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Stango Antonio - 7 dicembre 1987
Dall'Est nuovi compagni
di Antonio Stango

SOMMARIO: La valutazione della "perestroika" da parte di alcuni dissidenti sovietici.

(Notizie Radicali n· 283 del 7 dicembre 1987)

Per un partito impegnato da anni nella lotta contro il totalitarismo e le sue minacce, per la democrazia e per i diritti umani (anche con un richiamo ben preciso agli accordi internazionali in materia), avere punti di riferimento, contatti e possibilmente aderenti in un Paese come l'Unione Sovietica sarebbe stato importante anche se non si fosse presentata l'esigenza di una rifondazione che ne accentui e ne consolidi il carattere transnazionale. Se già da tempo diversi contatti esistevano, in particolare con numerosi ebrei sovietici che lottano per ottenere il permesso di emigrazione in Israele e che subiscono una serie di discriminazioni e di vessazioni da parte del regime; se già una donna, Cherna Goldort, aveva annunciato fin dal febbraio scorso la propria iscrizione telefonandoci dalla Siberia; se adesioni, dichiarazioni di solidarietà ed impegni di collaborazione attiva erano giunti dal mondo del dissenso in esilio (dall'iscrizione di Leonid Pliusc a quella di Vladimir Glezer, dall'intervento di Bukovsk

ij, di Maksimov, di Voslensky e di Zinoviev in congresso alla manifestazione del settembre scorso a Mosca, organizzata d'intesa con l'Internazionale della Resistenza); pure, era ormai necessario incontrare personalmente quanti si battono, in Unione Sovietica, per ottenere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, rischiando, e spesso affrontando pesanti condanne.

E' per questo che, a metà novembre, sono stato a Leningrado e a Mosca per parlare con alcune persone che, con diversi approcci e varie iniziative, sfidano quotidianamente il regime sovietico organizzando manifestazioni, inviando proteste, firmando appelli, promovendo dibattiti e diffondendo informazioni attraverso difficili canali »non ufficiali . Ho trovato in tutti un grande interesse per le idee e le proposte radicali ed una enorme disponibilità al dialogo, avvertendo nettamente come la totale assenza di un confronto pubblico ed il soffocamento di ogni forma di opposizione abbiano non affievolito, ma ingigantito negli ambienti del dissenso le capacità di attenzione, di critica, di analisi, dei fenomeni sociali, in un clima di rispetto quasi sacro per la Parola: quella Parola che viene negata dal sistema (che la sostituisce con l'oceano delle parole della propaganda) ma che risorge in ogni seminario clandestino, in ogni bollettino del samizdat, in ogni incontro nei piccoli appartamenti dalle sottili pareti

prefabbricate nelle città fatte solo in periferie, sorte le une uguali alle altre intorno ai centri storici prerivoluzionari.

La perestrojka -la ristrutturazione- è soltanto all'inizio, e nessuno scommette su quanti passi potrà ancora compiere: molti temono che sia destinata a spegnersi come accadde alla nep (la Nuova Politica Economica) del tempo di Lenin, o alle riforme introdotte da Chruscëv. Intanto, ancora le code per le strade si infittiscono spesso di persone in attesa del loro turno per acquistare mele od altri generi alimentari, mentre molti prodotti sono semplicemente introvabili. Solo negli aeroporti, nei negozi riservati ai turisti che pagano in valuta pregiata o nei grandi alberghi si può vedere utilizzata qualche mini-calcolatrice, ed la contrario è frequente che alle casse vengano adoperati vecchi pallottolieri di legno: non per voluta fedeltà ad una tradizione, ma soltanto perché l'elettronica, in Unione Sovietica, è ancora quasi inesistente, se non per gli impieghi militari.

