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Teodori Massimo - 1 dicembre 1985
P2: la controstoria (9) IL SISTEMA P2 EREDE DI SINDONA.
GELLI E ANDREOTTI PER IL SALVATAGGIO DEL BANCAROTTIERE

Fatti e misfatti, uomini, banche e giornali, generali e terroristi, furti e assassinî, ricatti e potere, secondo i documenti dell'inchiesta parlamentare sulla loggia di Gelli

di Massimo Teodori

SOMMARIO: "Molto si è scritto della P2 e di Gelli ma la verità sulla loggia e sul suo impossessamento del potere nell'Italia d'oggi è stata tenuta nascosta. Contrariamente a quanto afferma la relazione Anselmi votata a maggioranza a conclusione dell'attività della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2, la Loggia non è stata un'organizzazione per delinquere esterna ai partiti ma interna alla classe dirigente. La posta in gioco per la P2 è stata il potere e il suo esercizio illegittimo e occulto con l'uso di ricatti, di rapine su larga scala, di attività eversive e di giganteschi imbrogli finanziari fino al ricorso alla eliminazione fisica."

La "controstoria" di Teodori e una ricostruzione di fatti e delle responsabilità sulla base di migliaia di documenti; è la rielaborazione e riscrittura della relazione di minoranza presentata dall'autore al Parlamento al termine dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta. Sono illustrati i contorni dell'associazione per delinquere Gelli-P2; si fornisce l'interpretazione dell'attività eversiva dei servizi segreti e quella dei Cefis, dei Sindona e dei Calvi; si chiarisce il ruolo della P2 nel "caso Moro" e nel "caso d'Urso", nella Rizzoli e nell'ENI, nelle forze Armate e nella Pubblica Amministrazione. Sono svelati gli intrecci con il Vaticano, il malaffare dei Pazienza, dei Carboni e il torbido del "caso Cirillo".

(SUGARCO EDIZIONI - Dicembre 1985)

CAPITOLO IX

IL SISTEMA P2 EREDE DI SINDONA.

GELLI E ANDREOTTI PER IL SALVATAGGIO DEL BANCAROTTIERE*

Sindona protagonista della lotta per il potere fino al crollo del 1974

Michele Sindona era stato fino al crack del settembre 1974 uno dei grandi protagonisti della lotta per il potere in Italia. In simbiosi con la Democrazia cristiana che aveva sostenuto con generosi finanziamenti, il cosiddetto »salvatore della lira , come lo aveva definito Andreotti, era stato il manovratore delle finanze vaticane in Italia e all'estero e il protagonista per eccellenza di gran parte delle avventure finanziarie bancarie e borsistiche dei primi anni Settanta.

Rispettato e agevolato fino al 1974 dalla Banca d'Italia alleato in molte operazioni di grande speculazione con Eugenio Cefis, presidente dell'ENI fino al 1971, quindi presidente della Montedison, riverito e corteggiato dalla classe dirigente democristiana, e non solo democristiana, in accordo con una larga parte della finanza cosiddetta cattolica facente capo al Banco di Roma e al Banco Ambrosiano, Sindona era stato bloccato nella costruzione di un enorme castello di carta finanziario e speculativo dal crollo dell'estate 1974 allorché la sua Banca Privata Italiana, il cuore italiano di un sistema bancario e speculativo internazionale, era al collasso. Fino a quel momento Sindona si era avvalso di padrinaggi e a sua volta ne aveva offerti non solo nel mondo degli affari ma anche nella politica, nelle amministrazioni dello Stato e nei circoli internazionali legati alla finanza d'assalto statunitense rappresentata da John B. Connolly e David M. Kennedy, nonché con la mafia di Cosa Nostra e con le sue diramazio

ni siculo americane.

Molti degli elementi nazionali ed esteri a cui Sindona era collegato si sarebbero poi ritrovati nella P2 o intorno a essa. Anzi la rete piduista si forma e si consolida per gran parte lungo quei canali, quei contatti e quei rapporti che erano stati stabiliti da Sindona. La Loggia, che fino al 1974 1975 era stata a prevalente composizione di militari, estende la sua appartenenza ad uomini della finanza e della pubblica amministrazione. L'incontro fra Gelli e Sindona è del 1974; lo stabilirsi di contatti operativi per le operazioni sindoniane della metà del 1976: ed è proprio ciò che consente al capo della P2 di fare un salto di qualità nella gestione della sua rete.

Più che del Sindona banchiere in auge, interessa sotto l'aspetto della P2 la vicenda sindoniana post crack e cioè quella che si snoda dal 1974 al 1979. Certo, tra le alleanze e i padrinaggi di Sindona prima del 1974 e quelli del dopo c'è una stretta connessione; ma la presenza della P2 in quanto tale è operante dopo il crollo dell'impero sindoniano.

