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Apap Georges - 11 marzo 1988
Droga: la repressione e i suoi limiti
di Georges Apap

(Notizie Radicali n· 51 dell'11 marzo 1988)

SOMMARIO: Nel gennaio 1987 il Procuratore della Repubblica Georges Apap pronunciava questo intervento favore della legalizzazione delle droghe in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario del tribunale di Valence (Francia).

(da Le Monde)

Signor presidente, fra un istante le domanderò di dichiarare aperto l'anno giudiziario 1987. Ma non per questo saremo certi di quel che sarà.

Piuttosto che dedicarmi al lungo esercizio di esaminare ogni questione ho preferito scegliere un soggetto, tenerlo come esempio ed estrarne alcune riflessioni di ordine generale.

La mia scelta si è portata sul problema della tossicomania.

Si sa fino a che punto questo soggetto preoccupi l'opinone pubblica. Questa preoccupazione è legittima. Ma la mia prima riflessione è di sorpresa davanti al risalto che la questione ha nell'inquietudine generale. E' in termini allarmistici, infatti, che si sente correntemente parlare di flagello della droga. Certo il problema è grave e il pericolo reale. Ma siamo certi di non essere andati oltre misura?

Così si è anche potuto ascoltare recentemente una persona altolocata comparare i guasti della tossicomania a quelli di una guerra.

Ogni anno si registrano in Francia oltre 120 morti per overdose. vediamo invece le guerre:

- quella del 14-18 ha fatto 8 milioni di morti, tra i quali 1.600.000 giovani francesi;

- quella del '39-'45 ha fatto 40 milioni di morti, se includiamo le vittime dei campi di sterminio nazisti;

- attualmente, due paesi ancora abbastanza immaturi, per guerreggiare in uno stupido conflitto contano già un milione di morti.

Queste cifre, comparate con i 120 tossicomani, danno un'idea dell'esagerazione con la quale si allarma l'opinione pubblica su un soggetto, certo drammatico, ma sul quale appare focalizzarsi un'»intossicazione psicologica.

Il vero pericolo per il corpo sociale, la vera insicurezza che minaccia le persone, viene da altrove, da avvenimenti e comportamenti che ci sono vicini ma che nessuno denuncia.

Voglio dire, per riprendere il numero dei 120 morti l'anno, che bisogna raffrontarli con le 12.000 vittime per incidenti che provoca ogni anno la circolazione automobilistica e, meglio ancora, con gli 80.000 morti dovuti all'alcolismo. Si parla appena degli incidenti stradali, e per niente dell'alcolismo, come se i veri flagelli si paventassero tanto meno quanto più sono pericolosi. Ma si comprenda bene, è qui che la mia seconda idea si collega alla prima: non voglio aggiungere l'intolleranza all'esagerazione. Non conduco crociate contro l'alcolismo e non ho alcune intenzioni di prendere le difese dei produttori di alcol.

Sottolineo solo la tolleranza di cui beneficia l'alcolismo, fino all'indifferenza, fino alla compiacenza: parlate di un tale che ieri si era abbondantemente ubriacato e non susciterete che pensieri divertiti e sorrisi di convenienza. Al contrario, di fronte allo stesso uditorio e a proposito dello stesso personaggio, dite che lo si è sorpreso ad abbandonarsi a un derivato della cannabis o della coca o del papavero, e vedrete all'istante i sorrisi smorzarsi e i volti indurirsi.

Questo perché, mi si obietterà, l'uso degli stupefacenti è pericoloso. Ne convengo assolutamente. Ma si rimpiazzi, in un discorso sulla tossicomania, la parola »droga con la parola »alcool e, chiedo, mi si dica se il discorso ha perduto la sua coerenza.

La sola differenza tra i due fenomeni è quella relativa alla proibizione di legge. E dunque la mia seconda idea è appunto quella di invitare a riflettere sul senso e sulla portata di questa proibizione.

Essa risale (in Francia n.d.r.) alla legge del 18 luglio 1845. Da allora non ha cessato di essere iscritta in tutti i nostri testi repressivi, fino al Codice della Sanità pubblica.