Il Paese è arretrato, quasi incredibilmente se si pensa al suo ruolo di grande superpotenza, capace di invadere l'Afghanistan e di esercitare un controllo durissimo si decine di Stati satelliti in tutti i continenti: dalla Polonia al Vietnam, da Cuba all'Etiopia. Anche di questo parlano i dissidenti, che pensano sia stata molto importante la manifestazione di settembre contro la guerra afghana e che ai problemi della »lotta per la pace guardano in un modo assai diverso da quello che suggeriscono le pubblicazioni stampate con gli auspici del Cremlino. No, l'Unione Sovietica non sta costruendo la pace, anche se qualche gesto positivo si sta attuando nel quadro degli accordi con gli Stati Uniti. E la glasnost? Questa parola magica, la »non segretezza che Gorbaciov ha proclamato da alcuni mesi, e che dovrebbe consentire di discutere apertamente dei problemi del Paese? Esiste, certo: ma in misura molto minore di quanto certa stampa occidentale sembra bramosa di voler far credere. I cittadini sovietici vengono s

pesso a conoscenza di quanto accade a Mosca o a Chernobyl molto tempo dopo che la notizia è filtrata in Occidente. E, se è vero che dalle maglie della censura passano ora molte più pubblicazioni, ufficiali o indipendenti, di quanto avveniva prima, è altrettanto vero che tuttora si verificano spesso arresti di autori di scritti critici verso il regime, che si requisiscono stampati o manoscritti, che alle frontiere si controlla caparbiamente che non entri alcuna opera che possa turbare (in quanto religiosa, pornografica, politica o semplicemente letteraria) l'ordine stabilito dal PCUS. Così, coloro che cercano di pubblicare qualsiasi tipo di testo alternativo lo fanno nella consapevolezza che da un momento all'altro qualcuno potrebbe bussare alla loro porta, come per molti è già avvenuto in passato, e condurli al carcere, al lager, al confino. »Soltanto pochi mesi fa -dice Lev Timoveev, scrittore, autore del libro »L'arte del contadino di far la fame e fondatore del Press-club »Glasnost - ero in un campo di l

avoro a regime speciale, e non avrei mai creduto che ora mi sarei trovato qui, a parlare fra amici di politica. Però so che fra poco le cose potrebbero cambiare di nuovo, e che potrei tornare in quel campo. Anche per questo è importante restare in contatto, incrementare l'interscambio di informazioni; ed è molto utile che in Occidente si sostengano le nostre iniziative, a cominciare dal seminario che terremo a Mosca dal 10 dicembre, e che vorremmo divenisse permanente .

Il 10 dicembre, anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e anche il giorno prescelto da Anatolij Dubkov, di Leningrado, per organizzare una manifestazione per la liberazione di tutti i prigionieri politici e l'effettivo rispetto di quel documento, firmato dalla stessa Unione Sovietica. L'ultima volta in cui aveva manifestato, il 30 ottobre, Anatolij era stato arrestato e condannato a dieci giorni di prigione per »teppismo aggravato . Ventisettenne, redattore della rivista indipendente »Slovo (»La Parola ), ha deciso di iscriversi al Partito radicale, dichiarando: »Sostengo pienamente il preambolo allo Statuto e tutti i principi di questo partito... tanto più che anch'io agisco usando gli stessi metodi nonviolenti . Altri hanno fatto la stessa sua scelta. E' il caso di segnalare, in particolare, Alexander Lerner, matematico-cibernetico di fama mondiale, membro della prestigiosa Accademia delle scienze dell'Urss, docente universitario a Mosca e collaboratore dell'Enciclopedia sovieti

ca fino a quando, nel 1971, non fu privato dei suoi incarichi per avere presentato la domanda di emigrazione in Israele. Ancora oggi a settantaquattro anni, Lerner non ha perso la speranza di poter un giorno raggiungere Israele, a discutere del problema degli ebrei sovietici, dei diritti umani, della perestrojka e della glasnost (che vede con favore, pur considerandole insufficienti), a pubblicare, sebbene con difficoltà, opere all'estero. Si è anche dedicato con impegno alla pittura, in particolare dipingendo soggetti religiosi ebraici e ritratti; sulle pareti spiccano il volto di Sharanskij, quello di Einstein, quello di Ida Nudel... »E' con grande interesse -dice- che sono venuto a conoscenza del fatto che il Partito radicale sottolinea l'esigenza che vengano rispettati i diritti umani in tutti i Paesi, fra cui l'Unione Sovietica, e che si interessa molto al problema dell'emigrazione degli ebrei in Israele. Poiché questo partito è fautore di azioni nonviolente, poiché sostiene i principi morali del rispet