Nel settembre 1974 la Banca Privata Italiana (BPI) viene messa in liquidazione coatta e l'avvocato Giorgio Ambrosoli nominato commissario liquidatore. In ottobre, contemporaneamente alla dichiarazione di fallimento in Usa della Franklin Bank, viene spiccato dalla magistratura milanese il mandato di cattura per Sindona, già fuggito dall'Italia verso gli Stati Uniti. Da quel momento ha inizio una nuova fase dell'azione sindoniana tesa a perseguire l'obiettivo della revoca della liquidazione coatta. I progetti di salvataggio che si susseguono per un quinquennio, le pressioni sulla magistratura e sui politici, la mobilitazione di alleati e complici sono tesi a risolvere un teorema i cui termini sono semplici. Se la liquidazione viene revocata, si semplificano, si sdrammatizzano e perdono di peso tutti i procedimenti civili con la conseguenza di smontare i correlati aspetti penali. Per raggiungere l'obiettivo della revoca, Sindona, i suoi amici, padrini e alleati mettono in atto operazioni politiche, giudiziarie,

finanziarie e amministrative che coinvolgono uomini e forze di ogni tipo.

La Banca d'Italia è sottoposta a pressioni con minacce e ricatti che si fondano sui contraddittori comportamenti del governatore Guido Carli negli anni precedenti. Dopo aver scritto a Carli il 10 febbraio 1975: »Pensa veramente dottor Carli, di uscire bene da tutte queste vicende? , Sindona minaccia il nuovo governatore Paolo Baffi il 17 marzo 1977: »Io l'ho avvertita per non sentirla dire un giorno accusato di complicità e di correità che lei non era al corrente della situazione; e per metterla in guardia da chi cerca di trascinarla nelle proprie responsabilità per costringerla a difenderlo .

Anche il Banco di Roma, fra i maggiori partner delle operazioni sindoniane, è oggetto di avvertimenti. Il 18 luglio 1977 Sindona scrive all'amministratore delegato Ferdinando Ventriglia chiedendogli perché mai voglia continuare ad apparire come l'unico responsabile del crack: »Fino a quando lei vorrà continuare a rendersi responsabile di azioni, di irregolarità e di reati commessi o fatti commettere da altri? . E' così che l'accordo fra Sindona e Banco di Roma, con la disponibilità della banca a sborsare una notevole somma, è l'unico punto fermo di tutta la serie di tentativi di salvataggio fino al 1979.

Ma la ricerca di sostegno, il bancarottiere la cerca principalmente nella Democrazia cristiana e in alcuni dei suoi maggiori esponenti. Amintore Fanfani era stato il segretario di partito a cui provvidenzialmente Sindona aveva elargito due miliardi di lire in occasione della campagna per il referendum sul divorzio nella primavera 1974, alla vigilia della crisi che durante l'estate lo avrebbe portato al crollo. Chiamato in causa Fanfani si interessa alla composizione della questione, incaricando l'avvocato Giuseppe Bucciante di seguire per proprio conto gli sviluppi dell'offensiva sindoniana. L'avvocato Bucciante riceve avvertimenti da parte di Sindona che minaccia, nel novembre 1975, di »mettere in piazza tutte le cose che fino ad allora aveva taciuto , e cioè i rapporti finanziari intercorsi con la DC.

Lo stesso rappresentante di Fanfani, nel febbraio 1976, si reca a New York per incontrare Sindona, il quale gli rinnova la minaccia dello scandalo se Fanfani non si fosse mosso in suo favore e non avesse restituito la somma dovuta (2 miliardi). Riferisce l'avvocato Bucciante: »Guzzi e Strina [gli avvocati di Sindona] dicono che se il prof. Fanfani e gli altri che comunque erano interessati o cointeressati nelle vicende della DC non si fossero mossi ad appoggiare Sindona, il quale si dichiarava vittima politica di questa situazione, loro avrebbero messo in piazza tutte le cose che fino ad allora avevano taciuto... . Ancora l'anno successivo, nel febbraio 1977 il rappresentante fanfaniano, concordando l'azione con il rappresentante andreottiano, Fortunato Federici, incontra il commissario liquidatore Ambrosoli per discutere e avere informazioni non tanto sui debiti della DC, quanto sullo stato dei progetti di sistemazione in rapporto alla liquidazione.

Andreotti al centro del salvataggio di Sindona

Tra tutti il grande padrino del salvataggio di Sindona è Giulio Andreotti, in quegli anni (1976 1979) alla testa del governo. Le ragioni per cui Andreotti diviene l'interlocutore fisso di Sindona sono esposte in una lettera che il latitante fuggito negli Stati Uniti, inseguito da mandato di cattura, scrive al presidente del Consiglio nel settembre 1976 per »ringraziarlo dei rinnovati sentimenti di stima che ha recentemente manifestato a comuni amici , e per esporgli »proprio in considerazione dell'interessamento mostrato alla nota vicenda tutte le questioni che devono essere affrontate nella auspicata »mobilitazione di politici amici .

Rivolgendosi ad Andreotti, Sindona espone il suo programma e le sue necessità: »Contrastare l'estradizione voluta dai giudici sulla base di un giudizio di preconcetta e preordinata colpevolezza; esercitare una pressione sull'apparato giudiziario e amministrativo; sistemare gli affari bancari della BPI contemporaneamente a quelli della Società Generale Immobiliare (SGI) per cui il presidente del Consiglio si è già mosso; chiudere la pagina di grave ingiustizia apertasi con la liquidazione coatta, sì da dare tranquillità ai piccoli azionisti e al Banco di Roma che, altrimenti resterebbe coinvolto; opporsi alla sentenza di insolvenza é premere per un positivo giudizio del TAR che annulli il decreto di messa in liquidazione del ministro del Tesoro giungendo alla revoca della liquidazione della BPI . Il cuore della lettera lo si trova nell'enunciazione della strategia: »La mia difesa avrà due punti di appoggio, come può immaginare, quello giuridico e quello politico . Sindona sosteneva di essere stato vittima di

un complotto: »Farò presente, con opportune documentazioni, che sono stato messo in questa situazione per volontà di persone e gruppi politici a Lei noti che mi hanno combattuto perché sapevano che, combattendo me, avrebbero danneggiato altri gruppi cui io avevo dato appoggi con tangibili e ufficiali interventi .

