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Rutelli Francesco, Mellini Mauro, Aglietta Adelaide, Pannella Marco, D'Amato Luigi, Vesce Emilio, Stanzani Sergio - 2 luglio 1987
Misure processuali e penali urgenti per la tutela dei cittadini da abusi nella conduzione del processo penale e dalle calunnie dei cosiddetti »pentiti .

PROPOSTA DI LEGGE D'INIZIATIVA DEI DEPUTATI:

RUTELLI, MELLINI, AGLIETTA, PANNELLA, D'AMATO LUIGI, VESCE, STANZANI GHEDINI

Presentata il 2 luglio 1987

SOMMARIO: Si intendono vietare espressamente quelle lusinghe, minacce, promesse con le quali, spesso attraverso vere e proprie forme di inganno e di millanteria, gli imputati vengono indotti alla delazione per procurarsi impunità e diminuzioni di pena. Si propone inoltre l'introduzione di aggravanti per il reato di calunnia commesso per procurarsi benefici giudiziari

(Atti parlamentari - Camera dei deputati - X Legislatura - Disegni di Legge e Relazioni - Documento n. 413)

ONOREVOLI COLLEGHI! - Gli effetti della legislazione, detta dell'emergenza, che ha stabilito speciali benefici per gli imputati di delitti di terrorismo o per quelli responsabili di sequestri di persona a scopo di estorsione che collaborino con le autorità inquirenti, non hanno mancato di manifestarsi ancor più gravi ed estesi di quanto fosse dato prevedere anche da parte dei pochi che si erano opposti a tali misure, sottolineandone il contrasto con i principi della moderna legislazione penale che aveva spazzato via dai codici analoghe norme vigenti negli antichi stati assolutisti, nell'Italia preunitaria ed altrove.

E' anzitutto apparso evidente, fin dall'inizio, che l'effetto di tali leggi, nella pratica, non avrebbe potuto rimanere circoscritto all'ambito specifico per il quale esse erano state concepite, attribuendo al "pentito" un ruolo rilevante anche in processi con oggetto diverso da quello espressamente previsto dalla legislazione "premiale" in vigore. In secondo luogo la logica della legislazione sui pentiti era destinata a svilupparsi in modo da attribuire alle dichiarazioni degli imputati, decisi a barattare la loro impunità o le diminuzioni delle pene per loro prevedibili con la delazione dei complici veri o presunti e comunque con rivelazioni sui delitti altrui, un valore di "prova" sempre meno sospettata e controllata, fino a farne il perno dell'impalcatura di grossi processi ed il mezzo abituale, se non esclusivo, per dimostrare la responsabilità degli imputati di tutti i processi non solo di criminalità organizzata, ma di ogni specie di reati commessi in concorso di più persone.

Al disagio della pubblica opinione di fronte all'impunità o a pene assai tenui per i responsabili di delitti talvolta atroci, una volta che fossero passati ad una interessata collaborazione con la giustizia ed alla delazione di complici colpevoli spesso di delitti assai meno gravi, si sono aggiunte ben presto perplessità d'altro genere, relative agli effetti di tali delazioni nonché al modo in cui esse venivano e vengono sollecitate ed al rapporto che siffatti metodi creano tra magistrati inquirenti ed imputati detenuti.

Il carattere inquisitorio del processo, la facilità del ricorso alla privazione della libertà personale dell'imputato, la possibilità di gravissimi abusi e di imperdonabili leggerezze, la tendenza alla ricerca di scorciatoie nella conduzione delle inchieste giudiziarie, con l'abbandono di altri più complessi ma certamente più sicuri mezzi di indagine, la possibilità del prevalere di idee preconcette dell'inquirente, cui le dichiarazioni del pentito soccorrano prontamente come interessato e servile supporto, il senso di arrogante onnipotenza spesso sfoggiato da ignobili delinquenti, assurti al ruolo di preziosi collaboratori della giustizia, sono altrettanti inconvenienti ciascuno dei quali da solo è più che sufficiente a far riflettere sulla inopportuna gratuità di certi entusiasmi per siffatta legislazione.

In talune circostanze ed in certi ambienti si è giunti alla vergogna di una vera e propria forma di ricatto da parte dei "pentiti", attraverso la minaccia di rivelazioni in danno dei ricattati.

