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Pannella Marco - 20 marzo 1988
Ovunque fossimo, tranne in Italia ...
Lettera di Marco Pannella a Renato Altissimo, Antonio Cariglia, Bettino Craxi, Giorgio La Malfa, Sergio Stanzani

SOMMARIO: Viene qui riportato il testo della lettera che Pannella rivolge al PLI, PSDI PSI, PRI, PR riproponendo "senza complessi e solamente con una punta, ogni tanto, di nausea politica", la proposta di un governo a sette ed in esso una presenza "piena" delle forze in questione per "contrastare il peggioramento ulteriore dello status quo ed evitare di consumare tempo" e forza.

A Renato Altissimo ed ai membri della Direzione del PLI

A Antonio Cariglia ed ai membri della Direzione del PSDI

A Bettino Craxi ed ai membri della Direzione del PSI

A Giorgio La Malfa ed ai membri della Direzione del PRI

A Sergio Stanzani ed ai membri della Segreteria del PR

Ai membri dei Gruppi parlamentari PSI, PSDI, PRI, PLI e Federalista Europeo

Carissimo Renato,

ovunque fossimo, tranne in Italia e in qualche altro paese proporzionalista, sarebbe difficile spiegare, altro che con ragioni storiche e preistoriche, perché non costituiamo un solo partito, e perché i nostri aderenti non ne compongono, scomposti, "componenti" diverse.

Il guaio è che mi diventa sempre più sgradevole e difficile spiegarlo anche in Italia, e spiegarlo a me stesso, in termini politici, etico-politici e progettuali, di società e di Stato.

Per la verità, se ci fossimo uniti in un solo partito, diverrebbe subito difficoltà a molti comunisti e molti democristiani e molti apolitici spiegare a loro volta perché mai stiamo lì e non qui.

Sommando i nostri voti oltrepassiamo il 25% dei suffragi. Se ci presentassimo, prima politicamente e poi elettoralmente uniti, ne perderemmo molti, sic stantibus rebus; ma ne guadagneremmo certamente molti di più se ci presentassimo con qualche idea-forza, qualche proposta di tipo "referendario", di "civiltà", come ad esempio quella di una riforma elettorale che ci garantisse il passaggio a quella democrazia anglossassone che sempre più, mi sembra, è punto di riferimento obbligato, e agli Stati Uniti d'Europa "now", e non quando fossimo unificati dalla miseria, dalla marginalità, o da peggio ancora.

Poiché l'obiezione principale che mi viene opposta è che rischieremmo in siffatta ipotesi di scomparire e di assicurare l'eternità a DC e PCI, torno a ripetere che io propongo di proporre al Paese di darci il 30%, darci un grande successo, di dare per ora forza e iscritti ai nostri partiti, per poter proporre, poi, a livello istituzionale questa riforma.

Non rischieremmo dunque nulla; nulla di più di quel che rischiamo oggi. Che è moltissimo.

Se nel corso di questa crisi dovessimo vedersi delineare un "tavolo" PRI-PLI, uno PSI-PSDI-PR, con la DC al centro delle scelte e degli arbitrati, ciascuno può illudersi o magari anche ottenere qualche vantaggio immediato. Così come se se ne formassero altri, "extrapentapartito", uno PR-DP-Verdi, accanto a quello PCI-Indipendenti di sinistra. Il tutto con l'aggiunta del "tavolone" extragovernativo sulle riforme istituzionali.

E poi? E alle elezioni europee, alle amministrative, alle regionali, alla RAI-TV nella mendicità o nella rapina di spazi di sopravvivenza, nel sottogoverno e nella ricerca di finanziamento, di assessori e di mandati di comparizione?

E con quale Governo? Con quale forza interiore od esterna? Con la solita storia di stillicidi e di risse in vista del Congresso DC e dei nostri?

Sembra che la nuova soluzione della difficoltà si avvii a chiamarsi "pentapartito", perché - ho sentito - per Craxi è meglio semplificare, per Cariglia è meglio ascoltare - consentendo - De Mita, per Altissimo non so, anche se non poso mettere in dubbio che sappia.

E quasi tutti, tenendosi ben rasenti ai muri e ben seduti su poltrone e strapuntini perché "qui volano bassi", accettano e subiscono la bestemmia demitiana della "quasi-maggioranze istituzionali", mutilazione clamorosa di democrazia politica, pur di avere in cambio la garanzia che non ci facciano una legge che ci dia - all'uno o all'altro - all'uno contro l'altro o a spese dell'altro - qualche riformetta elettorale sgradita.

Spero che non ci si perda troppo tempo con l'arrière-pensée che da qualche mese sono colto da ministro mania, personale o di partito. A sessant'anni, e con il tipo di vita e di persona che sono stato e sono, vorrebbe semplicemente dire che l'arteriosclerosi è avanzatissima e da interdizione, anche per i miei compagni poco più che ventenni.

Ritengo semplicemente che l'ostracismo operato, voluto, subito, nemmeno calcolato, contro la forza radicale sul piano dei governi, delle maggioranze, e - fino ad alcuni anni fa - sul piano "laico" sia costato, e costato troppo a tutti. Non si è valutato quanto siamo ferocemente forza di aggregazione, di disciplina di settore, di lotta e di famiglia, duri e leali, ma anche capaci, nel fare, nel costruire, nel pesare nella vita civile e nazionale, e anche istituzionale.

Tutte le nostre battaglie hanno avuto altri nomi istituzionali dai nostri. Non ci siamo mai preoccupati un istante di amministrare o di rivendicare i successi riportati, con il nostro non marginale contributo; abbiamo vegliato a non divenire un "partito laico in più", e a non avere insediamento altro che di opinione o ideale, niente consiglieri comunali, assessori, sindaci, consiglieri di amministrazione, scrutatori, portieri alla RAI o da Berlusconi, dando tutti i nostri soldi pubblici a radio radicale, ogni volta discutendo, vagliando, e difficilmente ma recisamente deliberando.