Nella lettera ricevuta dal presidente del Consiglio è contenuta la chiave del rapporto Andreotti Sindona: v'è la continuità della stima che lega lo statista al bancarottiere, in nome della quale viene sollecitata la continuità di interessamento; v'è il richiamo ai gruppi tangibilmente aiutati dal gruppo Sindona, per cui si chiede il ricambio di favori; vi è la minaccia e, velatamente, il ricatto delle »situazioni difficili e complesse che coinvolgono anche enti e istituzioni di Stato ; v'è, infine, l'appello al necessario contrattacco politico in comune contro coloro che con il complotto hanno colpito Sindona per colpire i politici a lui collegati.

Il canale che lega Andreotti all'équipe operante per il salvataggio di Sindona fino all'estate 1978 è Fortunato Federici, al tempo stesso consigliere d'amministrazione del Banco di Roma e mediatore tra Sindona e Andreotti. Dopo la sua morte tiene i rapporti direttamente il coordinatore del gruppo sindoniano avvocato Rodolfo Guzzi, successivamente incriminato per una serie di reati commessi dal gruppo sindoniano.

Dal luglio 1978 al marzo 1979 il contatto tra Guzzi e il presidente del Consiglio è strettissimo: ben otto incontri diretti e tre colloqui telefonici. E' il periodo in cui la posizione di Sindona si aggrava per la giustizia italiana e per quella americana. Sostanzialmente l'oggetto degli incontri, dei memorandum e delle telefonate è l'informazione e il coordinamento dell'azione sui due binari su cui corre la pressione sindoniana: l'estradizione e la sistemazione della banca.

Dopo il marzo 1979, quando Sindona, o chi per lui, passa dalla criminalità finanziaria a quella ordinaria (minacce e intimidazioni a Cuccia; intimidazioni e poi, in luglio, assassinio Ambrosoli; in agosto, avventura siciliana), l'avvocato Guzzi sente la necessità di tenere ancora informato Andreotti degli sviluppi della situazione e delle sue scelte di dissociazione dalle nuove imprese sindoniane incontrandolo in giugno, poi in settembre, durante il finto rapimento e, infine, nel maggio 1980, per comunicargli la rinuncia al mandato di difesa.

Vi è dunque una continuità di rapporti fra Andreotti e Sindona in un sodalizio che è confermato esplicitamente dalle dichiarazioni di molti. L'avvocato Michele Strina: »Quando [Sindona] diceva di mutare o di ottenere un mutamento della situazione anche sul piano politico, certamente in primo luogo pensava all'on. Andreotti . Pier Sandro Magnoni: »... Mi autorizza a pensare di avere fra noi... un sincero amico in Lei e un formidabile esperto con cui poter concordare di volta in volta le decisioni più importanti . L'avvocato Bucciante, rappresentante di Fanfani: »Sindona disse che mentre Andreotti aveva preso a cuore la situazione, gli altri se ne erano strainfischiati e, infine, lo stesso avvocato Guzzi: »Ho l 'impressione che Andreotti si sia sempre interessato alla vicenda .

Nel gennaio 1977 un memorandum predisposto per Andreotti e consegnato all'avvocato Mario Ungaro enuncia il programma di azione di Sindona: »Lei dovrebbe fare qualcosa almeno in Italia per la chiusura della posizione e precisamente: a) sollecitare la Banca d'Italia per la sostituzione di Ambrosoli; b) ridimensionare il comportamento del giudice istruttore e del pubblico ministero che, dopo tre anni, non sono riusciti a prendere alcun provvedimento conclusivo eccezion fatta per il mandato di cattura; c) trovare una soluzione per la BPI, sollecitando gli interessati, tale da far cadere il presupposto dei reati fallimentari; d) evitare l'archiviazione della pratica pendente avanti l'Inquirente nei confronti di Ugo La Malfa, responsabile primo di tutta questa situazione .

Con il passare del tempo i suggerimenti si fanno minacce e ricatti con un memorandum del primo marzo 1979 in cui si chiede di »intervenire su Christopher Warren, al fine di rappresentare la situazione nazionale e le conseguenze negative per i due paesi nel caso che Sindona fosse chiesto di chiarimenti ; e, quindi, si esplicitano ulteriormente con un annuncio di Guzzi, per lettera, del 9 marzo 1979, che »il cliente ha dichiarato di dover fare importanti rivelazioni perché non sono stati fatti gli interventi che si sarebbero dovuti fare. Il 23 marzo vengono tirati in ballo i rapporti internazionali: »Finora il nostro non ha denunciato alcuna personalità né ha rivelato importanti segreti di Stato che potrebbero danneggiare... la stessa sicurezza nazionale , e se nulla sarà fatto, »il nostro sarebbe costretto a procedere.

