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Deaglio Enrico - 10 gennaio 1988
I RADICALI DIVENTANO GANDHI
di Enrico Deaglio

SOMMARIO: "Il dopo Cicciolina, il gelo con Craxi, il partito trasnazionale. Pannella di nuovo cambia tutto. Persino sede e lingua. Prossima tappa: Bruxelles. Prossimi miti: il Mahatma. E un nuovo eroe: Mathias Rust".

[Questo articolo è stato scritto alla conclusione del Congresso del Partito radicale di Genova (2-6 gennaio 1988) che ha deciso la trasformazione del Pr in soggetto trasnazionale-transpartitico che non parteciperà, di conseguenza, alle competizioni elettorali]

(EPOCA, 10 gennaio 1988)

"Ha presente Greenpeace? Ecco noi saremo la Greenpeace del Diritto. Seri, preparati ma anche spettacolari. Gireremo il vecchio continente per convincere tutti della necessità impellente di costituire gli Stati Uniti d'Europa, faremo firmare appelli come quello contro la fame in Africa sottoscritto dai premi Nobel, ma ci prepariamo anche all'azione.

Impareremo le lingue, esploreremo altre terre, ma sapremo anche essere atletici, come quel Mathias Rust che atterrò con il suo aereoplanino sulla Piazza Rossa di Mosca".

Giovanni Negri, trentunenne torinese, segretario del partito, annuncia così al congresso di Bologna il contributo che i radicali intendono dare alla crisi istituzionale italiana. E non c'è dubbio che si tratti di una soluzione radicale: la rosa nel pugno se ne va, trasloca dall'Italia e si prepara a colpire, naturalmente con l'arma della nonviolenza, sotto lo sguardo severo, ma comprensivo del Mahatma Gandhi che diventerà il loro simbolo. "E fin da ora" continua Negri "posso escludere che i radicali, con il simbolo di Gandhi, possano ancora presentarsi alle elezioni italiane. Ogni radicale, naturalmente, se lo vorrà, sarà libero di presentarsi nel partito che preferisce; ma, per quanto riguarda il partito, basta. Volevano qualcuno che desse il buon esempio? Eccolo: noi mettiamo in atto il disarmo unilaterale dalle competizioni elettorali. Adesso aspettiamo che qualche altro ci segua. E se non lo faranno, pazienza. Ma, per quanto ci riguarda, continuare a far politica solo in Italia, per noi è diventata una f

rustazione troppo grande".

Come al solito, non è banale, il 34esimo congresso del partito radicale. Al Palazzo dei Congressi di Bologna, oltre a quello di Gandhi, campeggiano i volti di Altiero Spinelli e di Ernesto Rossi e circolano nomi e rappresentanti di un mondo semisconosciuto: dissidenti dell'Est come Leonid Pliutsch; Mike Ajay, immigrato dalla Nigeria a Torino, che tra un anno, in virtù della rotazione, siederà, primo nero della storia, come deputato nel parlamento italiano; intellettuali ed autonomisti spagnoli, militanti dei diritti civili israeliani, federalisti francesi e belgi, esperti inglesi di lotta alle tossicodipendenze... lo scenario è però del tutto cambiato, rispetto all'anno scorso.

Dodici mesi fa, i radicali erano andati al congresso annunciando drammaticamente il loro scioglimento. Avevano pochissimi iscritti e si sentivano insopportabilmente discriminati dai "mass media", Marco Pannella annunciava che non esistevano le "condizioni minime" per svolgere attività politica e aveva addirittura già esteso il testamento del piccolo-glorioso partito. Ma le cose non andarono così come erano state previste. Successe infatti che i radicali furono sospinti, proprio dal mondo ufficiale italiano, a continuare. Un coro assordante di elogi: da Cossiga, a Craxi, a Spadolini, a Nicolazzi, ad Altissimo, a Montanelli, al presidente della Rai Enrico Manca.

Quest'anno, a Bologna, è diverso. Nessuno si agita più di tanto per chiedere ai radicali di continuare a rimanere in Italia o di non trasferirsi nelle nebbie di Bruxelles. E soprattutto, nessuno sembra offrire nulla al partito di Pannella.

