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NR - 4 ottobre 1986
Partito radicale addio?

SOMMARIO: Fino a qualche tempo fa, con una grande vittoria politica e civile si poteva ancora sperare di innescare un grande processo di riforma democratica; oggi non più. Oggi che la politica è ridotta a mera questione di potere che senso avrebbe mantenere in vita un partito interessato solo alle grandi questioni ideali della vita pubblica?

(Notizie Radicali n· 233 del 4 ottobre 1986)

Parlare di cessazione delle attività del Partito radicale, porsi la questione del suo scioglimento, può sembrare persino assurdo. Non è solo per i referendum grazie ai quali le questioni della giustizia, della caccia e del nucleare sono ripiombate al centro degli equilibri e delle scadenze della vita politica e parlamentare. Nei dibattiti dei giornali vediamo rincorrersi dichiarazioni e commenti di editorialisti e di politologi, di giuristi e di costituzionalisti che confermano le nostre analisi e le nostre denunce della partitocrazia rimaste tanto a lungo isolate. Dal massimo vertice dello Stato sentiamo riecheggiare giudizi e appelli fino a ieri ritenuti manifestazioni di estremismo radicale. Sulle posizioni antinucleari ci raggiungono la maggioranza del Pci e quasi tutto il Psi. Dalla maxi aula di Poggioreale, con l'assoluzione di Enzo Tortora, ci arriva un messaggio di speranza: non è ancora, certo, la vittoria del garantismo sull'emergenza, ma è almeno la vittoria dell'onestà sulla disonestà dei manipol

atori di leggi e verità processuali. Da ogni settore dello schieramento politico ci giungono, dopo lunghi periodi di ostracismo e di isolamento, segni unanimi di riconoscimento e di apprezzamento.

E perché mai, ci si chiede, dovreste uscire di scena, cessare le vostre attività politiche, pensare di sciogliervi? Ci si dice: non fatelo! Dovete continuare ad assolvere alla vostra funzione. Dovete continuare a battervi!

Ma proprio per questo, proprio perché le nostre analisi, le nostre denunce, perfino le nostre proposte rischiano di essere ampiamente e autorevolmente condivise, proprio perché anche la nostra capacità di dialogo, la nostra »politica delle alleanze , per dirla in gergo tradizionale, risultano anticipatrici e sconvolgenti, proprio per questo dobbiamo essere messi a tacere, dobbiamo essere messi nelle condizioni di non comunicare e quindi di non esistere.

Messo a tacere il partito, oscurata l'immagine del suo leader politico, che nonostante tutto rimane uno dei più conosciuti, popolari e stimati leaders politici del paese, emarginate le sue proposte e le sue battaglie, e quando non è possibile cancellarle, affidate ai dibattiti e ai commenti, alla presenza e al protagonismo politico di altri.

Ma ci si può obiettare: accade oggi sulla giustizia come sul nucleare, sull'uso dei pentiti come sulla »verità del processo Tortora; ma accadeva così anche ieri sul divorzio, sull'aborto, nella lotta contro lo sterminio per fame.

Con una differenza, con una grande vittoria politica e civile, con un grande confronto democratico che aveva avuto la meglio sui riflessi condizionati della classe politica, si poteva ancora sperare di innescare un grande processo di riforma democratica del potere e del sistema partitocratico. Oggi non più. Oggi sappiamo che anche la maggiore delle vittorie -per quanto importante per il paese, per la gente- non ha in sé né la forza né la speranza di mutare la qualità di una politica ridotta a mera questione di potere.

Che senso ha allora mantenere in vita questo partito? Che senso ha che si associno in partito politico ogni anno due/tremila persone per conseguire uno o due grandi obiettivi di riforma in un paese in cui ci si associa per tutt'altro in partiti che da tempo non sono più organizzati per concorrere alla politica nazionale, come vuole la Costituzione, ma sono solo macchine finalizzate all'occupazione, alla spartizione, alla lottizzazione del potere?

Nel 1976, due anni dopo la vittoria del divorzio, fummo eletti per la prima volta in Parlamento dicendo che entravamo »per cambiare le istituzioni, non per esserne cambiati . Siamo riusciti faticosamente a non farcene cambiare, ma sappiamo, così come siamo- di non avere la forza di cambiarle. Sappiamo che se non riusciamo a cambiare in meglio la politica sarà la politica a cambiare in peggio noi.

Per questo abbiamo posto a noi e poniamo a tutti il problema della cessazione delle attività del Partito radicale e la stessa possibilità e prospettiva del suo scioglimento. Se il Partito radicale è inadeguato ad imporre una soluzione democratica alla degenerazione partitocratica delle istituzioni, è bene toglierlo di mezzo.

Alla fine potrebbe costituire solo un alibi e seminare illusioni.

Ma nel momento in cui ci poniamo questo problema, ci accingiamo a dibatterlo e a decidere conseguentemente in Congresso, lo poniamo anche agli altri. Perché non è un problema del solo Partito radicale, è un problema della democrazia italiana, e quindi un problema di tutti. E' un problema anche tuo.

Non c'è legalità, non c'è certezza del diritto.

Non c'è diritto all'informazione, non c'è possibilità di confronto democratico sui temi che più direttamente investono la vita delle istituzioni e gli interessi dei cittadini.

Non c'è democrazia, c'è solo partitocrazia. La democrazia è fatta di contrapposizioni di partiti, uomini e programmi, ed è l'elettore che decide. Qui l'elettore non sceglie e non decide nulla. Si limita a distribuire carte che saranno poi i partiti e i loro segretari a giocare sulla testa degli elettori.

Sono problemi solo radicali? Se davvero lo sono, converrà prenderne atto. Da soli non ce la facciamo. Da soli non li risolveremo.

Occorre riconquistare diritto all'informazione per tutti. Occorre riconquistare legalità e certezza del diritto, non solo nelle aule di giustizia. E' necessario passare da questo sistema proporzionalistico e paralizzante a un sistema elettorale di tipo anglosassone che consenta di trasformare una democrazia oggi solo di rappresentanza in una democrazia di governo, capace di decidere le grandi questioni della vita del paese. Occorre imporre una unità laica delle forze liberali e socialiste, democratiche e radicali che costituiscono oggi una »terza forza rissosa fra l'unità democristiana e l'unità comunista, solo capaci di utilizzare le posizioni di rendita ad esse assicurate dalla proporzionale e dalla mancanza di alternative, ma incapaci esse stesse di assicurare ed imporre una alternativa di democrazia e di candidarsi ad essere non »terza ma »prima forza.

Sono obiettivi che questo Partito radicale evidentemente da solo non può porsi.

Esistono risorse, reazioni, consapevolezze all'interno del sistema politico che facciano sperare che queste riforme possano essere conseguite in tempi politicamente utili? Sono domande che poniamo agli altri partiti. Sono domande che poniamo ai responsabili delle istituzioni. Per ora non abbiamo avuto risposte o abbiamo avuto risposte negative.

Oppure esistono risorse nella società, nella gente, nei cittadini che possano dare tanta forza al Partito radicale da fargli sperare di riuscire in ciò che oggi non avrebbe la forza neppure di tentare? E' la domanda che rivolgiamo a tutti, anche a te.

 
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