Andreotti si interessa concretamente ai progetti di sistemazione tra i quali quello del 1976 1977 riguardante la Società Generale Immobiliare, per cui si mobilitano i capi piduisti Gelli, Ortolani, il costruttore Genghini, il finanziere Roberto Memmo e il presidente delle Condotte Loris Corbi. Nel 1978 il presidente del Consiglio riceve da Fortunato Federici un ulteriore progetto di sistemazione che passa, a titolo personale, al ministro Stammati, mentre il sottosegretario alla presidenza, Franco Evangelisti, lo mostra, senza consegnarlo, a Mario Sarcinelli, capo della Vigilanza della Banca d'Italia, contemporaneamente e contestualmente alle dichiarazioni di Gelli che fa sapere di poter disporre di canali per esercitare pressioni sulla Banca d'Italia. Il capo della vigilanza della Banca d'Italia, Mario Sarcinelli, che si opponeva alle sistemazioni, dopo qualche mese viene incarcerato sulla base di pretestuosi motivi. Oltre che delle sistemazioni, Andreotti si interessa anche dell'estradizione incontrando nel

l'agosto 1976 due italo americani, Philip Guarino (P2) e Paul Rao jr., venuti in Italia su mandato di Sindona a visitare Andreotti e ad incontrare Gelli.

Gelli padrino e consigliere

Insieme e accanto ad Andreotti, entra in scena come padrino, supremo consigliere e operatore in difesa di Sindona, Licio Gelli e buona parte del sistema piduistico. Ponendosi come attivo organizzatore del salvataggio sindoniano, il capo della P2 non solo attivizza gli uomini della sua Loggia, ma accresce, estende e rafforza altri collegamenti, utilizzando a mano a mano i nuovi personaggi per operazioni piduiste. La maggior parte di coloro che accettarono di andare in soccorso di Sindona nel periodo 1974 1979 risultano, con la conoscenza delle liste, appartenenti alla P2.

Non è un caso che tanti protagonisti del salvataggio sindoniano risultino collegati dalla medesima appartenenza di Loggia. Infatti la dinamica, i modi e gli obiettivi dell'azione di queste persone si collocano nell'ambito di un medesimo sistema di potere rappresentato dal sindonismo. Intorno alla difesa di Sindona accade qualcosa di più di una semplice accanita gestione di interessi da proteggere magari con l'omertà e l'uso della forza. Si rafforza e si espande un sistema di potere.

E' in favore di Sindona che nel 1976 alcuni autorevoli membri della P2 si mobilitano apertamente con la firma di dichiarazioni giurate (affidavit) al fine di bloccare l'estradizione. Motore di tutta l'operazione è Licio Gelli che per la prima volta agisce non più come un singolo operatore ma come »venerabile e potente »maestro della loggia massonica.

Carmelo Spagnuolo, allora primo presidente della Corte di Cassazione, rende direttamente a New York una dichiarazione giurata di questo tono: »Non solo le accuse contro Sindona non sono fondate, ma la loro stessa affrettata formulazione conferma ciò che molti in Italia sanno, e cioè che Michele Sindona è stato accanitamente perseguitato soprattutto per le sue idee politiche . Altri potenti massoni e non, scendono pubblicamente in campo: Francesco Bellantonio, ex Gran Maestro di Piazza del Gesù, che conferma le dichiarazioni di Spagnuolo sulla base dei documenti riservati della massoneria; Edgardo Sogno, che testimonia sulla probabilità che Sindona, una volta incarcerato in Italia, corra il rischio di essere assassinato; Flavio Orlandi, ex segretario nazionale del PSDI; John Mc Caffery, già membro dei servizi segreti britannici, che attacca la magistratura, e, infine oltre ad Anna Bonomi e agli italo americani Stefano Gulló e Philip Guarino, un ex prete piduista dell'apparato del partito repubblicano di Washi

ngton, esce allo scoperto lo stesso Licio Gelli che dichiara: »In Italia l'influenza dei comunisti è già giunta in certe aree del governo, particolarmente nel ministero della Giustizia, dove durante gli ultimi cinque anni c'è stato uno spostamento dal centro verso l'estrema sinistra. Io nella mia qualità di uomo d'affari, sono conosciuto come anticomunista e sono al corrente degli attacchi dei comunisti contro Sindona... Se Michele Sindona dovesse rientrare in Italia non avrebbe un equo processo e la sua stessa vita sarebbe in pericolo .

Dopo la conoscenza tra Gelli e Sindona nella primavera 1974, il capo della P2 segue fedelmente l'itinerario dell'attacco sindoniano fino in fondo, dapprima come mediatore di affari non solo tra »fratelli , poi come l 'uomo che può »tenere contatti e trovare i consensi dei politici , quindi per realizzare la linea di pressione sugli organismi dello Stato, e infine come cogestore di un ricatto.

Il primo progetto di sistemazione interdipendente BPI-SGI viene trasmesso a Gelli con un memorandum del settembre 1976, in quanto doveva realizzarsi con la partecipazione e l'accordo di entità finanziarie e bancarie tutte controllate dagli ambienti massonici e piduisti. Infatti Gelli era stato indirizzato nel luglio 1976 da Sindona all'avvocato Rodolfo Guzzi, affinché cooperasse strettamente al lavoro degli avvocati, sia per la sistemazione che per la estradizione.

