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Stanzani Sergio - 16 agosto 1986
CESSAZIONE ATTIVITA': SERGIO STANZANI APRE IL DIBATTITO

SOMMARIO: SERGIO STANZANI APRE IL DIBATTITO PRECONGRESSUALE SULLA CESSAZIONE DELLE ATTIVITA' DEL PR. "NOI DA SOLI NON POSSIAMO PIU' FARCELA. DOBBIAMO CON CORAGGIO RIMETTERE LA QUESTIONE AGLI ALTRI. ALLO STATO ABBIAMO DAVANTI UNA SOLA IPOTESI: LA CESSAZIONE GIA' AL CONGRESSO DI NOVEMBRE. DOBBIAMO PREPARARCI A QUESTO PASSO, RIPROPONENDO CON FORZA LA PROSPETTIVA E LA SPERANZA DELL'ALTRENATIVA DEMOCRATICA. MA IL TEMPO UTILE E' POSO PIU' DI DUE MESI: PER TROVARE CIASCUNO UN NUOVO ISCRITTO, SOLLECITARE AI NON RADICALI LA DOPPIA TESSERA, GARANTIRE VITA E VOCE A RADIO RADICALE. UN CONGRESSO CON 5.000 ISCRITTI E 2.000 VOTANTI SAREBBE FORSE UN INDICE...."

(NOTIZIE RADICALI N. 190, 16 agosto 1986 - EDIZIONE STRAORDINARIA SULLA CESSAZIONE DELLE ATTIVITA' DEL PR)

Roma, 16 agosto-NR-'Notizie Radicali' apre oggi il dibattito precongressuale con l'intervento del deputato Sergio Stanzani, della giunta federale del PR, che qui riportiamo integralmente.

E' mia convinzione che la risoluzione approvata dall'ultimo congresso e l'impegno conseguente di predisporre per quello prossimo un progetto per la cessazione della attività del partito abbia prodotto in gran parte dei radicali un trauma, anche, e forse più, tra coloro che a quella decisione diedero il proprio voto.

Questa condizione si è prodotta per l'intima ed inespressa convinzione di dover sottostare ad un atto profondamente ingiusto e in effetti iniquo. A quella conclusione infatti il partito era indotto non dalla constatazione della propria sconfitta, dai troppi errori commessi, dalla propria stanchezza o dal venir meno della validità dei propri valori o delle proprie iniziative, dal non sentirsi più organismo vivo e vitale, ma da circostanze tutte esterne, dovute ad altri, e determinate dai processi che hanno pregiudicato l'agibilità democratica delle istituzioni.

Il fatto di essersi battuti con vigore e dedizione assoluta contro di essi, aveva lasciato i radicali nella convinzione di rimanere indenni, come partito, e immuni dai guasti della partitocrazia.

Una tale condizione ha comportato rimozioni, equivoci ed incertezze, ha reso necessario un processo di superamento che si è protratto a lungo, complesso e faticoso, e che oggi scontiamo con un pesante ritardo.

La situazione, già grave e difficile a novembre dello scorso anno, lo è oggi ancora di più, nonostante i risultati importanti e per alcuni aspetti imprevedibili ed inserati dovuti all'iniziativa del segretario e alla rinnovata dedizione degli iscritti.

L'assemblea di fine luglio ha segnato un momento che ritengo risolutivo in questo processo di superamento, con una presa collettiva di coscienza più consapevole del valore e del significato di quella decisione.

L'assemblea è servita molto, così come è stata, composta dai mille e più che siamo stati, nessuno escluso, con la parola di tutti e non solo con l'intervento dell'uno o dell'altro.

Ci restano però più di due mesi per predisporre la chiusura del partito in modo da assicurarci, proprio come partito, l'ultima mossa vincente, tale cioè da mantenere intatte, alimentandole, le nostre speranze, il nostro essere radicali. A tal fine dobbiamo essere sempre più convinti e consapevoli che "questo partito", così come è e come fino ad ora ci è consentito che sia, non può più essere, per gli iscritti e per i cittadini, il partito delle speranze radicali; proseguendo con questo partito la nostra attività riusciremmo solo ad alimentare illusioni e - senza rendercene più conto - a distruggere il nostro essere radicali, i nostri valori, ad alienare la nostra storia, riducendoci in breve lasso di tempo a misera cosa, alibi connivente del regime.

