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Bandinelli Angiolo - 1 aprile 1988
Il fascismo, errore della cultura
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO. Il dramma del secolo è la sconfitta del "soggetto", della "persona". Per sopravvivere, l'intellettuale "sceglie la via dell'ambiguità". Dopo Nietszche, "il primo intellettuale ambiguo" della modernità, altri seguirono: Bataille, Heidegger, Schmitt, Junger, Céline. E' troppo facile spiegare questi fenomeni con una presunta separazione tra l'impegno, la partecipazione politica, e l'attività culturale vera e propria. Non sarebbe più corretto affrontare più a fondo il problema della "sostanza culturale" di nazismo e fascismo? Giustamente vengono qui ricordati Del Noce e Giacomo Noventa, il quale sostiene che il fascismo fu non un "errore contro la cultura", ma un "errore della cultura": comunque non il "male assoluto", come sostiene l'antifascismo. L'a. ritiene addirittura che al fascismo non la democrazia, ma solo il "liberalismo" può opporsi efficacemente.

(IL POLIEDRO, periodico, Bari, aprile-giugno 1988 - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)

Alla metà degli anni '30 Benedetto Croce scriveva la "Storia come pensiero e come azione", un libro dai valori (se non dai toni) drammaticamente esistenziali. Nelle sue pagine Croce bolla con parole di fuoco il dilatarsi della categoria del Politico (forma dell'utile) su ogni altro momento del vivere civile e dell'agire dell'uomo. Il filosofo appare uno sconfitto: quale valore alternativo egli riesce a proporre solo quella "religione della libertà" in cui si esprime (ed è il suo limite negativo) l'impossibilità di agire nella concretezza della storia. Ma la sconfitta del filosofo trascende le responsabilità del singolo, della persona. E' proprio la persona ad uscire sconfitta dal dramma del secolo. Per sopravvivere, l'intellettuale - e non solo lui - sceglie la via dell'ambiguità.

L'ambiguità moderna nasce da lontano. Il "primo intellettuale ambiguo del nostro tempo", troviamo scritto (1), è Nietzsche; dopo di lui appare il multiforme Bataille, il cui "azzardo fu quello di immaginare una lotta contro il fascismo e il nazismo che ne accettasse le premesse ideali, interpretate come esigenze reali del nostro tempo, che i nazisti erano ben lungi dall'aver compreso per primi ma che essi abilmente sfruttavano, depravandole nella più tragica abiezione" (ibidem). Il caso più clamoroso è però Heidegger, investito da un ciclone di critiche per l'adesione al nazismo e, ancor più, per il silenzio mantenuto più tardi.

Ora, a noi pare che una richiesta di ritrattazione sia sempre inadeguata a riparare il danno; e che, infine, di ritrattazione non si debba in certi casi parlare. Heidegger fu nazista? Lo fu anche Schmitt, come Junger, come infiniti altri. Qualunque ritrattazione singola non potrà mai risarcire l'enormità del problema, come osserva Diego Marconi (2): "Se un grande filosofo è stato, non superficialmente, nazista, questo rischia di significare che il nazismo è stato, da un punto di vista culturale, un fenomeno di maggior spessore di quanto appaia dai roghi di libri di Goebbels o dai deliri razzisti di Rosemberg. Cib non rende il nazismo meno demoniaco, ma lo rende ancor più inquietante perché lo fa apparire come, presumibilmente, più persuasivo, più radicato, più duraturo, meno facilmente identificabile con il regime sanguinario di una banda di briganti. La nostra cultura, che non è stata avara di analisi del radicamento sociale ed economico del nazismo, è capace di affrontare il problema della sua sostanza cul

turale?"

La domanda la giriamo agli studiosi della storia fascista, una storia che è forse più semplice, forse più complessa di quella del nazismo. Per Bobbio la risposta è data da sempre: il fascismo non fu cultura. Più in qua, illuminante è la definizione che proviene dal Del Noce (3) quando scrive che il fascismo "è certo storia di un fallimento, ma ciò non toglie che in esso siano implicati i più alti vertici della cultura dei due decenni del nostro secolo. 'Errore della cultura', come diceva Giacomo Noventa, non 'errore contro la cultura"'; comunque non "il male assoluto" (per citare ancora Del Noce); chi pensa così, ricorda il filosofo cattolico, pretende di cancellarne persino le tracce dalla storia: e questo è impossibile, è altro errore. L'errore che ha compiuto, a nostro giudizio, il pensiero antifascista, non potendo altrimenti perché non in possesso di categorie storiche e logiche corrette.

Per quaranta anni, si è pensato che per giudicare il fascismo bastasse contrapporgli quanto si definiva, puramente e semplicemente, democrazia - vale a dire il ritorno alla forma democratica. Una volta trovato il tacito, comune, accordo su questo parametro di interpretazione, tutto il resto viene lasciato nell'ombra e si impone, su di esso, il silenzio. Noi non concordiamo. Per quanto possa suonare paradossale e persino offensivo, democrazia non è antitesi di fascismo. Il confronto, imposto dalla critica del secolo, è tra fascismo e liberalismo, tra una cultura e una politica del potere (primato del Politico) e una cultura e una politica del diritto. Lo Stato di diritto è l'antagonista dello Stato etico nelle sue varie forme, nella complessa fenomenologia nel moderno: unico antagonista, in forme ancora inesplorate e forse in parte inimmaginabili. Ma è su questa ipotesi di lavoro che l'intellettuale del nostro tempo - nel fascismo e nell'antifascismo, che in definitiva è connotazione al negativo, volutamente

al negativo - fallisce. Ricalcitra, rifiuta di spingersi oltre nella ricerca. Ed è per tale rifiuto che gli restano in definitiva incomprensibili sia l'antifascismo che il fascismo; per non giudicare il quale deve, quindi, tacere seppellendone nell'oblio documenti e testimonianze. Egli ha oltretutto paura che tra tante cartacce possa spuntare fuori, a denunciarlo, il suo nome.

NOTE

1) Carlo Sini: "Bataille o dell'ambiguità", "Rinascita", 11 aprile 1987.

2) Diego Marconi: "Heidegger nazista", in "L'Indice", anno V, n.1, gennaio 1988; ma acuto anche Guido Ceronetti su "La Stampa", 7 febbraio 1988.

3) Augusto Del Noce: "Il fascismo visto e giudicato come puro errore di cultura", "Corriere della Sera", 31 dicembre 1987.

 
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