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D'Elia Sergio - 28 aprile 1988
L'Europa disunita delle carceri e delle leggi
di Sergio D'Elia

SOMMARIO: La creazione di uno spazio giuridico comune in Europa non passa attraverso i trattati e gli accordi in materia di lotta al terrorismo, ma deve fondarsi sui diritti della persona già iscritti nelle Carte fondamentali esistenti. Occorre giungere ad una armonizzazione delle normative penali dei vari paesi della Comunità europea, uniformandole al livello più alto di umanità e di civiltà giuridica. Il problema dei detenuti stranieri e della possibilità di espiare la pena nel proprio paese può essere affrontato subito, con le iniziative già in atto. I radicali possono farsi promotori di un "Manifesto dei diritti dei detenuti" da lanciare nella Comunità europea, raccogliendo adesioni e stimolando le iniziative dei detenuti su di esso.

(Notizie Radicali n· 87 del 28 aprile 1988)

Alcune settimane fa venti cittadini italiani detenuti nel carcere di Nizza hanno inviato una petizione al loro Parlamento per sollecitare la ratifica della »Convenzione per il trasferimento delle persone condannate , atto che gli consentirebbe null'altro che scontare la pena nel proprio paese. Nello stesso tempo, venti cittadini non italiani detenuti nel carcere di Rebibbia vorrebbero riparare, pur sempre in galera, nel paese in cui hanno più stretti legami sociali e familiari, e superare così le difficoltà e le diffidenze che incontrano nel percorso di reinserimento.

La soluzione, a conti fatti, potrebbe essere uno »scambio di prigionieri , ché il problema è esattamente lo stesso. E qualcuno dotato di buon senso ci ha pure pensato, cinque anni fa: esiste infatti una Convenzione del Consiglio d'Europa, firmata da una ventina di paesi europei ed extraeuropei, ratificata da pochi soltanto, che permetterebbe l'esecuzione di sentenze penali straniere.

Il 15-20% di detenuti nelle carceri d'Europa sono stranieri: non cittadini dello Stato che li detiene eppure detenuti secondo le leggi dello Stato, condannati come cittadini e trattati come stranieri, uguali a tutti gli altri dal punto di vista dei delitti e delle pene ma diversi dagli altri rispetto alle possibili alternative al delitto e alla pena.

Molti detenuti non italiani (colombiani, cileni, argentini, jugoslavi, anche un tamil e pure un afghano) dal carcere di Rebibbia hanno preso la tessera del Partito radicale, hanno promosso un convegno che si terrà a Roma il 19 e 20 maggio e una petizione al Parlamento europeo che è aperta alla firma di tutti i detenuti nelle carceri di Europa.

Per difendersi da discriminazioni e pregiudizi, da espulsioni e isolamento, molti detenuti, molti stranieri, hanno scelto di iscriversi all'unico partito esistente al mondo che, per meglio difendere la vita del diritto e il diritto alla vita, ha scelto la via transnazionale.

Dopo il Congresso di Bologna e grazie agli obiettivi fissati dalla mozione, possiamo finalmente concepire un'iniziativa per la giustizia, in particolare sul piano della giustizia penale, da condurre a livello europeo, l'unica dimensione in cui è possibile immaginare una soluzione, intervenendo e armonizzando per analogia e contiguità; in ogni caso per dovere di ingerenza nei fatti degli altri quando risultino tragici per la vita del diritto e per la vita di tutti.

A fronte dei colossali flussi di immigrazione delle genti più povere del mondo che premono per miseria alle porte dell'occidente e l'attraversano, spesso per vie clandestine (ma si potrebbe pensare: per riscuotere, a volte illegalmente, almeno parte del credito cumulato e non riconosciuto in secoli di abbandono e di scambio ineguale tra nord e sud nel mondo) è molto facile avere un riflesso d'ordine, di difesa della propria sicurezza e dei propri beni; ma è anche molto sbagliato e profondamente ingiusto.

Perché è davvero difficile non riconoscere nella politica di sterminio per fame per l'assenza di un governo mondiale delle risorse e delle difese, piuttosto che nella politica di integrazione e di accoglienza per generosità di governo e permissività di legge, l'unica vera e grave minaccia per la nostra società.

E poi è inconcepibile e opprimente un'idea di libera circolazione delle persone che non sia immediatamente intesa ed estesa in senso transnazionale, oltretutto tra aree di reciproca influenza e di cooperazione, soprattutto in Europa, dove nel 1992 si vogliono abbattere barriere e vincoli alla libera circolazione delle merci e dei capitali. Così, per quanto riguarda il trattamento dei detenuti, occorre innanzitutto intendere opportunamente l'opera di rieducazione e di risocializzazione in senso transnazionale e a livello sovranazionale, quindi svolgerla pienamente nel tempo e nel luogo dell'esecuzione della pena.