Si sa, c'è stata di mezzo l'inaccettabile Ilona Stallar. Ma è solo colpa sua? E' solo colpa di questo esangue ed instancabile signora ungherese, se Marco Pannella non è stato associato al governo? Se al partito che da vent'anni ha prodotto movimenti che si sono tramutati in leggi e che non ha mai visto un suo rappresentante inquisito dalla magistratura, è stata sbarrata la porta del palazzo? I radicali, naturalmente, sostengono di no. Per il leader storico del partito, il trattamento riservato ai radicali è essenzialmente il trionfo della miopia politica, della bottega di palazzo, contro la quale neppure i più generosi riescono a combattere. Craxi, il principale punto di riferimento "è diventato gelido", dice Pannella. Il polo socialista libertario del 20 per cento dei voti non funziona perchè al posto dei grandi progetti, ci si limita semplicemente ad aspettare la consunzione finale dei socialdemocratici e si tengono gli occhi bassi. I tempi del palazzo sono maledettamente lenti e triviali, e quindi non si

vede perchè chi ha tensione morale debba continuare a perdere il proprio tempo nelle sale d'aspetto delle segreterie dei partiti. Via, via, allora. In Europa. Via, come i cavallieri erranti. Via come gli antifascisti che scelsero la guerra di Spagna e non come Benedetto Croce che scelse di restare...

Contro i sentimenti non si combatte, specie in casa radicale. E quindi è inutile ricordare le molte vittorie che il loro movimento ha riportato, il fatto, per esempio, che la campagna contro la fame in Africa sia diventata legge; o che l'Italia unico Paese al mondo, abbia cancellato il proprio programma nucleare. O che sia passato il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Tutto questo, che sarebbe un consultivo più che sufficiente per un piccolo partito, a Marco Pannella non basta più. E il leader saprà essere, come sempre, impietoso contro chi vorrà convincerlo ad accettare i tempi e i modi del quieto vivere.

Come in tutti i congressi radicali, anche a Bologna, dunque, va in scena il duello annunciato tra l'"utopia" e i "piccoli passi".

E come sempre, ognuno è chiamato a fare la propria parte. Quest'anno vengono sollecitati alla tribuna Enzo Tortora, per dire che è sbagliato fuggire in Europa quando c'è ancora tanto da fare in Italia; poi è la volta del deputato Massimo Teodori, per chiedere a Marco di non ripetere l'errore del Che, che stanco di Cuba, se ne andò a morire sulle montagne della Bolivia. Chiamato anche a giustificarsi è il dimissionario presidente del gruppo parlamentare Francesco Rutelli. Alla fine, il vecchio leone, risponde a tutti spiegando che, si, "forse il partito trasnazionale abortirà e tutto si risolverà in un babelico crollo di vaniloquenti e marginali... Forse, l'Europa sarà una ripetizione patetica dell'errare e dell'errore del Che alla ricerca di una morte "diversa" di fronte ad una vita troppo "uguale". Ma, conclude Marco Pannella "è anche possibile che così non sia". E troverà chi lo seguirà, a diffondere l'insegnamento di Gandhi e l'amore per il diritto o il sistema elettorale anglosassone, a digiunare tra i t

erroristi dei paesi baschi o in favore di un obiettore di coscienza davanti ad una caserma belga. Perchè, in fin dei conti, è pur vero che Marco ha raggiunto la bella età di 58 anni, ma il carisma, in Italia, l'ha inventato lui: Celentano è venuto dopo.

Alla politica ufficiale italiana, i radicali lasciano comunque una dote considerevole e imbarazzante: nessuno, ovviamente, sarà autorizzato ad usare il vecchio simbolo del partito, ma resta libero sul mercato elettorale il 2,6 per cento dei voti, un milione di italiani, che dovrà, già dalle elezioni europee dell'89, scegliersi un partito da votare, oppure astenersi. E, francamente, nessuno sa quale strada potranno prendere quei voti. Come nessuno sa quale effetto potrà avere, nel costume politico italiano, questa inaspettata "migrazione politica" in un Paese in cui di Europa parlano tutti, ma con l'occhio ben fisso al collegio Roma Viterbo Latina Frosinone. E nessuno può escludere che i temi radicali di oggi (il potere del parlamento europeo, la definizione di una politica estera comune, la certezza di regole democratiche in attesa della liberazione dei mercati del 1992) diventeranno effettivamente concreti e reali.

"Espressione esasperata della sinistra liberale in Italia", definì molti anni or sono i radicali il filosofo Norberto Bobbio. La definizione continua ad essere felice.

Non ci rimane che attendere per vedere dove colpirà la Greenpeace del Diritto. Chissà forse Pannella attraverserà il Golfo Persico camminando sulle acque per salvare giovani disertori iraniani ed iracheni. (E come si arrabierà quando i giornali scriveranno: questo prova che i radicali non sanno nuotare).

 
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