Ma l'aspetto peggiore della questione è certamente rappresentato dalla deformazione dei metodi di indagine giudiziaria, da rapporto inammissibile che si viene a creare tra magistrati ed imputati, da guasti della stessa mentalità di taluni giudici, portati a distinguere gli imputati non già tra colpevoli ed innocenti, ma tra pentiti ed irriducibili. Il ricorso ad espedienti destinati a supplire alla mancanza di specifiche norme di legge che assicurino compensi a delinquenti comuni disposti alla collaborazione, ha dato un colpo ulteriore al principio di legalità nel processo penale. Al contempo l'interesse comune ad una innovazione legislativa che sancisca siffatti benefici, più volte promessa anche da esponenti del governo e troppo semplicisticamente e con eccessiva pubblicità sollecitate da taluni magistrati, ha fatto sì che i "pentiti" si dovessero riconoscere in una sorta di corporazione, operante per il riconoscimento dei "diritti" della categoria, preoccupata di qualsiasi insuccesso di ogni suo comportam

ento e quindi solidale nel fornire riscontri alle dichiarazioni di ciascuno per dimostrare l'infallibile efficacia dei servizi resi.

In siffatta situazione non è tanto l'abolizione delle leggi sui pentiti, che del resto avrebbero dovuto già aver esaurito gran parte della loro efficacia per i limiti temporali e di materia in esse espressamente stabiliti, quanto la repressione degli abusi che ne derivano tuttora che appare necessaria ed urgente. Abusi che di tali leggi sviluppano le intrinseche logiche perverse, provocando quelle espansioni e quelle degenerazioni che sopra sono state richiamate e che ormai da tante parti cominciano ad essere apertamente denunciate.

Questo è il fine che si propone la presente proposta di legge.

Con l'articolo 1 si intende vietare espressamente, anche allo scopo di rendere più puntuale e di facile applicazione la norma penale di cui all'articolo 368-"ter" del codice penale (di cui si propone l'introduzione), di quelle lusinghe, minacce, promesse con le quali, spesso attraverso vere e proprie forme di inganno e di millanteria, gli imputati vengono indotti alla delazione per procurarsi impunità e diminuzioni di pena. Particolarmente grave appare un siffatto modo di procedere da parte dei magistrati ed agenti di polizia quanto il "pentimento" venga "guidato" verso certi sbocchi, in modo da rendere più pressante il condizionamento ed assai meno credibili ed utili, secondo criteri di onesta e corretta logica processuale, le dichiarazioni rese, per consentire e suffragare invece soluzioni preconcette, determinando inoltre compromissioni e pretese lesive della dignità e del decoro della giustizia. Non vi è dubbio che siffatti comportamenti sono da considerare anche oggi illeciti sia sul piano deontologico

che su quello penale, ma il degenerare della prassi esige indubbiamente uno specifico e chiaro richiamo alla correttezza dei metodi. Vale la pena ricordare che persino nella legislazione pontificia esisteva una norma simile. Infatti l'articolo 659 del regolamento organico di procedura criminale gregoriano stabiliva: "E' vietato espressamente a qualunque ministro di tribunale o individuo della forza pubblica, sotto le pene prescritte dalle leggi penali, di dare lusinga d'impunità o di minorazione (di pena) per ottenere da un arrestato l'indicazione di altri colpevoli". Norma civilissima, che si inseriva e si aggiungeva tra quelle che la legislazione liberale aveva ritenuto di poter definire incivili e definitivamente tramontate relative ai "pentiti", che quel regolamento definiva più propriamente "impuniti".

Con l'articolo 2 si introducono invece due nuove norme di carattere penale. La prima prevede speciali aggravanti per il reato di calunnia commesso per procurarsi i benefici ancorché illegittimamente prospettati, dell'impunità o di diminuzioni di pene da parte di un imputato. La seconda norma riguarda l'operato dei giudici o degli ufficiali di polizia giudiziaria che, con lusinghe e pressioni su imputati e testimoni determinino, anche senza che la falsità delle dichiarazioni degli interrogati sia nelle loro intenzioni, comportamenti da parte di imputati e testimoni che costituiscano il reato di calunnia. La commissione di un tale reato da parte delle persone interrogate è considerata come condizione obiettiva di punibilità del comportamento diretto ad ottenere dalle persone stesse, con metodi non consentiti, dichiarazioni che risultino non veritiere se ne segua un danno per la libertà personale di un terza persona.