Da allora in avanti il contatto Guzzi Gelli è costante e il »venerabile finisce per assumere a pieno titolo il ruolo di membro della direzione strategica sindoniana. Alla testa della Immobiliare c'è il massone Arcangelo Belli; Mario Genghini (P2) ha concluso insieme con gli altri palazzinari romani l'affare dell'acquisto della Immobiliare da parte del Banco di Roma, diretto dai piduisti Giovanni Guidi e Alessandro Alessandrini a fianco dei democristiani Ventriglia e Mario Barone. Compito di Gelli, che opera in tandem con Umberto Ortolani, è rimuovere gli ostacoli e le difficoltà frapposte da Belli e Genghini, componendo i diversi interessi all'interno di quella che viene definita la congrega di »via Condotti , dalla sede della Loggia.

L'influenza di Gelli non si ferma qui. Quando c'è da procedere a sistemazioni extragiudiziarie di affari non proprio cristallini, entra ancora in scena il »maestro venerabile . Egli è l'artefice della chiusura di una vertenza per molte decine di milioni di dollari fra la holding sindoniana, la FASCO AG, la Edilcentro della Immobiliare e una finanziaria americana, AMDAPCO, di tale Daniel Porco, uomo d'affari nella »comunità italo americana di New York, già investigato come sospetto trafficante di stupefacenti.

L'intervento e la pressione sull'amministrazione dello Stato e sui politici rappresentano un'altra faccia dell'attività gelliana. Un memorandum di Sindona e del suo gruppo di difesa preparato a New York nel luglio 1977 ed espressamente indirizzato a Gelli, mette a fuoco le operazioni da compiere: »Il commissario liquidatore e i giudici penali continuano a trovare ampio spazio per perseguire sotto ogni profilo accertamenti indiscriminati e unilaterali tendenti solo a colpire la persona di Michele Sindona . Occorre un intervento politico in extremis teso ad allentare la pressione sull'estradizione e a ottenere la revoca della liquidazione coatta. A tale scopo è necessario: »a) un intervento presso la Corte d'Appello di Milano per modificare il giudizio negativo; b) un intervento politico diplomatico per bloccare le pressioni che inquinano il processo di estradizione; c) un intervento per le soluzioni tecniche, attraverso la necessaria autorizzazione della Banca d'Italia, del ministero del Tesoro e dell'IRI, la

cui urgenza è strettamente collegata con le possibilità di successo dell'intervento di cui al punto b) .

Per bloccare la »pericolosa attività della liquidazione, occorre screditare Ambrosoli e tagliargli l'erba sotto i piedi; in tal senso Gelli è incaricato di parlare con il generale Donato Lo Prete (P2), del comando della Guardia di Finanza, affinché faccia trasferire il maresciallo Novembre, che dal giorno della liquidazione si è insediato nelle banche sindoniane e svolge un'accurata e approfondita opera di ricostruzione dei misteriosi imbrogli finanziari. Per l'intervento sulla magistratura, in merito al ricorso in Cassazione, ci si rivolge ai »fratelli piduisti Carmelo Spagnuolo e Domenico Pone e al magistrato Angelo Jannuzzi.

Quando poi si tratta di trovare consensi sull'ennesimo progetto di sistemazione patrocinato da Andreotti e da Evangelisti presso la Banca d'Italia, Gelli fa credere a Guzzi di avere interposto i suoi buoni uffici con il »fratello e amico ministro Stammati, incaricato dal presidente del Consiglio di esaminare il progetto e di influire sulla Banca d'Italia per scavalcare l'atteggiamento negativo di Sarcinelli.

Con la primavera del 1979 diviene sempre più effimera la prospettiva di risolvere, con l'aiuto dei potenti, la situazione di Sindona arrestato negli Stati Uniti. La sparizione dagli Usa dell'agosto 1979, con la permanenza in Sicilia fino all'ottobre successivo, rappresenta l'ultimo disperato tentativo di mettere in atto un ricatto nei confronti della classe politica dominante in Italia. Sindona è accompagnato dagli uomini della mafia e della massoneria, fra cui Joseph Miceli Crimi. Con una lettera a Guzzi, il finto sequestrato chiede una serie di documenti che avrebbero dovuto servire a concretare l'estremo ricatto verso i partner e gli alleati di ieri: essi riguardano partiti e personalità politiche, società finanziarie e Vaticano.

Durante la permanenza del bancarottiere in Sicilia partono numerose telefonate a Gelli, e Miceli Crimi va a incontrare più volte il maestro venerabile ad Arezzo. Per quanto se ne sa dalle ambigue testimonianze del Miceli Crimi, Gelli era tra i pochissimi informati dell'avventura, e partecipava dall'esterno al tentativo sindoniano, intessuto di supposti rapporti con ambienti dei servizi americani e fortemente intrecciato con ambienti massonici. Miceli Crimi riferisce che Gelli gli avrebbe detto di aver fatto qualcosa in favore di Sindona per tirarlo fuori dalla posizione in cui si trovava, e che gli effetti dei suoi interventi si sarebbero visti nell'immediato futuro.

