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Rossi Giorgio - 26 ottobre 1986
Quell'eredità fa gola a tutti
Un tre per cento che può pesare

di Giorgio Rossi

SOMMARIO: Si apre il Congresso radicale, si preannuncia lo scioglimento del Partito radicale. In platea, si annuncia la presenza dei segretari dei maggiori partiti, pronti a spartirsi il tre per cento che il Pr ha conquistato nelle ultime elezioni politiche.

(LA REPUBBLICA)

ROMA - "Ci saranno tutti stamane al congresso dei radicali, a guardarsi con sospetto, tra sorrisi e compunzione, come gli eredi dal notaio: Craxi, Nicolazzi, Spadolini, Altissimo. I più interessati, il segretario del Psi e quello socialdemocratico, gli altri a fiutare la possibilità di ottenere qualche lascito di consolazione. Perché quella di oggi dovrebbe essere l'assise in cui Pannella e i suoi decidono l'autoaffondamento, la "cessazione" del loro partito. E l'eredità che in voti significa soltanto un due-quattro per cento, in seggi in Parlamento soltanto undici, può diventare politicamente molto sostanziosa.

Un due-tre per cento dei voti (tanti ne raccolsero i radicali alle politiche dell'83 e alle europee dell'84) rappresenta già di per sé qualcosa di molto più significativo del suo peso apparente: nel nostro paese la bilancia politica è sostanzialmente immobile e la perdita o il guadagno di un punto percentuale vengono recepiti e presentati come una grave sconfitta o una sonante vittoria. Se quei voti in libertà confluissero tutti sul garofano socialista è facile immaginare quale valore verrebbe ad avere quel quindici per cento in termini psicologici e di potere contrattuale. E anche una semplice spartizione tra i due partiti di area socialista e qualche briciola ai laici costituirebbe pur sempre un bel lascito.

Un lascito, come dicevamo, comunque in grado di assumere una ancor più grande rilevanza politica. Il perché lo si evince dagli stessi argomenti che i radicali forniscono per spiegare la loro decisione di "cessare l'attività". Nel loro libro bianco sui misfatti della televisione di Stato, Pannella e i suoi documentano la lottizzazione dell'informazione politica: ai partiti non di governo uno spazio minimo, a prescindere dalla qualità, dall'importanza delle notizie.

E quindi, anche nel caso di iniziative dell'opposizione di notevole interesse, il messaggio ai cittadini giunge - quando giunge - fiacco, con scarsa possibilità di presa e di convincimento. Questo, dicono i radicali, è il motivo di fondo del nostro "suicidio": il sistema dei partiti, e delle informazioni che questi gestiscono attraverso radio, televisione e giornali, è tale da impedirci di crescere, di ottenere più ampi consensi perché non consente libere, scelte da parte dell'opinione pubblica.

Questo ragionamento ha senza dubbio dei limiti perché non c'è reale possibilità in un sistema democratico come quello italiano - sia pure leso da storture gravi - di impedire la nascita di grandi movimenti di opinione su argomenti che siano davvero in grado di colpire la fantasia popolare, di recepire e mettere in evidenza problematiche e temi profondamente sentiti. Ma contiene una buona parte di verità: proviamo a riflettere su quel che sarebbe accaduto se il tema dei diritti civili, o quello delle carceri, o quello degli scandali di regime fosse stato sollevato e agitato, anziché dai radicali, dalla Dc o dal Psi, con la conseguente mobilitazione della carta stampata e della televisione.

Ciò induce ad un'altra riflessione. In questi giorni si sta verificando proprio ciò che in genere accade al capezzale del moribondo: finché era in efficienza, risoluto ed aggressivo, lo si considerava per lo più odioso e pericoloso; alla veglia funebre tutti ne ricordano pregi e lungimiranza. Il fatto è che nella loro esistenza, nel bene e nel male, i radicali hanno sempre scelto la vita della massima petulanza, dell'aggressione esasperata, della provocazione: e ciò è senza dubbio servito a fare spettacolo, a richiamare una qualche attenzione, ma ha generato fastidio e disinteresse acuiti e diffusi, drastici giudizi negativi.

Basterà ricordare gli anni oscuri del terrorismo quando non ci fu organo di stampa, non ci fu giornalista che non dovesse subire aggressioni verbali e linciaggi morali, tacciati di assassini, di forcaioli, di fascisti. E fu forse proprio sulla questione del terrorismo che i radicali presero e sostennero la posizione più criticabile, più lontana dal sentimento popolare, più pericolosa per le istituzioni.

Certo, dà fastidio la violenza del loro linguaggio, il loro porsi come unici depositari della verità e del rigore morale, il loro "non voto" in Parlamento che genera contraddizioni e sospetti. Ma nello stesso tempo - e qui si spiega l'interesse dei socialisti, dei laici e anche dei comunisti per questo funerale annunciato - non è possibile dimenticare che in anni lontani senza la loro spinta iniziale forse non sarebbe mai andato in porto né il referendum sul divorzio né quello sull'aborto, mentre Fanfani guidava le truppe parrocchiali alla sacra difesa della famiglia e il Pci si macerava nell'incertezza e nella prudenza. Che il tema dei diritti civili non sarebbe stato nemmeno posto. Che il problema ecologico sarebbe stato quasi ignorato. Che a quello nucleare nessuno avrebbe fatto attenzione. Che della vita nelle carceri non si sarebbe occupato nessuno.

Questi temi, che sono stati il segno distintivo dei radicali, vennero agitati in un paese diverso dall'attuale. Oggi un'Italia laicizzata, certamente più civile e più moderna, sono nelle coscienze di tutti.

Ben accolto, dunque, il suicidio dei radicali dagli altri partiti che potranno appropriarsi di questa eredità, raccogliere consensi e agganciare larghi movimenti di opinione. A meno che Pannella e i suoi non ci giochino il solito tiro da grandi istrioni: e, come nelle farse, non ci tocchi di vedere il presunto suicida che fra l'orrore dei presenti si rialza dal letto di morte e sorride beffardo dopo aver raccolto tante lacrime e tanti riconoscimenti.

 
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