Tutto questo in nome di un disegno consapevole, del quale oggi possiamo tutti valutare la concretezza e l'onestà.

Se, quindi, pongo, ripropongo senza complessi e solamente con una punta, ogni tanto, di nausea politica, questa proposta di un Governo a sette (se qualcuno si fa fuori da sé, il problema è un altro) e in esso della nostra presenza "piena", è perché non trovo altro, per ora, che possa efficacemente, in modo comprensibile anche alla gente, contrastare il peggioramento ulteriore dello "status quo", ed evitare di consumare tempo, e consumare la nostra forza, i nostri partiti, o affidarne a poveri disegni di potere e di sottopotere l'avvenire e il successo.

Aver ridotto tutto a nulla, è quello che ci colpisce come una maledizione; e non vi scrivo, credetemi, mosso da preoccupazioni verso e dal partito del quale ho la tessera, perché me la concede.

Ma vi sembra davvero possibile che ci siamo spaccati per Montalto o no? Per il "nucleare-di aggancio tecnologico" o no? O che ci siamo divisi fra "nemici" e "amici" dei magistrati e della "indipendenza" della magistratura, per poi votare quasi tutti un "si" al referendum ed ora, tutti tranne noi, una legge che va esattamente in direzione opposta al referendum ed ai suoi risultati? Mentre nella DC e nel PCI non queste posizioni laiche, ma posizioni e interessi quasi dogmatici convivono senza storie, grazie al trasformismo di tutti.

E noi che continuiamo a sperare nella speranza che "vada bene" - che so io? - per il "polo PRI-PLI", per quello del 20%, o per quello del 7%, riducendo il problema PCI a ingenui tentativi di utilizzo o di ricattini?

Eppure... Non è che io senta rivivere in me l'abate Seyes che spiegò con qualche fortuna al terzo stato che era nulla mentre poteva essere tutto, ma immaginate un solo istante cosa accadrebbe di "notevole", anche per gli aborriti "mass-media", se un giorno di questi ci riunissimo tutti noi, insieme, in assemblea comune, come i direttivi della DC e del PCI si riuniscono, magari solo per decidere che torneremo a farlo un'altra volta, ben presto, per due o tre giorni, e con qualche tema su cui prendere una delibera comune?

Sono anni che giriamo attorno a queste proposte. Poi non se ne fa nulla.

Dinanzi a giochi e giochetti di crisi, in cui ciascuno tira per conto suo (e - lasciatemelo dire - semmai per una volta la buona sorpresa torna a venire dai toni e dall'atteggiamento del PRI e non da noi altri magnifici quattro dello scorso anno, e della leadership che così volentieri assegnavamo a Craxi) se continua così, come fare a non "chiamarsi fuori"? Ed è possibile che non comprendiamo, tutti, che dobbiamo operare perché dalla crisi vengono aiuti sostanziali, politici, comuni, a quelli fra di noi che, come partiti (e non è il PR) siano in maggiore difficoltà? PLI e PSDI, per esempio?

Nel suo ultimo articolo sul giornale innominabile, Occhetto ha inserito due parole-chiavi: democrazia politica, e nonviolenza. Non "pacifismo", "unità popolare", "unità nazionale", o i tradizionali (da vent'anni, dal dopo-Togliatti), orrori del lessico populista e neocrispino. Vi par nulla? E in quel partito, e solo in quello, si sta discutendo, accettando di discutere della propria storia; noi, per le nostre, è come se non ci fossero. E continuiamo, in nome di quelle storie, separate che è come se non ci fossero (oggi: ed è giusto ed è vero), ad essere divisi, invece che uniti, deboli invece che forti.

Ma, per Dio, è proprio impossibile capire che abbiamo bisogno, che dobbiamo a quanti sono venuti prima di noi ed hanno sofferto la separatezza perché storicamente obbligata, e che per questo furono grandi civilmente, moralmente, e sostanzialmente battuti politicamente, ed abbiamo bisogno non che i destinatari primi di questa lettera comincino qualche volta a sentire l'interesse, la convenienza, la bellezza di farsi fotografare almeno una volta insieme, ad un tavolo di presidenza di qualcosa, di noi, d'altro, di quel che gli pare.

Che Pantheon di storie, di nomi, di foto, di vite e di morti, onoreremmo, resusciteremmo, mostreremmo finalmente quali preparatori, costruttori di un presente civile e grande, e non più come martiri e testimoni, come vinti e residui d'una nobiltà perduta, emblemi indebitamente usati per giustificare e consumare le nostre rassegnate, piccole separatezze.

Pu numerosi che ne siano i destinatari, questa lettera è personale, pienamente personale, da me a ciascuno che avrà avuto la bontà di leggermi, di cercare di capirmi, decifrarmi se necessario. Personale, fin nel pagamento dei francobolli, dove sono necessari.

C'è la crisi. Ma non può esserci solo la crisi. Il resto, importa di più. E deve trovare un segno, qualche volto, qualche gamba per camminare. Vi propongo di pensare, seriamente, di fare un viaggio a Roma, senza altro motivo che per stare insieme, e insieme ,farci vedere un istante. Magari il martedì 30 o il mercoledì 31 Marzo. O quando vorrete.

Quel che mi auguro, che spero, che vi prego, è di rispondermi; comunque, ma di trovare un attimo, o un'ora, per farlo.

Grazie.

Fraterni saluti, Marco Pannella

 
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