Da sempre sono stato convinto che il Partito radicale, quello del nostro statuto - nella sostanza e nella forma per quanto praticabile, sempre rispettato - delle nostre lotte e dei nostri successi, è stato ed è un grande partito che ha voluto e ha saputo essere una costante offerta di democrazia e una incessante proposta di iniziativa e di lotta per tutti i cittadini, per gli altri, per i diversi, e non uno strumento di conquista e conservazione per i soli iscritti.

Lo statuto fu concepito come proposta per la costituzione nel nostro paese di una sinistra, rinnovata e unita, la sinistra dell'alternativa, pronti a scioglierci come Partito radicale qualora la nostra proposta avesse trovato con altre forze il suo compimento.

Così purtroppo non è stato: il Partito radicale è rimasto tale, ma il paese non ha avuto la "sua" sinistra.

E' questa dimensione, è questa prospettiva che rischiamo di perdere. La partitocrazia, il regime, una agibilità democratica non più solo imperfetta, ma nei fatti sempre più inesistente, ce la sottraggono, ci trafugano quantità, qualità e prospettiva, ogni giorno con atti incredibili di rapina, non più sempre voluti, ma sempre più spesso dovuti.

E' questa la condizione oggettiva di cui dobbiamo convincerci, con piena consapevolezza: noi, da soli, così come siamo non possiamo più farcela a mantenere viva e vitale la speranza radicale. Da laici, da socialisti, da libertari quali siamo stati e siamo tuttora dobbiamo con coraggio, ma anche con fierezza, rimettere la questione agli "altri", a quanti in questo paese (forze politiche, movimenti, centri culturali, aggregazioni sociali, cittadini) siano occupati o anche solo preoccupati da una situazione che non è, e non può essere "solo nostra".

Il divorzio fu certo un successo radicale, ma con altrettanta certezza non fu una vittoria del Partito radicale: se tanti, ma tanti cattolici e altri, da noi diversi e diversi dalla "sinistra", quella tradizionale, in gran parte così dubbiosa e incerta, e - perchè no - anche un po' vile, non avessero operato e votato, il paese non avrebbe ottenuto quella grande vittoria da molti imprevista e insperata.

Anche oggi solo un moto più generale, avviato e promosso dall'iniziativa radicale può produrre quelle condizioni che sono necessarie per impedire il consolidarsi di un regime, che intende perpetuare se stesso.

Le ultime vicende dovrebbero aver reso più evidente a molti il significato vero dell'alternanza di un termine che istituzionalizza la negazione dell'alternativa, proprio come presupposto essenziale e insopprimibile della democrazia.

E' quindi necessario promuovere, sollecitare, dare corpo ad "altro", delineare una nuova prospettiva capace di indicare al paese soluzioni diverse, risolutive, concretamente "radicali".

Ma chi può oggi farlo? La Democrazia cristiana rinnovata da De Mita? Il Partito comunista sempre più arroccato in difesa del potere già acquisito e accumulato? Almirante o Capanna? Restano i partiti e le forze laiche e socialiste: ne avranno la capacità e la forza? Finora non l'hanno avuta.

E' nostro dovere alimentare, sorreggere questa speranza.

Oggi è disponibile e proponibile un'ipotesi che ha in sè tutti i requisiti per produrrenel paese una vera e propria rivoluzione democratica.

E' l'alternativa democratica, ipotesi fino a non molto tempo fa impraticabile, perchè egemonizzata dal Partito comunista al quale gli errori, l'incapacità, la debolezza delle forze culturali e politiche laiche e socialiste l'avevano regalata, affossando le grandi speranze dell'avvento repubblicano.

A queste stesse forze spetta oggi il compito di riproporla al paese, con rinnovata credibilità.

In questa prospettiva si colloca il nostro impegno, che potrebbe essere determinante.

L'alternativa democratica se è, come non può non essere, una prospettiva laica, non potrebbe mai essere prospettiva reale se non si proponesse al paese come soluzione "aperta", bisognosa della partecipazione di tutti coloro che avvertono la drammaticità del momento, cattolici e comunisti in primo luogo.

