di Mauro MelliniSOMMARIO: L'analisi critica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati in particolare per quanto riguarda la questione dei verbali di deliberazione collegiale da custodire in busta chiusa.
(Notizie Radicali n· 87 del 28 aprile 1988)
Secondo De Mita l'approvazione della legge sulla responsabilità civile dei Magistrati ha chiuso per la giustizia la stagione del malessere.
Anche nell'ambiguità del linguaggio demitiano sembra evidente che il malessere sia rappresentato dal referendum, dalla chiarezza così poco contrattualistica e lottizzatoria delle scelte sottoposte al giudizio popolare, dal braccio di ferro con la corporazione dei magistrati, dalla necessità di barcamenarsi tra le spinte genuine dell'opinione pubblica e le pressioni caparbie dell'industria culturale ed editoriale. Che per la Democrazia Cristiana la questione della responsabilità civile dei magistrati fosse un »incidente da chiudere il prima possibile e nel modo più indolore -indolore si intende, per gli interessi costituiti- era nella logica delle cose.
Ed era logico che il Partito comunista, una volta abbandonato il ruolo -difficile davanti a scelte precise- di partito del corporativismo oltranzista dei magistrati, avesse interessi più o meno analoghi. Ma tutto ciò, semmai, rappresentava un motivo in più per il Partito socialista e per il Partito liberale perché assumessero assieme ai radicali una linea coerente con l'iniziativa referendaria di cui erano promotori.
Come siano andate le cose è invece ben noto. Nel braccio di ferro tra Craxi e De Mita, tra scioglimento delle Camere, referendum, staffetta etc. etc. il Partito socialista mise in vendita il referendum, mostrando la sua disponibilità a trattarne la liquidazione sulla base della proposta Rognoni, che aboliva totalmente la responsabilità diretta, rendeva arbitro il CSM del diritto al risarcimento del cittadino verso lo Stato, impasticciava tra responsabilità civile e responsabilità disciplinare, riduceva la eventuale rivalsa dello Stato verso il magistrato verso una misura simbolica (quella che fu battezzata "rivalsina"), ipotesi che tuttavia suscitò le ire della Associazione Magistrati.
Era evidente che a trattare su quel piano non poteva rimetterci che il Partito socialista e, quel che è peggio, in misura assai maggiore la credibilità e l'efficacia del referendum. Affermare che si potessero realizzare in qualche modo gli intenti del referendum con qualcosa di somigliante al progetto Rognoni: pensare che -mentre il popolo stava per essere chiamato a decidere se abrogare le norme del CPC che limitavano la responsabilità diretta dei magistrati- si potesse abolire del tutto la loro responsabilità diretta, significava svuotare di valore politico e normativo il referendum per il momento in cui si dovesse e potesse tenerlo.
Si dovrebbe anche aggiungere che, stranamente, nel corso di quelle trattative si diede per scontato che un altro referendum sulla giustizia, quello sul sistema elettorale correntocratico del consiglio Superiore della Magistratura non dovesse superare il vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale (il che era inconcepibile stando alla precedente giurisprudenza della corte in materia), ma che si dimostrò invece corrispondere ad informazioni del tutto esatte, ammesso che si trattasse di semplici informazioni.
Lo scioglimento delle Camere; l'approvazione di una »leggina che consentiva lo svolgimento dei referendum già indetti senza che divenisse operante il rinvio di due anni; la fissazione della consultazione popolare per l'8 novembre; l'esito del voto, sono cose note. La presentazione di proposte di Legge -democristiana e comunista innanzi tutto- prima ancora dell'esito del voto, sono cosa nota. Con esse i due maggiori partiti intendevano sottolineare che la questione della responsabilità civile sarebbe stata sistemata indipendentemente dal voto popolare e, quindi, malgrado il voto popolare. Intanto la legge stessa che aveva consentito di tenere i referendum malgrado le elezioni anticipate, aveva previsto che l'effetto abrogativo del voto eventualmente positivo del referendum potesse essere riferito di centoventi giorni dalla proclamazione dei risultati e ciò allo scopo di »colmare il vuoto legislativo prodotto dal referendum. Questa storia del vuoto legislativo è stata una delle più cialtronesche mistificazio
ni che siano state escogitate e che ha avuto un ruolo essenziale in questa vicenda.
In realtà il referendum non apriva alcun »vuoto legislativo se non nel muro di impenetrabilità alla realizzazione di un precetto costituzionale, quello che vuole tutti i dipendenti statali direttamente responsabili per i danni arrecati in violazione di diritti dei cittadini.
