quindi, non
direi che da questo punto di vista ci sia una vera frattura; la frattura forse c'è quando si comincia a pensare che l'esperienza storica ha dimostrato che questa coincidenza fra modernità e progresso non è affatto così sicura come si pensava nel secolo scorso, come la sinistra ha continuato a pensare anche a lungo in questo secolo, perché noi sappiamo che ci sono state costruzioni sociali, ideologie, politiche in un certo senso molto moderne (faccio il caso più clamoroso e in qualche misura anche più paradossale, quello del nazismo, che senz'altro era un regime con fortissimi connotati di modernità, anche di tipo tecnico-scientifico) che però certo nessuno oserebbe sostenere che militino dalla parte del progresso. Quello che è venuto in crisi è l'identificazione tra i processi di modernizzazione socio-produttivi da un lato e il discorso illuministico razionale, nutrito di valori etici. Noi sappiamo, dall'esperienza di quello che è successo nel mondo in questo secolo, che queste due cose, non necessariamente
coincidono; quindi, questa ripresa antica della modernità, perché secondo me la posizione di Martelli in un certo senso è un ritorno alle origini, è piuttosto singolare, dopo le smentite che ci sono state da parte della storia.
2. Per principio è evidente che ogni società lascia a se stessa un punto di equilibrio, un punto di autoregolamentazione lo trova sempre; naturalmente, però bisogna vedere a che prezzo. Che una società, spontaneamente, grazie soltanto ai fattori tecnici, efficientistici, possa trovare un punto di equilibrio che sia soddisfacente anche dal punto di vista dell'equità, questo non lo credo, perché è palesemente un assurdo; però da questo a sostenere anche il contrario, cioè che criteri di equità (astrattamente definiti poi da chi? in generale, dal ceto politico) debbano avere la meglio sulle forze spontanee della società, anche questa mi sembra una cosa smentitissima dai fatti e che palesemente ormai non funziona; neanche a sinistra nessuno crede ormai in una cosa del genere. In questa fase storica, oggi, è diventato molto difficile trovare un punto di equilibrio tra queste due esigenze, cioè formulare il cosiddetto programma, formulare un programma che contemperi tanto l'efficienza quanto le ragioni dell'equità
, perché viviamo una fase storica in cui assistiamo al cambiamento della cosa fondamentale che poi è la matrice di tutte le trasformazioni sociali, cioè ad una ridefinizione del rapporto produttivo, a una ridefinizione, totale e radicale, delle caratteristiche del lavoro, la più importante delle matrici sociali. Fare un programma è difficilissimo perché non sappiamo, in un certo senso, verso dove andiamo; abbiamo, per chiarissimi sintomi, l'indicazione che il mutamento in corso in questo campo è radicale, però è un mutamento ancora in fieri, e quindi non sappiamo ancora quale geografia sociale ci troveremo davanti, quale consistenza avranno i gruppi privilegiati e i gruppi non privilegiati. Sicuramente ci sarà un gonfiamento del settore dell'occupazione nel terziario, perché il settore industriale perderà molti addetti; e questi addetti probabilmente troveranno una ricollocazione lavorativa nel settore del terziario, però non sappiamo se il settore del terziario sarà, per esempio, in grado di dare delle retr
ibuzioni eque o inique, delle retribuzioni elevate o non elevate (...). In una situazione del genere, quindi, con grande fluttuazione di parametri sociali, è difficilissimo stabilire un programma che tenga fisso il problema, che guardi al problema dell'equità come al proprio asse. La vera ragione di fondo della crisi ideologica della sinistra è che è mutato, sta mutando, anzi sta mutando in modo radicale, il panorama sociale, e quindi la rappresentatività sociale stessa della sinistra è in crisi: la sinistra non sa più a un certo senso chi deve rappresentare e quali sono i bisogni veri di coloro che essa rappresenta, che essa è abituata a rappresentare. Perché c'è anche questo: la sinistra nasce, si è sviluppata sulla premessa di una certa rappresentatività sociale, ma quando il panorama dei gruppi sociali, delle classi muta, si apre un grande punto interrogativo, anche a questo proposito. Chi ha dei programmi oggi nella sinistra? Risanare la spesa pubblica non è un programma, è un obiettivo di governo, da m
e personalmente sottoscritto, ma su questo naturalmente sono tutti d'accordo; poi ci sarà chi riesce a fare seguire alle parole i fatti e chi no, ma questo è un altro discorso, naturalmente. Per programma, però, si intende un'altra cosa; ma io non so chi l'abbia oggi, né in Italia, né fuori d'Italia; in tutta la sinistra mi sembra che ci sia un'assenza di capacità.