L'articolo 3 introduce un nuova ipotesi aggravata del reato di estorsione, prevedendo la pena da sette a venti anni di reclusione per chi estorce danaro o altra utilità con la minaccia di una calunnia che possa comportare per la persona minacciata restrizione della libertà personale. A tale ipotesi, particolarmente odiosa, di estorsione consumata, viene equiparato il tentativo, ove la minaccia estorsiva sia mandata ad effetto e ne segua effettivamente una restrizione per la libertà personale.

I sottoscrittori della presente proposta si rendono conto che i guasti di certe distorsioni di principi di civiltà giuridica non possono essere rimediati con altrettanta facilità con cui possono essere provocati e che occorre soprattutto la riedificazione nelle coscienze dei cittadini e dei giudici di quei valori che oggi sembrano così gravemente compromessi. Ma ritengono che questa proposta possa rappresentare anche un utile strumento per il raggiungimento di tale obiettivo e per una riflessione comune nell'intento di ottenere una giustizia più giusta.

PROPOSTA DI LEGGE

ART. 1.

1. All'articolo 365 del codice di procedura penale è aggiunto il seguente comma:

"E' fatto divieto di promettere o prospettare all'imputato benefici non espressamente previsti dalla legge a condizione che riveli le persone di complici o indichi prove a carico di altre persone. In ogni caso è fatto divieto di promettere o prospettare tali benefici come compenso di specifiche forme di collaborazione, di risposta a determinate domande, e di notizie su determinate materie o persone.

Sono nulli gli atti compiuti e le dichiarazioni raccolte in violazione del divieto di cui al comma precedente e sono altresì nulli gli atti compiuti sulla base di tali dichiarazioni".

ART. 2.

1. Dopo l'articolo 368 del codice penale sono aggiunti gli

articoli seguenti:

"ART. 368-"bis", - ("Circostanze aggravanti speciali"). - Le pene di cui all'articolo precedente sono aggravate da un terzo alla metà se il fatto è commesso allo scopo di procurarsi impunità o diminuzione di pena, ancorché erroneamente supposte, o di ottenere la libertà provvisoria da parte dell'imputato.

Le pene sono aumentate dalla metà a due terzi se il fine di cui al precedente comma è conseguito con una sentenza o con un provvedimento che accordi il beneficio, indipendentemente dalla riforma, annullamento, revoca o modifica della sentenza o del provvedimento.

L'aggravante non si applica se il fatto è provocato da un magistrato o da un ufficiale di polizia giudiziaria nei modi di cui all'articolo 368-"ter".

ART. 368-"ter", - ("Abuso di autorità seguito da calunnia"). - Il magistrato o l'ufficiale di polizia giudiziaria che nel corso di indagini relative alla commissione di reati in violazione dei doveri del suo ufficio, con minacce, promesse di impunità o di diminuzione di pene, di concessione della libertà provvisoria, di incentivi finanziari o altri privilegi o di altro vantaggio inerente alla libertà personale o comunque con lusinghe induce un imputato o un teste a fare dichiarazioni o a ritrattare o modificare dichiarazioni già rese, è punito, se ne seguono dichiarazioni non veritiere e se dal fatto deriva l'emissione di un mandato o ordine di cattura nei confronti di una persona o il rigetto di una istanza di scarcerazione o di libertà provvisoria, con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa sino a lire 5 milioni.

Se ne deriva l'emissione di un ordine di comparizione la pena è della reclusione da quattro mesi a quattro anni.

Se dai fatti di cui al primo comma deriva una sentenza di condanna la pena è della reclusione da tre a sette anni.

Le pene sono aggravate se il fatto è commesso mediante promessa di espatrio o con inganno circa l'effetto giuridico della richiesta collaborazione".

ART. 3.

1. Dopo l'articolo 630 del codice penale è aggiunto il seguente:

"ART. 630-"bis" - ("Estorsione mediante minaccia di calunnia e danno alla libertà personale"). - Chiunque mediante minaccia di ricorrere ad una calunnia che possa comportare una restrizione della libertà personale della persona minacciata estorce, procura a sé o ad altri denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sette a venti anni.

Con la stessa pena è punito il tentativo del reato di cui al comma precedente se l'agente, non avendo conseguito il profitto, mandi ad effetto la minaccia commettendo il reato di calunnia".

ART. 4.

1. E' abrogato l'articolo 4 del decreto-legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 1980, n. 15. Sono altresì abrogati i commi primo e secondo dell'articolo 6 della legge 29 maggio 1982, n. 304.

 
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