Dunque, dalla ricostruzione dei fatti appare che Gelli viene coinvolto da Sindona nell'avventura siciliana. »Ho spesso telefonato a Gelli da New York per esporgli la mia situazione e per pregarlo di intervenire a chiarire i fatti e ottenere giustizia , dichiara il bancarottiere. E' assai probabile che l'intenzione di usare i dossier, per ottenere quel che non aveva ottenuto con le pressioni, sia stata concordata da Sindona oltre che con la mafia anche con Gelli che continua a fungere da consigliere proprio in un campo, l'uso dei fascicoli riservati a scopo di ricatto, in cui era specialista.

Sindona maestro di Calvi: la società di fatto fra i due banchieri

Quella di Gelli non è la sola presenza massiccia del sistema P2 nell'avventura della banda Sindona. Se il »maestro venerabile è il padrino, Roberto Calvi è il partner e quindi il successore di Sindona.

Calvi aveva intrecciato strettamente i suoi affari a quelli

di Sindona e, secondo la tesi di quest'ultimo, doveva gran parte delle sue fortune proprio agli insegnamenti del »maestro Sindona. »Subito dopo la nomina a direttore generale dell'Ambrosiano , scrive l'»Agenzia A pubblicata, a scopo ricattatorio, da Luigi Cavallo, »Calvi costituisce alle Bahamas, con l'aiuto di Sindona, la Cisalpine Overseas Bank. Seguendo sempre le istruzioni di Sindona, Calvi crea un vero capolavoro di collegamenti intrecciati, di passaggi intermedi, di prestanomi, di finanziarie fantasma che sono alla base delle sue fortune... Con i fondi dell'Ambrosiano (che non figurò mai formalmente) e in pool con Sindona e Hambro, Calvi partecipò alle operazioni OPA Bastogi e Centrale... .

Nel momento della disgrazia, Sindona vuole che Calvi corra in suo ausilio, e le comuni imprese del passato sono un argomento sufficiente per costringere il presidente dell'Ambrosiano a intervenire, sebbene non lo faccia mai con grande slancio. Ed è proprio Gelli a chiamare in soccorso Calvi per i vari progetti di sistemazione. La transazione tra AMDAPCO ed Edilcentro si fa con l'intervento della Cisalpine di Calvi, sollecitato da Gelli. Le trattative intorno al primo progetto di sistemazione (BPI SGI interdipendente) sono condotte da Roberto Memmo, uno pseudofinanziere italoamericano del gruppo di punta della P2, Fortunato Federici, Loris Corbi, manager andreottiano delle PP.SS., e Roberto Calvi; un altro tentativo, condotto nell'aprile maggio 1977, nel quale entra Corbi per le Condotte, vede ancora Calvi come interlocutore.

Non giungendo a buon fine il salvataggio, peggiorando la situazione complessiva e non mostrandosi Calvi troppo attivo, fra la fine del 1977 e i primi mesi del 1978 Sindona passa al ricatto del suo compare procedendo una volta di più secondo la tecnica di minacciare e mettere alle strette coloro che erano stati suoi alleati nella fase precedente. Luigi Cavallo, al servizio di Sindona, pubblica alcuni numeri di una »Agenzia A che attacca Calvi, rivela i suoi imbrogli finanziari internazionali e le operazioni condotte insieme a Sindona fino al 1974, oltre ai numeri di conti correnti svizzeri intestati personalmente al banchiere e ai suoi familiari.

La tesi sostenuta è quella della società di fatto fra Calvi e Sindona, una società di cui tutti i benefici sarebbero andati a Calvi e tutte le passività a Sindona. »Michele Sindona ideò il meccanismo operativo finanziario atto a conquistare, in tandem con Roberto Calvi , scrive l'»Agenzia A , »il controllo effettivo del Banco Ambrosiano. Sindona e Calvi divennero così soci di fatto e, in tale veste, Calvi condusse a termine innumerevoli operazioni finanziarie. Per decollare, aveva capito Calvi, vi era un solo rapidissimo sistema: impiantare finanziarie all'estero al riparo dai controlli del fisco e della Banca d'Italia, e tradire e defraudare il socio di fatto Michele Sindona .

La minaccia sindoniana tramite Cavallo, che tirava in ballo le operazioni Ambrosiano, Centrale e Zitropo Pacchetti, insieme con alcune azioni di intimidazione diretta compiute nella sede dell'Ambrosiano di Milano da parte di un altro esecutore sindoniano, Walter Navarra, convincono Calvi a saldare il conto, con cinquecentomila dollari in contanti mascherati dietro un'operazione fantomatica di presunta vendita di una villa ad Arosio. Una volta di più l'artefice della transazione è Gelli, che alimenta i suoi dossier e stringe ancora più il sodalizio con Calvi da cui riceve carta bianca per sistemare gli affari più ambigui.

Oltre a Calvi e Gelli la schiera dei personaggi P2 che si incontrano nella vicenda Sindona è vasta. Roberto Memmo, singolare figura italo americana, si occupa dei progetti di salvataggio come trait d'union con i palazzinari romani con i quali aveva trattato l'affare Pantanella. E' nella sua casa romana, a Largo Goldoni, che si riuniscono i sindoniani-piduisti nell'autunno 1976 per organizzare gli affidavit e per la strategia di pressione sulla magistratura (incontro con Memmo, Spagnuolo, Pone e Guzzi); ed è sempre il Memmo a mantenere i contatti con Calvi e ad intervenire, all'inizio del 1978, su Enrico Cuccia affinché dia la sua collaborazione. L'episodio più singolare è la missione affidata dai dirigenti del Banco di Roma a Roberto Memmo di recuperare in Svizzera la nota »lista dei 500 dietro compenso di 100 mila dollari.