3. La destra ha subito grande cambiamento negli ultimi decenni, essa ha abbracciato ideologicamente la causa dello sviluppo tecnico produttivo, nella misura in cui, invece, la sinistra abbandonava questa causa perché sentiva, via via che il tempo passava, che lo sviluppo tecnico produttivo non si identificava affatto con l'emergere di una situazione sociale a lei favorevole, anzi, le erodeva la base della rappresentatività sociale. C'è stato proprio, quindi, negli ultimi decenni, in tutto il mondo occidentale, un completo scambio delle parti che è pericolosissimo per la sinistra, perché a questo punto la sinistra rischia di impossessarsi essa di temi che sono storicamente e tradizionalmente della destra, cosa che infatti è successa. Il fatto che la sinistra abbia patrocinato, essa soprattutto, movimenti di tipo ecologista, localista, nazionalistico, autonomistico eccetera, indica chiarissimamente questa appropriazione, questo scambio delle parti avvenuto. Le ragioni dell'efficienza e della produttività erano
un tempo di quello sviluppo capitalistico di cui Marx è stato uno dei massimi cantori. Marx era un entusiasta dello sviluppo tecnico, proprio delle ragioni dell'efficienza capitalistica, perché pensava che questo avrebbe prodotto una classe operaia fortissima, maggioritaria nella società e che, quindi, questo fenomeno avrebbe fatto avanzare verso il socialismo. La sinistra ha ceduto a una cosa del genere più o meno fino ai tempi recenti, poi a un certo punto si è venuta accorgendo che non era così, e a questo punto la destra è diventata la paladina di queste ragioni, e la sinistra sempre di più tende a rifluire su movimenti sociali di tipo anti-efficientistico, anti-industrialistico. Si sta disegnando un interessantissimo mutamento che rischia, però, naturalmente, di infliggere un colpo mortale alle fortune politiche della sinistra, così come in un certo senso lo ha inflitto decenni fa alla destra.
4. E' chiaro che l'alternativa è un corollario di altre cose precedenti; se queste vengono meno, diventano evanescenti e quindi la sinistra non riesce più ad avere un'ipotesi credibile per lo sviluppo sociale; se la sua ideologia anti-industrialista, anti-modernista eccetera, è chiaro che anche l'alternanza, l'alternativa acquista un significato sempre più evanescente e comunque diventa politicamente perdente, cosa che si sta verificando; oggi come oggi, a livello delle relazioni industriali, le fortune politiche della sinistra sono certamente in forte ribasso. Intendiamoci, noi stiamo facendo un discorso che non riguarda la politica immediata, perché se questo discorso lo si vuole trasportare in Italia, allora le specificazioni del caso che bisognerebbe fare sarebbero numerosissime e poi, magari, potremo anche concludere che in Italia, invece, data la nostra congiuntura politica, i nostri schieramenti politici, concetti come quelli di alternanza e alternativa sono ancora concetti che corrispondono a dei fat
ti reali e quindi sono politicamente agibili. Ma, se ci teniamo su un livello più ampio del discorso, io veramente non ho nessuna ricetta da offrire. Sarebbe grottesco, dopo aver posto le cose a questo livello, che avessi io personalmente una proposta. Penso che sia ragionevole che a sinistra si cominci a pensare in questi termini, non eludendo i dati effettivi e reali della situazione, che io credo essere oggettivamente quelli che ho detto; mi pare che ci siano all'opera fenomeni evidentissimi di quel tipo che ricordavo, e mi sembra che finora non c'è stato assolutamente, tanto meno in Italia, un dibattito di riflessione su queste cose.
5. Credo che il Partito Radicale dei diritti civili ha avuto una udienza anche al di là dei ceti emergenti, direi anzi che questo referente sociologico era tutto sommato trascurabile, il Partito Radicale ha fatto delle battaglie che sono servite a tutta la società italiana. Non credo che la battaglia sia finita, perché i diritti civili non sono qualche cosa di storicamente definito una volta per tutte: l'evoluzione della società apre il campo a nuovi diritti civili; nelle società in cui il dominio dell'informatica sarà esteso e capillare, per esempio, c'è un campo vastissimo per la difesa delle libertà personali dall'informazione occulta che il collegamento delle reti informatiche può dare, per esempio, all'esecutivo, o comunque ad altri centri di potere che esistono nella società. Oggi, probabilmente, una maturazione dell'opinione pubblica intorno a questi che si prospettano essere i diritti civili del 2000, degli anni '90, non c'è ancora, però penso che, giudicando dall'esperienza di società che sono del n
ostro stesso tipo e più avanti di noi, ci sarà ben presto. Quanto alla seconda parte della tua domanda, sembra che il Partito Radicale, dopo la fase dei diritti civili, abbia stabilito dei legami abbastanza intensi con quelli che si chiamano i nuovi movimenti di cui, per esempio, gli ecologisti, i verdi sono i più importanti. Considero i verdi e gli ecologisti forze molto importanti, fino a che rappresentano o tutelano interessi collettivi; nel momento in cui, però, tendono a costruire un'ideologia dello sviluppo sociale, come hanno fatto in Germania, sono spinti a costruire ideologie di tipo anti-moderno e addirittura a volte clamorosamente reazionario, per cui il contatto che il Partito Radicale ha costituito con essi suscita perplessità. Benissimo la lotta contro una fabbrica che inquina, da questo a fare però la battaglia contro gli insediamenti industriali, d'accordissimo con tutte le battaglie che esigano controlli severissimi sugli impianti di produttori di energia nucleare, da questo però ad immagina
re una società che possa fare a meno, che debba anzi fare a meno dell'energia nucleare per usi energetici, non sono d'accordo. Il rapporto con le forze della modernizzazione più in generale: bisogna vedere quali sono in Italia le forze della modernizzazione, perché questo è un altro capitolo... Io non riesco ad identificare con grande precisione forze politiche che si battano coerentemente dalla parte della modernizzazione, anche perché probabilmente sarebbe forse politicamente sbagliato, perché non pagherebbe in termini politici.