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Pannella Marco - 25 marzo 1985
Radicali e socialisti all'ora della verità
di Marco Pannella

SOMMARIO: Da 25 anni opero per un partito internazionalista e federalista, socialista, laico e libertario, riformatore e nonviolento. Il Pci ha preferito percorrere la via egemonica che lo porta oggi ad essere Stato partitocratico che comprende al suo interno tutto e il contrario di tutto. Il Pci animato da viscerale antiradicalismo tenta da vent'anni di liquidarci e di ereditare le scorie di questa non riuscita eliminazione. Con il Psi la storia di questo ventennio è stato diversa, più contraddittoria, non di rado radicali e socialisti si sono trovati uniti nelle battaglie per i diritti civili. Di fronte ai problemi storici del paese, radicali e socialisti hanno scelto metodi contrapposti ma in nome di comuni valori, e soprattutto comune è il rifiuto di subalternità alle due Chiese che dominano in Italia. Oggi comincia la resa dei conti per entrambi: si tratta di alzare il tiro, candidarsi a promuovere il nuovo secondo gli ideali di giustizia e libertà, una politica di vita a livello planetario. Il Psi paga

lo scotto di un'orgogliosa e avventurosa politica del potere. Ha pensato che fosse possibile occupare il potere, ha esercitato le proprie funzioni con opportunismo senza tener conto che i mezzi condizionano i fini: malgrado Presidenza della Repubblica e del Consiglio, sindaci, banche, finanzieri, il Paese ha negato al Psi il successo elettorale che esso s'attendeva preferendo altre centrali di potere e sottopotere, Dc e Pci. Ma nel Psi non si è ancora compiuta una mutazione genetica avvenuta invece nel Pci: nazionalizzato rispetto all'Urss, il Pci è divenuto parastato, e pilastro dell'ordine costituito. L'assenza di Stato di diritto e di democrazia costituzionale non consente al Partito radicale di esprimere un'alternativa a partire da proposte, ideali, strutture e metodi, e sempre più è messa in discussione la possibilità stessa di esistenza del Partito radicale, al punto che o si riesce a imporre una nuova strategia, o bisogna predisporre la chiusura del Partito radicale, perché non si trovi a divenire l'

ombra di se stesso, l'alibi di legalità per un potere oligarchico e disperato.

(IL GIORNO, 25 marzo 1985)

PERSONALMENTE discuto della nascita e della necessità di un grande partito socialista, laico, libertario, riformatore, non violento e internazionalista, federalista europeo, da circa 25 anni e opero in conseguenza. Nel 1964 e per oltre una dozzina di altri anni, ho puntato in particolare per un'evoluzione in questa direzione del Pci, contrastando la linea di compromesso storico e di trasformismo esasperato, conseguente, a favore dell'alternativa, del rinnovamento, dell'unità della sinistra.

Ahimè, il Pci ha preferito percorrere fino in fondo la via egemonica che lo porta oggi a essere Stato (partitocratico), comprendendo al suo interno tutto e il contrario di tutto, denso di intellettuali e di »culture tanto quanto privo di suoi ideali propri, di suoi valori politici propri, conservatore di sé e distruttore puntuale dei residui ideali dello Stato, della »costituzione materiale e degli altri partiti e movimenti di regime.

Il Pci è sempre più animato da viscerale antiradicalismo e rifiuta ogni dialogo, per rifugiarsi nella violenza sistematica dell'ostracismo o in quella dell'insulto. Il Pci ha provato in tutti i modi da vent'anni, non di rado annunciandolo ufficialmente, di eliminarci e di ereditare le scorie di questa (non riuscita) eliminazione.

Occorre molta forza per mutare questa situazione, che riporta l'Italia ai peggiori anni Cinquanta, trovando sintonia solamente nella gestione attuale della Dc (mentre questo partito presenta nel suo insieme non pochi sintomi di feconde e drammatiche contraddizioni).

Con il Psi la storia di questo ventennio è stata diversa, più contraddittoria: non di rado radicali e socialisti si sono trovati uniti nelle battaglie per i diritti civili e - sia pure con forti, gravi, deplorevoli traduzioni pratiche da parte del Psi - sul fronte della difesa di un minimo di civiltà giuridica e di uno Stato di diritto.

Di fronte ai problemi storici del Paese abbiamo sin qui scelto vie, metodi, strumenti opposti e contrapposti, ma in genere in nome di valori comuni di democrazia politica, di laicità dello Stato e della società, e di rifiuto di ruoli subalterni e marginali fra i due colossi o le due Chiese clericali che hanno dominato il Paese in questi decenni.

Oggi siamo alla resa dei conti. Radicali e socialisti sono giunti quasi alla fine delle opposte esperienze: per ciascuno e per entrambi si tratta di alzare il tiro, di candidarsi a promuovere con vigore e con intransigenza il »nuovo , a concepire il possibile secondo gli ideali di giustizia e di libertà, di civiltà giuridica e di stato Europeo di diritto, di rivoluzione culturale e tecnologica fondate sulla sicurezza e sulla pace, sulla forza aggressiva e costruttiva della non violenza, dell'internazionalismo, del disarmo, di una politica di vita a livello planetario a partire dall'indipendenza fra Nord-ovest e Sud del mondo.

