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Tortora Enzo - 31 agosto 1987
Una giustizia all'inglese anche in Italia
di Enzo Tortora

SOMMARIO: Interrogati sul giudice che preferirebbero avere se fossero chiamati a giudizio, i magistrati italiani rispondono, all'unisono, "un giudice inglese".

(Notizie Radicali n.200 del 31 agosto 1987)

Ero in carcere. Dalla televisione, trasmettevano una »esemplare forma di »inchiesta . Dedicata ai magistrati. A sollecitarli era Enzo Biagi che da uno studio poneva loro questa semplice domanda: »E se un giorno, malauguratamente, dovesse toccare a voi, da quale giudice preferireste essere giudicati? . All'unisono i nostri magistrati tricolori risposero: »Da un giudice inglese .

Da un giudice inglese!

Il disgusto, il senso di nausea che provavo (e che provo tuttora, allora in cella, e oggi, dopo tre anni, agli arresti domiciliari) stava toccando vertici incontenibili. Infatti, non li contenni.

Lorsignori scelgono dunque, o sceglierebbero, quando si tratta della loro pelle, della loro libertà, della loro dignità, i magistrati inglesi. La giustizia inglese. A noi, invece, alla gente, a quella gente che possono permettersi di squartare, perché intanto non pagano mai dazio, lasciano invece il »trattamento di famiglia . I nostri valorosi magistrati (quelli che oggi inveiscono contro i referendum) sono del resto del tutto simili a certi nostri ministri della Sanità, che quando si tratta di operazioni che riguardano loro, o i loro familiari, se ne vanno, sì, in clinica. Ma all'estero.

La vergogna, il caos, lo sfascio, la disorganizzazione e la corruttela delle Saub, quelli li lasciano invece regolarmente agli elettori. Alla gente. Al popolo. Ai cittadini.

I nostri magistrati (anzi: le loro magistocrazie, le loro emergenze) dovessero proprio scegliere, sceglierebbero dunque di presentarsi davanti a un bel giudice in parrucca, di quelli col martelletto in mano, di quelli che siedono in una confortevole, civile Corte foderata in legno d'acero: giudici ai quali si può dire »Vostro Onore mi oppongo e che amministrano pacatamente una giustizia degna di questo nome.

A noi, invece, lasciano senza rimpianti (anzi: guai a toccargliele!) le vergognose procedure di questo paese infame, le torture e i tormenti di un impianto penale che ci squalifica oramai davanti agli stessi turchi o agli iraniani: le dolci carcerazioni preventive comminate in nome del nulla o, quando va bene, in nome di un pentito accettato come se fosse il Vangelo, cioè senza l'ombra di una prova; un pentito che il più cretino dei cancellieri della Gran Bretagna avrebbe valutato in cinque minuti per quello che è: un volgare calunniatore a caccia di sconti, di privilegi o di barattati favori. Le loro emergenze, dunque, per se stesse voterebbero Old England: quanto a noi, comuni mortali, godiamoci pure Napoli e le sue belle gabbie zoologiche gremite di scimmie umane, e quei dibattimenti bizantini intrisi di disgustoso, sguaiato vernacolo, dove il Pm, come nel caso del dottor Marmo, con stile degno di Mario Merola esibisce, protendendo il petto, le sue vistose bretelle (rosse) sotto la »maestà della toga.

Ma direi che tra le ragioni non dette »contro i referendum, questa, anche se sommersa è la più indecente: i magistrati italiani non si »fidano proprio, et pour cause, dei loro stessi colleghi. Mi viene in mente Orazio, quando dice che i due sacerdoti che si incontrano dovrebbero onestamente mettersi a ridere a vicenda, solo pensando alla faccia di coloro che hanno fede nei loro riti. L'astiosa, direi canina, avversione che certi ceti della magistratura (quella peggio intossicata dalla politica emergenzialista, quella dei »teoremi , delle »campagne , delle »maxigiustizie ) hanno impudicamente esibita contro di noi, è di per se stessa invece la garanzia che abbiamo toccato il cuore, il centro del problema. Il centro vero. E come sono rivelatrici, le loro repliche! »Saremmo costretti a farci un'assicurazione... gemono in coro. Ma magari! Magari i magistrati italiani fossero costretti, una buona volta, come gli automobilisti, ad assicurarsi per i danni provocati ad altri! Non passerebbero due stagioni e nessu

na assicurazione al mondo (neppure i Loyds di Londra) rinnoverebbe più la polizza alla stragrande maggioranza dei magistrati italiani. Per la molto semplice ragione che, sfascia una carrozzeria (umana) oggi, sfasciane un'altra (sempre umana) domani, verrebbero gentilmente invitati a cambiare aria, o a imparare una buona volta a guidare, cioè ad amministrare decentemente, responsabilmente, professionalmente, la giustizia.

Ma ve lo immaginate il magistrato che arresta duecento (duecento!) omonimi, davanti all'assicurazione?

Oppure: »Se il referendum passa , gemono querule le toghe, »saremmo costretti ad essere eccessivamente prudenti . Ma tanto meglio. Tra un guidatore di Tir, abituato, e male abituato, a correre alla velocità che vuole, disprezzando codici, divieti di velocità, mettendo sotto chi gli pare, perché nessuno intanto gli chiederà mai la patente, e un camionista che una regolina ogni tanto se la dà, io penso sia infinitamente preferibile il secondo. E quando riusciremo ad avere una specie di »tabella professionale dei magistrati? Quando riusciremo a vedere gli svarioni, i danni, le coglionerie professionali che questi intoccabili riescono, in carriere rese assurdamente inarrestabili, ad accumulare sulla pelle del prossimo?

Non le vedremo mai, senza questo referendum. Basterebbe questo, a giustificarne la necessità.

Quale paese al mondo, al contrario, se non l'Italia, a coronamento di tanti indecorosi sfracelli, promuove invece i propri macellai alla cattedra di neurochirurgia? Da noi, avviene. Basta vedere il profilo di alcuni nuovi eletti del Csm. Reduci dalle gloriose »spedizioni di Padova o di Napoli, i più bei Napoleoni dell'improntitudine, non si sa se più stolida o più crudele, si godono adesso, nell'attico degli onori, quanto hanno compiuto, e a man bassa, al primo piano o a livello stradale. Il resto è solo chiacchiera, solo vaniloquio, anche se fasciato di paroloni.

La verità è una sola: costoro non vogliono che la loro situazione, di assurdo privilegio, venga toccata. Hanno paura. E chi ha assaggiato, nella carne e nel cuore, la loro arroganza, non può non comprenderli. Ma non può anche non augurarsi, proprio perché li ha visti all'opera, che questa vergogna, in nome della democrazia e del diritto, venga spazzata per sempre dal panorama della civiltà di un paese.

 
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