Altro uomo della P2 coinvolto da Andreotti nella vicenda sindoniana è l'allora ministro dei Lavori Pubblici, Gaetano Stammati. Un progetto di sistemazione approntato nell'estate 1978 viene affidato inspiegabilmente da Andreotti a Stammati. Inspiegabilmente perché Stammati non era il ministro competente, e quindi non si trattava di un incarico ufficiale e perché si trattava pur sempre di un ministro, per di più investito della fiducia particolare del presidente del Consiglio, che poteva adoperare la sua posizione e influenza per esercitare pressioni. Stammati propone e sottopone il progetto a Francesco Cingano, amministratore delegato della Banca Commerciale, che doveva partecipare come una delle banche pubbliche di interesse nazionale al salvataggio, e alla Banca d'Italia tramite l'allora direttore generale Carlo Azeglio Ciampi.

Da Cingano, Stammati riceve un parere negativo; dalla Banca d'Italia sembrerebbero arrivare in un primo momento, secondo Guzzi, segnali di disponibilità di Ciampi, poi smentiti in seguito a una riunione tenuta dal commissario Ambrosoli insieme con il capo della Vigilanza Mario Sarcinelli. Questo tentativo di salvataggio che si protrae fino all'inizio del 1979 è l'ultimo messo in atto dalla banda sindoniana. Per esso sono usati tutti gli strumenti di intervento e di pressione che fanno capo alle due centrali della protezione per Sindona quella andreottiana e quella P2 con Gelli. In mezzo si delinea il ruolo di Stammati, punto di incontro e di saldatura fra i due gruppi.

Dopo il fallimento di questo tentativo, per il fermo diniego di Ambrosoli e di Sarcinelli vengono messe in atto forme criminali di pressione, in una nuova fase dell'azione sindoniana. Sarcinelli viene incarcerato su mandato del sostituto procuratore di Roma, Alibrandi, per reati rivelatisi poi insussistenti; Ambrosoli è sottoposto a minacce e avvertimenti, quindi assassinato il 12 luglio 1979.

Anche moltissimi dirigenti degli enti e società che si interessano al salvataggio di Sindona fanno parte della P2 o, più in generale, della massoneria. Così l'andreottiano Loris Corbi, presidente delle Condotte, così quell'avvocato Martino Giuffrida che si presenta a nome di Ettore Bernabei a trattare l'estradizione al consolato italiano di New York. Francesco Cosentino del consiglio di amministrazione dell'Immobiliare, partecipa a riunioni per dirimere i contrasti interni della DC nei confronti della questione Sindona. Anche ai vertici delle banche coinvolte figurano piduisti: Giovanni Guidi e Alessandro Alessandrini al Banco di Roma; Alberto Ferrari alla BNL, la cui fiduciaria estera »Servizio Italia , diretta dal P2 Gianfranco Graziadei, è il canale di molte operazioni intrecciate con il sistema sindoniano. Alcuni degli enti pubblici e parapubblici che depositarono ingenti somme di denaro nelle banche sindoniane, con la percezione di interessi extra o neri avevano piduisti in posti di responsabilità: Maur

izio Parasassi al Consorzio nazionale per il credito agrario, Ezio Badioli e Giancarlo Buscarini all'ICCREA, Renato Marnetto alla SOFID.

Fra i percettori di tangenti, già dalla fine degli anni Sessanta, figura Umberto Ortolani, sul cui libretto »Orlando , alla BPF, confluivano interessi neri per i depositi effettuati dall'Italcasse del »grande elemosiniere Giuseppe Arcaini e dall'ICIPU CREDIOP. Altri piduisti come Bruno Tassan Din, Angelo Rizzoli e Giorgio Zicari occupavano un posto rilevante nella lista degli ottantotto titolari di conti cifrati alla sindoniana Gemoes SGI collegata con le finanziarie estere in Lussemburgo, nelle isole Cayman e a Nassau, attraverso cui passavano operazioni speculative finanziarie.

Infine rapporti stretti con Sindona sono intrattenuti dall'on. Massimo De Carolis (P2) che incontra il bancarottiere a New York anche in ragione della campagna in difesa dei piccoli azionisti, rimanendo poi in contatto con Gelli. Del De Carolis è interessante il giudizio su tutta la vicenda sindoniana che esprime, da una prospettiva interna, in un'intervista del settembre 1979. Sostiene che »l'affare del finanziere siciliano è la storia di uno scontro gigantesco fra due fazioni diverse che non hanno ancora deposto le armi, fra le quali Sindona è rimasto schiacciato ; e, più avanti: »Quel che è certo è che su un punto Sindona ha ragione: in un certo momento fu deciso a freddo e a tavolino di far saltare il suo impero finanziario, che in quel momento poteva essergli tolto senza essere disturbato... . Nella stessa intervista De Carolis che parlava a due mesi dall'assassinio di Ambrosoli, mentre Sindona era scomparso da New York e nessuno sapeva quel che stesse accadendo, coglie nel segno di quel che si andava p

