Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
sab 23 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Sciascia Leonardo - 1 marzo 1986
"Papà" Michele Greco e Licio Gelli
di Leonardo Sciascia

SOMMARIO. Da qualche anno, le rivelazioni sulla mafia "cadono su un terreno fertile", dimostrando la giustezza di quanto lo stesso Sciascia aveva scritto dopo l'assassinio del generale Dalla Chiesa, e cioè che probabilmente entro poco tempo si sarebbe assistito allo "sgretolamento" del mito della mafia, che sembra aver perso la testa "sentendosi estromessa dallo Stato e abbandonata ai giudici". Anche il secolare muro dell'omertà "ha cominciato a cedere". La recente cattura del "papa" Michele Greco contribuisce a demitizzare la mafia. Un sintomo è nel fatto che questo potentissimo uomo ha trovato per nascondersi solo un "rifugio da pecoraio". Altro sintomo è che da tempo si aveva notizia dell'operazione in corso per catturarlo, ma Michele Greco non ne ha avuto avviso tempestivo... Qualcosa sta mutando...

(CORRIERE DELLA SERA, 1· marzo 1986)

Qualche anno fa, dopo l'assassinio del generale Dalla Chiesa, ho scritto su questo giornale che come nel giro di qualche mese avevamo visto crollare il mito dell'efficienza e dell'imprendibilità delle Brigate rosse, così, anche se più lentamente, avremmo visto sgretolarsi il mito della mafia. E me ne pareva segno anche l'assassinio del generale, nella catena già cominciata e poi continuata degli assassinii che i giornali chiamano "eccellenti". Segno, dicevo, che la mafia, avvertendo il tentativo di svincolarsi e defilarsi della parte politica che dal dopoguerra alla fine degli anni settanta le aveva consentito prosperità e impunità, sentendosi estromessa dallo stato e abbandonata ai giudici di buona volontà, aveva perso la testa e si era data ad azioni eversive contro quello stato che prima la copriva di un'"egida impenetrabile" (l'espressione è di don Pietro Ulloa, procuratore del re a Trapani nel 1838: dicesi milleottocentotrentotto).

Qualche scriteriato non so se con della malafede in aggiunta di questa opinione mi redarguì: quasi io volessi dare alibi alla parte politica più responsabile, fino a quel momento, della prosperità e impunità mafiosa; mentre la mia era soltanto una semplice riflessione sui fatti, un far quattro dalla somma di due e due.

Quel che da allora è accaduto, ci vuol nera malafede per affermare che mi abbia messo in torto. Le azioni eversive e controproducenti della mafia sono continuate e pare si siano fermate o per la presa di coscienza degli effetti "aggravanti" che producevano o per un ritorno alle antiche regole, sulla soglia di questo grande processo. E si sono fermate, comunque, un po' troppo tardi, quando i danni provocati dai colpi di testa erano ormai irreparabili. E poi accaduto che il secolare muro dell'omertà ha cominciato a cedere. E non che non ce ne fosse stato, negli anni scorsi, qualche avviso, solo che chi si attentava a fare delle rivelazioni sulla mafia era considerato un pazzo: e si può dire che lo fosse, se non teneva conto del rischio, abbastanza elevato e prevedibile, di essere considerato pazzo.

Ogni cosa conviene che accada a suo tempo: e solo da qualche anno le rivelazioni sulla mafia cadono su un terreno fertile, a volte fin troppo fertile nel senso dell'immaginazione, del romanzo, del vasto rameggiare di credenze e di ipotesi.

Oggi, con la cattura di Michele Greco, a pensarci su per un momento, due elementi si aggiungono a demitizzare la mafia: se Michele Greco, detto "il papa" (o, come altrimenti si vuole, "il papà": ed è incredibile che non si riesca ad accertare questo dettaglio filologico), davvero merita questo soprannome. Il primo è che quest'uomo ricco, potente, rispettato e temuto, con vaste amicizie anche altolocate, con relazioni internazionali, non abbia trovato nella sua latitanza che un rifugio da pecoraio e in una zona che la tradizionale densità mafiosa esponeva alla vigilanza della polizia e ai più accurati rastrellamenti.

Il procuratore Paino è convinto che, per regola, un capomafia non può abbandonare il territorio su cui esercita sovranità, che non può abbandonare la "famiglia": quasi come il capitano di un vascello che affonda. Di ciò io convinto non sono: e che non volesse o non potesse rischiare di rifugiarsi in zone che sentiva meno protette, più infide, è comunque cosa su cui riflettere. Confrontato a quello di Gelli, il potere di Michele Greco in questa circostanza ci appare molto più precario, insicuro, labile. Il secondo elemento è questo: dell'operazione che i carabinieri stavano facendo per catturarlo, i giornali ebbero indicazione anche se vaga in tempo utile. Com'è che con eguale tempestività se la mafia è onnipotente e onnipresente come generalmente si crede Michele Greco non ne ebbe avviso?

Qualcosa sta mutando, qualcosa è già mutato: con buona pace di coloro che ancora non vogliono crederci. O che vorrebbero non fosse vero. E non per complicità o interesse, ma per il gusto di continuare a parlarne, a inveire. Così a Robespierre che parlava contro i nemici della Rivoluzione, qualcuno non ricordo se in assemblea o in piazza gridò: "Ma ti dispiacerebbe, se non ce ne fossero più!"

 
Argomenti correlati:
dalla chiesa carlo alberto
br
giustizia
helli licio
stampa questo documento invia questa pagina per mail