to dei diritti umani, io provo una grande simpatia per la sua attività. Penso che gli sforzi del Partito radicale rivolti alla mobilitazione dell'opinione pubblica ed in favore di un approccio liberale nei confronti di coloro che desiderano emigrare siano molto utili, e li sostengo fervidamente .

Altre testimonianze sono più drammatiche. E' molto grave la situazione di Vladimir ed Isolda Tufeld, anziani, soli, che da diciassette anni si vedono negato il permesso di emigrare in Israele. Entrambi sono invalidi, Isolda è stata operata recentemente per un tumore al cervello; hanno bisogno di molte cure, e il loro desiderio è di riceverle avendo vicino il loro unico figlio Igor, in Israele già da diversi anni. Quasi immobilizzati hanno però la forza di continuare a protestare, ad inviare appelli alle autorità sovietiche e all'opinione pubblica occidentale; improvvisano anche, ritrovando un sorriso, uno spettacolo di burattini, che in qualche modo riproducono le loro sembianze. »Siamo Vladimir ed Isolda Tufeld -recitano i due pupazzi-, da diciassette anni chiediamo di emigrare e questo non ci viene concesso. Siamo invalidi, abbiamo bisogno di cure, vogliamo raggiungere nostro figlio. Aiutateci, per favore aiutateci . Presto, Isolda dovrà affrontare una seconda operazione al cervello. Ignora quanto le resti

da vivere, ma si fa forza nella speranza di riabbracciare Igor. Vedere qualcuno che aveva parlato con lui, poiché Igor era stato al Congresso del Partito radicale nel febbraio scorso, e sapere che i radicali intendono battersi perché il loro caso venga risolto le dà una grande emozione e nuovo coraggio. L'indirizzo dei Tufeld è: Urss- Moscow B-120- Ulica Chkalova 41/2, Apt 272. Parlano inglese, e mi auguro ricevano molte lettere (meglio inviarle raccomandate, perché è più probabile che vengano recapitate). Sono cose importanti per aiutarli ad andare avanti, fino al momento in cui -è il nostro impegno- verrà loro concesso di emigrare.

Altri incontri, altri drammi, altre iniziative, altre storie potrei citare dei miei pochi giorni in Russia. Il tempo (quello consentito dal viaggio organizzato secondo i programmi dell'agenzia ufficiale sovietica, con partenza, ritorno ed itinerari prefissati) è trascorso per me troppo velocemente, lasciandomi un grande desiderio di ritornarvi al più resto. Spero davvero che questo mi sia possibile. Non solamente per rivedere le persone di cui ho parlato ed i tanti di cui è preferibile, per il momento, non indicare i nomi; ma per conoscere nuovi amici, nuovi compagni, per costruire insieme qualcosa di più di un partito organizzato su basi transnazionali. Quello che è in gioco è una lotta comune per la difesa delle libertà e dei diritti più elementari di tutti; ed io non credo che ciò sia possibile senza l'apporto delle idee e delle azioni di quanti vivono nei paesi totalitari, in Unione Sovietica come in altre parti del mondo. Di più: così come una piccola »matrioska -la celebre bambola di legno russa- ne

contiene molte altre, ogni amico in Russia nasconde nomi, indirizzi, numeri di telefono (cosa notevole in un Paese in cui gli elenchi telefonici non esistono) ed altri dati su molte persone, da ciascuna delle quali si può attendere un incontro di grande interesse umano, prima ancora che politico. L'arricchimento dell'esperienza radicale che ne può nascere è facilmente intuibile.

 
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