rofilando dietro la vicenda: »Non penso che vi sia un singolo uomo politico che ordina l'assassinio. Ma vedo che è stato costruito in Italia un sistema articolato su feudi organizzati ciascuno dotato di proprie strutture, giornali, banche, legami con i servizi segreti, rapporti internazionali e così via. A tal punto che la loro logica di funzionamento non è più quella dell'individuo. Hanno una moralità diversa, quella di Machiavelli, altre procedure, altre possibilità di azione. E la posta in gioco è troppo grande perché arretrino di fronte all'omicidio. E al rapimento . De Carolis aveva in mente anche la P2 nella quale era entrato e inquadrava, a ragione, anche la nuova vicenda sindoniana (fuga o rapimento) nell'ambito di quel sistema di governo invisibile.

Al centro dell'avventura siciliana il tentativo di un ricatto ultimativo alla classe dominante

L'ultimo episodio del rapporto fra Sindona e quella parte del sistema di potere italiano che aveva operato per salvarlo si incentra sul viaggio in Sicilia finto rapimento che il bancarottiere compie dal 2 agosto 1979, data della sua sparizione da New York, al 16 ottobre, giorno della sua riapparizione. E' accertato che la gestione del »viaggio è stata opera degli uomini della mafia italo americana insieme ad elementi della massoneria siciliana e che sullo sfondo della vicenda sono stati fatti apparire vaghi progetti di destabilizzazione nell'isola. Tuttavia dopo le varie indagini, quel che sembra essere stato il vero obiettivo del viaggio siciliano è la messa in opera di un ricatto ultimativo, attraverso la ricerca e l'utilizzazione di documenti, nonché il relativo allargamento delle alleanze del sindonismo con ambienti massonici e criminali, il tutto coperto dietro lo schermo fumoso di imprese e progetti di diversa natura. Prigioniero della mafia della »famiglia facente capo a John Gambino che esige i

l pagamento di conti passati per il danaro affidato alle sue manovre finanziarie, Sindona, avvalendosi operativamente di Joseph Miceli Crimi, si rivolge a Gelli come supremo consigliere e con lui concorda la ricerca e l'utilizzazione dei documenti sulla base dei quali mettere in atto ricatti alla classe dominante.

Con la fine dell'avventura siciliana, termina anche lo scontro di potere che vede Sindona in prima fila in quell'attività nella quale sono strettamente intrecciati potere ufficiale e potere occulto. Ma è solo il banchiere bancarottiere che cade e non il sistema che ha espresso Sindona prima e il sindonismo poi. Tutta l'eredità sindoniana passa con funzioni diverse a due successori: Calvi e Gelli.

Calvi prende il comando delle operazioni finanziario-speculative interne ed internazionali che avevano trovato fino al 1974 la leadership di Sindona; anzi ne è non solo l'erede ma il continuatore materiale. Gelli assume in sé la gestione di quel sistema di potere in cui Sindona aveva rappresentato uno dei pilastri. Attraverso il patrocinio svolto a favore dello stesso Sindona in disgrazia e in esilio rafforza ed espande le sue strutture; originali rispetto a quelle sindoniane in quanto collegano la dimensione finanziaria con quella politica, statuale, dei servizi segreti, dell'informazione e della giustizia.

Il subentro della costellazione P2 guidata da Gelli a Sindona e al sindonismo si realizza solo in forza dell'affidamento che alla P2 offrono le forze della partitocrazia, così come lo avevano offerto a Sindona, in particolare la DC e Giulio Andreotti. Sindona tenta progressivamente di usare le armi della pressione e quelle del ricatto nei confronti della DC e di Andreotti, suoi antichi padrini e beneficiari. Gelli ne assume la gestione dal 1976 come grande professionista del ricatto - altri ed egli stesso parlano di »intermediazione operando all'interno di quel legame ambiguo con i partiti e con alcuni loro esponenti che è proprio dei complici di una medesima serie di operazioni fuori della legalità e finalizzate esclusivamente al rafforzamento del potere.

La chiave di comprensione del carattere eversivo della P2 la si trova esemplarmente proprio nella seconda parte della vicenda Sindona nella quale un presidente del Consiglio usa e consente che operino contemporaneamente e complementarmente le strutture dello Stato e le strutture della P2 contro lo Stato e contro la democrazia.

* Tutti i fatti, le citazioni e i riferimenti contenuti in questo capitolo derivano dall'amplissima documentazione raccolta dalla "Commissione parlamentare d'inchiesta sul caso Sindona e sulle responsabilità politiche e amministrative ad esso eventualmente connesse" che ha svolto i suoi lavori dal settembre 1980 al marzo 1982.

La Commissione ha pubblicato la documentazione in più volumi editi dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica nel 1981 e 1982.

Per tutti i riferimenti si rinvia a quella copiosa documentazione. In particolare si veda "la Relazione di minoranza" (Teodori), pubblicata nel volume DOC XXIII, n. 2 sexties, in data 15 aprile 1982 e ristampata anche nel libro "La Banda Sindona. Storia di un ricatto: Democrazia Cristiana, Vaticano, Bankitalia, P2, Mafia, Servizi Segreti", Gammalibri, Milano, 1982.

 
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