La legge, uscita dapprima dalla Commissione Giustizia della Camera, poi dall'Aula, quindi passata al Senato che l'ha modificata, poi tornata alla Camera che assegnandola alla Commissione Giustizia in sede legislativa l'ha di nuovo modificata, poi ancora modificata dal Senato e quindi definitivamente approvata dalla Commissione Giustizia della Camera il 12 aprile (quattro giorni dopo l'entrata in vigore dell'abrogazione degli articoli del Codice di procedura civile sottoposti a referendum) è una legge pessima, farraginosa, sconclusionata, congegnata in modo da negare nei fatti ciò che proclama e promette.
Muovendosi nella logica del partito del »no al referendum, che aveva sollevato tutte le possibili ed impossibili obiezioni alla responsabilità civile dei Magistrati, la legge si preoccupa di eliminarne essenzialmente i pretesi inconvenienti, e li elimina tanto da eliminare del tutto la responsabilità civile. Essa esclude che il cittadini possa agire direttamente contro il magistrato, imponendogli di chiedere il risarcimento allo Stato. La colpa grave viene circoscritta entro confini tali da renderne, oltre tutto, assai problematica anche la prova.
Il cittadino danneggiato non può chiedere il risarcimento prima che il giudizio sia esaurito in tutti i possibili gradi. Poi, l'azione contro lo Stato deve essere dichiarata »ammissibile , eventualmente arrivando fino in Cassazione per ottenere tale declaratoria di ammissibilità. Poi, il giudizio vero e proprio, sempre contro lo Stato. Infine, entro un anno dal momento in cui lo Stato ha pagato il danno (ma non è stabilito alcun termine perché, anche persa la causa, lo Stato paghi il disgraziato danneggiato), l'azione di rivalsa nei confronti del magistrato che ha causato il danno. Rivalsa per modo di dire, perché lo Stato non può ripetere -quale che sia il danno risarcito al cittadino- se non una somma pari ad un terzo dello stipendio percepito dal magistrato al momento in cui il giudizio di danno è iniziato.
Ma il colmo del grottesco è stato raggiunto con la questione dei verbali di deliberazione collegiale da custodire in busta chiusa. Tali verbali dovrebbero garantire il magistrato che abbia votato contro, rimanendo in minoranza, per un provvedimento che abbia arrecato danno risarcibile.
Presente nel disegno di legge governativo, questo incombente era stato respinto dalla Camera. Introdotto dal Senato, la Camera lo aveva di nuovo cancellato. Fatto sta che ad un certo punto della trattativa per il nuovo governo, Craxi ha scoperto che la legge per la responsabilità civile era una »leggiaccia ed ha detto che »bisognava rifarla .
Qualcuno gli ha fatto notare che ormai la maggior parte delle norme era stata approvata in testo conforme da Camera e Senato e pertanto, a norma di regolamento, non potevano essere »rifatte né modificate.
Saputo che una deliberazione difforme restava sulla »busta chiusa , respinta dalla Camera, pare che Craxi abbia detto: bene, rimettiamo la busta! E busta fu.
Il bello è che, nella fretta, il Senato ha stabilito che le famose »buste (per redigere e conservare le quali vi sarà un rallentamento del lavoro giudiziario e spese notevoli per armadi, registri, rubriche etc.) dovranno essere distrutte quando siano decorsi i termini per il giudizio di responsabilità del cittadino contro lo Stato: molti anni prima che possano servire a qualcosa nel giudizio di rivalsa nel quale soltanto possono essere utilizzate! E la Camera non ha voluto toccare il testo così che anche questa smarronata è divenuta legge.
Una legge, dunque, che abolisce la responsabilità del magistrato verso il cittadino danneggiato, anche quel pochissimo che ne esisteva con le norme sottoposte a referendum. Un tradimento scoperto ed arrogante della volontà popolare, un attentato all'istituto del referendum, una violazione patente dell'art. 28 della Costituzione. Si tenterà la strada del ricorso per conflitto di attribuzione tra referendum e Parlamento alla Corte costituzionale; e intanto, essendo la nuova legge applicabile solo ai casi futuri, ed essendo abrogato dal referendum l'obbligo dell'autorizzazione del Ministro, sono state proposte varie azioni per danni arrecati in passato da comportamento doloso di magistrati.
I magistrati si assicurano a centocinquantamila lire l'anno contro i rischi, in realtà inesistenti, nascenti da questa legge. E litigano. Scissioni si sono verificate nella corrente di Magistratura Indipendente ed in quella di Impegno Costituzionale.
Effetto della legge? Direi piuttosto effetto del referendum che, benché tradito vergognosamente anche da alcuni dei suoi promotori, ha pur sempre affermato a grande maggioranza la volontà del popolo italiano ad avere giustizia a misura del cittadino e non a misura del magistrato. E questo, tradimento o meno, è quello che resta.