Oggi conosciamo più che altro uno spazio giudiziario europeo configurato da una serie di convenzioni e di accordi in materia di terrorismo, di estradizione, di sorveglianza delle persone condannate, di validità dei giudizi repressivi: un terreno curato con metodi aggressivi e a piccoli pezzi, perciò in buona sostanza sterile pure ai fini della difesa sociale e della sicurezza che sono gli unici criteri di giustizia adottati dai partiti e dai governi nazionali. Ma vi è anche un altro spazio, seppur configurato sulla carta, sulle Carte fondamentali dei diritti della persona: uno spazio giuridico, un'altra Europa, più cara ai radicali e più vicina ai cittadini.

L'Europa del Parlamento direttamente eletto e con poteri costituenti e l'Europa dei diritti umani e civili: è questo il programma e il progetto del Partito radicale, l'impegno e il »servizio politico che noi offriamo in Europa a tutti, liberi cittadini e cittadini detenuti.

Con l'apporto dei detenuti nelle prigioni della Comunità e il coordinamento necessario di alcuni compagni »liberi di girare in Europa possiamo innanzitutto elaborare e lanciare un »Manifesto dei diritti dei detenuti della Comunità europea e quindi cominciare una raccolta di firme su una petizione da presentare al Parlamento europeo e immaginare già una scadenza di lotta nonviolenta nelle carceri d'Europa.

Su alcuni obiettivi precisi, due o tre, raccoglieremo le firme e investiremo poi le competenze proprie delle istituzioni comunitarie, le quali seppur prive, allo stato attuale, di potere legislativo, giurisdizionale e di governo vero e proprio, possiedono pure alcuni strumenti di intervento, di pressione e di indirizzo nei confronti degli Stati membri, attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia, le risoluzioni del Parlamento europeo, le censure, le direttive della Cee.

In questa azione politica ci appelliamo al riconoscimento deciso dai Trattati di Roma del '57 di alcuni diritti fondamentali »funzionali alla realizzazione del mercato comune, in particolare il diritto alla libera circolazione e il diritto di non discriminazione in ragione della nazionalità e del sesso.

In ragione di tali principi comunitari è forse possibile chiedere il rispetto di alcuni diritti civili particolari, anche quelli dei detenuti, in quanto cittadini europei.

In effetti, la presenza o l'assenza di questa o quella norma in questo o quell'ordinamento dei paesi della Comunità pone in questione sia il diritto di non discriminazione sia quello di libera circolazione: pone quindi la necessità di armonizzare le normative dei vari paesi, uniformandole -chiediamo- al livello più alto di umanità e di civiltà giuridica.

Non è giusto che un detenuto, che è cittadino europeo, sia sottoposto ad un ordinamento che prevede la pena di morte, l'ergastolo o una pena a trent'anni mentre un altro detenuto, sempre cittadino europeo, è soggetto ad un altro ordinamento che ha già abolito la pena di morte, non precede l'ergastolo e fissa un tetto-pena massimo di quindici anni.

Non è nemmeno giusto che in molti paesi europei sia prevista la liberazione condizionale a metà pena mentre in altri ordinamenti questo beneficio non esiste nemmeno.

Come non è giusto che, in Italia ad esempio, non sia garantito il diritto di voto ai condannati ad una pena superiore a cinque anni mentre in altri paesi della Comunità tale diritto è garantito, il diritto anche di eleggere rappresentanti al Parlamento europeo, rappresentanti pure di quei cittadini italiani che sono esclusi dal diritto di esprimere una rappresentanza. Non è giusto infine che esistano, in alcuni ordinamenti di paesi che hanno sottoscritto i trattati politici comunitari, ormai alle porte del 1992, misure di sicurezza e norme sull'espatrio che impediscono la libertà di circolazione non solo a livello comunitario ma addirittura all'interno delle stesso paese.

Possiamo organizzare lotte nonviolente dei detenuti europei, magari uno sciopero della fame nelle carceri dell'Europa per l'abolizione dell'ergastolo, per la condizionale a metà pena, per il diritto di voto.

Intanto con i detenuti »stranieri di Rebibbia, di Nizza, d'Europa chiederemo che sia garantito anche in carcere il diritto di non discriminazione in base alla nazionalità, che sia ratificata la »Convenzione sul trasferimento per consentire il ritorno nel proprio paese, che siano viceversa esaminate le misure di sicurezza e di polizia ai fini di una accoglienza nella società dello Stato di condanna.

Anche per questo avremo bisogno di conquistare istituzioni democratiche, leggi civili e poteri reali, quantomeno a livello continentale. Senza tale conquista, senza la riforma e il governo dell'Europa, non vi sarà garanzia nemmeno del più elementare dei diritti del cittadino; non vi sarà giustizia e salvezza neanche all'interno del più ricco dei nostri paesi.

Ma senza il Partito radicale, senza il partito transnazionale, nessun tentativo, nemmeno una tentazione, di Europa, di giustizia, di salvezza sarà concepibile.

 
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