Torna oggi di attualità una delle "invenzioni" della preistoria radicale: non unità delle forze laiche, ma unità laica delle forze.

In questo contesto, con questa prospettiva si colloca il congresso di novembre e il progetto di cessazione delle attività del partito.

Solo un grande congresso consentirà di chiudere questo partito, mantenendo intatte le nostre speranze.

E' questo il compito che ci attende in poco più di 60 giorni, come sempre un compito improbo, come sempre è la scommessa radicale, questa sì è nostra e solo nostra.

Un congresso con 5 mila iscritti e oltre 2 mila compagni presenti alle votazioni sarebbe un indice che la prospettiva della cessazione delle nostre attività ha prodotto i primi passi significativi sul lungo percorso dell'altrenativa democratica.

E' sufficiente che ogni iscritto procuri una sola nuova iscrizione per raggiungere questo risultato.

All'Assemblea molti ed autorevoli sono stati gli interventi esterni, alcuni importanti e significativi.

Agli organi del partito e agli iscritti l'impegno di verificarne la consistenza.

Il nostro partito ammette, anzi richiede la doppia tessera: sia a livello nazionale che nei comuni e nelle regioni il partito, gli iscritti chiedano a questi compagni, a questi amici di essere di nuovo presenti al nostro fianco, al congresso, ancor più autorevoli, ma più numerosi. Siano però presenti come iscritti, non solo per discutere, ma per decidere e deliberare con noi.

Molti sono stati i riferimenti fatti a Radio radicale dai compagni ed amici laici e socialisti nei loro interventi in assemblea preoccupati per la cessazione delle sue attività: se non si raccolgono almeno 500 milioni a settembre Radio radicale chiude. I radicali certo non sono in grado di trovare una cifra così rilevante, in tempi così brevi.

L'iscrizione al partito, la contribuzione in denaro, la partecipazione al congresso, l'iniziativa concreta in Parlamento, nel governo, nelle regioni, nei Comuni e in altri organismi interessati ai servizi resi da Radio radicale sono i termini effettivi e concreti per dare seguito alle parole, per dare un senso attuale e compiuto all'interesse manifestato per la sorte del nostro partito.

Ho vissuto, come tutti i radicali, con angoscia, esitazione e incertezza questi mesi. Oggi mi rimane una sola, vera preoccupazione che non è relativa alle modalità e ai termini che dovremo stabilire per cessare le attività del partito, (ritengo infatti improponibile, allo stato, qualsiasi ipotesi che non preveda la cessazione delle attività subito, a novembre) ma riguarda le condizioni in cui ci troveremo a novembre al congresso quando dovremo decidere.

Sarà lì, in quel momento, che sapremo se la risoluzione approvata lo scorso anno segnerà la nostra sconfitta o costituirà un altro nostro grande successo.

Abbiamo bisogno di un grande congresso, di un congresso di iscritti, numeroso e con presenze rilevanti, un congresso teso e pronto a discutere in prospettiva sul momento che attraversa il paese e la democrazia, un congresso capace comunque di riproporre a noi e agli altri la reale dimensione del partito che era, è e deve restare grande.

Se avremo la forza e la capacità di operare nei giorni che restano per assicurare questo condizioni ci ritroveremo tutti uniti, perchè ci saremo dati ancora una volta la possibilità concreta di riconoscerci per quelli che siamo stati e siamo. E potremo con intelligenza, serenità e fermezza adottare la decisione giusta, quella che meglio risponda al nostro essere e alle esigenze del paese, sia questa quella che oggi appare la più dolorosa, o sia invece quella oggi impossibile.

Ho ritenuto doveroso compiere lo sforzo di scrivere per tentare di comunicarvi con sincerità, consapevolezza e spero con chiarezza i miei convincimenti: non sono tali da farmi sentire deluso, avvilito o stanco, sono le convinzioni di un radicale "da sempre" e che sente e spera di esserlo fino all'ultimo giorno della propria esistenza.

Il tempo utile, per noi e per gli altri, è quello - brevissimo - da qui al congresso.

 
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