La prima breccia nel processo proibizionista appariva non in una legge ma in una circolare del maggio 1978, diffusa dalla Cancelleria, che invitava i procuratori a non perseguire più i consumatori di hascisc e di marijuana, ma a indirizzarli a medici o a associazioni specializzate. Bisogna notare che non si trattava che di una circolare, peraltro in contrasto -come spesso succede- con la legge, ma che aveva il merito nuovo di proporre una vera e propria depenalizzazione dell'uso di droghe. Le sue disposizioni sono attualmente messe in discussione, in un contesto polemico interessante da analizzare. Ora, bisogna dirlo con franchezza, dopo un secolo e mezzo di divieti, di repressione, di leggi sempre più severe, il fenomeno non cessa di estendersi e il numero dei tossicomani di aumentare.

Senza arrivare al punto di dire che la severità favorisce il flagello, si può almeno affermare come verità evidente che questa severità non è di alcun aiuto per arrestarlo, e che la proibizione non serve a niente. Meglio ancora, essa ha gli aspetti perversi che hanno tutte le proibizioni; ad esempio favorisce il traffico, rincara il prodotto a causa dei rischi corsi dal trafficante, produce una delinquenza specificamente tesa a procurarsi il denaro per l'acquisto di droghe costose, incita all'alterazione del prodotto, rendendolo ancor più pericoloso.

Si pensi che alla proibizione della libera vendita di siringhe, divieto che è all'origine del propagarsi dell'Aids.

Per meglio illustrare il mio pensiero vorrei rievocare l'epoca del proibizionismo sugli alcoolici, negli Stati Uniti d'America dal 1919 al 1933: contrabbando, traffico, corruzione, smercio clandestino, bevande adulterate, apparizione della mafia, sanguinosi regolamenti di conti. Il rimedio era peggiore del male, e l'abolizione del proibizionismo nel 1933 se non ha fatto scomparire l'alcolismo, almeno ha strappato questo vizio ad un ambiente deplorevole, che lo rendeva ancor più odioso.

Insomma, per l'alcol come per la droga, gli effetti della proibizione sono esclusivamente negativi. Ma tali evidenze sono difficili da enunciare quando urtano così categoricamente con l'opinione dominate. Le si considera come provocatrici, mentre la voce che le proferisce è piena solo d'angoscia, l'angoscia del paralitico che vede il cieco che lo conduce avviarsi per una strada senza uscita.

Bisognerà ben ammettere, un giorno, che la marea della tossicomania, come quella dell'alcolismo, si alza inesorabilmente, con o senza proibizione, fino a un livello definitivo dove alla fine si stabilizzerà, e a quel punto occorrerà pure abituarcisi. Sarà la tolleranza verso la droga, dopo la tolleranza verso l'alcol.

A questo proposito non posso non citare Jean Cocteau: »Poiché questo mistero ci sorpassa, fingiamo (?) di esserne gli organizzatori , e, trasponendola al nostro soggetto, dire: »Poiché questo fenomeno ci sorpassa, perché non organizzarlo? .

Permettetemi di fermarmi qui, perché non ho intenzione di disegnare uno scenario di quel che sarebbe una società aperta agli stupefacenti; dove il trafficante si trasformerebbe in un onesto importatore e il piccolo rivenditore in gestore di ritrovi senza crimine; dove il servizio antifrode si interesserebbe della qualità del prodotto; dove i medici si occuperebbero solo dei consumatori eccessivi; e dove occorrerebbe che la Brigata antistupefacenti si riconvertisse.

Ho detto che avrei voluto, da questo argomento, tirare conclusioni generali. Io auspico che l'esempio scelto abbia mostrato i limiti che bisogna assegnare alla repressione. Sono ben cosciente che è un discorso inatteso, da parte di un procuratore. Ma volevo, per un attimo, esprimermi da cittadino, un cittadino certo abituato, da tempo, a vedere le cose da un punto di vista privilegiato, ma desideroso di portare alla società, della quale è partecipe e solidale, il contributo della riflessione di molti anni sull'efficacia di una sanzione in campi dove l'evoluzione dei costumi diventa ineluttabile. Vorrei, attraverso questo, che cessassimo di aspettarci, dalla repressione, il rimedio a carenze educative, a difficoltà di inserimento, sulle quali la giustizia non ha alcuna capacità di incidere.

Perché sono stanco, veramente stanco, di sentirmi gridare nelle orecchie: »Ma che fa dunque la giustizia? Che aspettate a metterli in prigione?

 
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