Il Psi paga lo scotto, da noi previsto, di una scelta orgogliosa e avventurosa di politica del potere. Ha così aggregato e promosso al proprio interno, negli ultimi anni, un personale esposto a tutti i vizi e le debolezze conseguenti. In qualche misura ha pensato che fosse possibile »occupare il potere: e nella stessa misura ne è stato occupato. Ha in tal modo esercitato le proprie funzioni con opportunismo e senza tener conto che i mezzi condizionano i fini, e contengono in se stessi la prefigurazione del fine reale che la storia dà alle forze organizzate che al proprio interno lottano e si contrappongono. E il Paese non ha sbagliato, sinora, mostrando di continuare a ritenere, malgrado Presidenza della Repubblica e del Consiglio, sindaci e banche, sindacati e finanzieri, in termini di mera gestione del potere e del sottopotere il Pci, in primo luogo, Dc e altri meritano più voti partitocratici e attese assistenziali; negando invece al Psi i successi elettorali e credito a questo suo »riformismo .

Ma il Psi non ci sembra compiuto una sola mutazione genetica e restano a nostro avviso ancor vive e presenti radici e potenzialità politiche e ideali comuni.

Nel Pci invece mutazione genetica si è indubbiamenmte avuta: nel »nazionalizzarsi rispetto all'Urss, il Pci ha soprattutto nazionalizzato se stesso divenendo parastato, sempre più costretto a deifendere la sua stessa esistenza con la mobilitazione di un potere ideologico, burocratico, amministrativo, che investe centinaia di migliaia di quadri e rappresenta una forza di controllo e di conservazione sociale senza precedenti nella storia del nostro Paese e forse di tutti i Paesi di ufficiale adesione ai principi della democrazia politica e parlamentare. Dinanzi a questa realtà le sue sovrastrutture »politiche sono sempre più deboli e subalterne, e se non vi saranno fatti rivoluzioananti nella sinistra sociale e politica, il Pci è destinato sempre più, e ben più della Dc, a essere e divenire »Stato , pilastro dell'»ordine esistente.

Forze democratiche e, naturalmente, liberali e democratiche-repubblicane non potranno non giungere a questa constatazione: speriamo che non la facciano troppo tardi e che non si accodino a quegli ambienti di »razza padrona che si illudono da un decennio di poter dominare e guidare un'alternativa efficientistico-autoritaria, di »democrazia con muscoli in combutta con i peggiori ambienti piduisti e finanziari, editoriali e »onesti del nostro Paese... Pci, P2, Scalfari.

L'assenza di Stato di diritto e di democrazia costituzionale nel nostro Paese non consente oggi al Partito radicale, e al Paese, di esprimere un'alternativa a partire da proposte e ideali, da strutture e metodi, da successi e ispirazioni che restano atìrtatamente e violentemente sconosciuti o misconosciuti ai più: e - alla lunga - rischiano di spegnere la possibilità stessa di esistenza del Partito radicale. La responsabilità di sconfitta e di eliminazione è, in termini di moralità politica, la più grave che una forza organizzata possa assumere nella storia di un Paese. Ecco perchè da anni vado avvertendo i miei compagni che occorre urgentemente riuscire a proporre e a imporre una nuova strategia, una nuova vita, non solo a noi stessi, o che occorre saper preparare e realizzare - compito più arduo di tutti - la chiusura stessa del Partito radicale, perché non si trovi a divenire l'ombra di se stesso e a divenire alibi di legalità e di democrazia per un potere oligarchico e pericolosamente disperato.

Finora è la prima via che è stata tentata. Drammaticamente, incredibilmente. Così perfino in Europa o in Africa i »radicali italiani vengono scoperti come forza sorprendentemente diversa e unica di vita e di speranza possibile.

Così non vi è un settore cardine della politica del Paese, legalità, giustizia, moralità pubblica, oltre alla promozione di fondamentali e nuovi diritti umani e alla difesa di quelli antichi, di sempre, così non vi è pratica di vita politica che più di questa nostra non sia esemplare. Con tutti i rischi delle involontarie esemplarità: quelli di risolversi in testimonianza e magari in martirio.

E, per finire, veniamo alla »notizia sparata dal »Giorno : i radicali starebbero discutendo la loro confluenza nel Psi. Ahinoi! Siamo ben lontani da questo. Ma che qualcuno possa pensarlo o affermarlo - quali che ne siano le intenzioni - mi consola.

Se basta - infatti - l'inventario coraggioso e grave di »speculare contrapposizione nel presente stilato nel documento Psi-Pr e l'annuncio di voler comunque - magari proprio per la gravità di questo - trimestralmente dialogare e conquistare alcune ore comuni a livello degli esecutivi dei due partiti per far pensare e gridare a »confluenze e unità, chissà che l'attesa nel subconscio del Paese non sia tale e tanta da divenire esplosiva e rivoluzionante per tutti noi?

E' purtroppo più probabile che la realtà sia invece quella squallida e putrida delle analisi del Pellicani, riferite dal »Giorno , degne di un socialismo e di un mondo operaio sottobottega dell'Arci, o di qualche cooperativa che opera per il »quarto mondo politico italiano.

Puntare sul possibile contro quel che è probabile è - da sempre - il nostro compito e nelle nostre capacità.

 
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