Laura Terni SchemeilSOMMARIO: Partendo dall'esempio di una campagna riuscita grazie all'uso del metodo nonviolento, quella per la salvezza del detenuto Paolo Signorelli da sette anni in attesa di giudizio, si afferma che la partecipazione è la condizione essenziale per consentire alla nonviolenza di dispiegare tutta la sua forza.
L'autrice contesta quindi chi, nel Partito radicale, ha messo in dubbio l'efficacia della nonviolenza: "non è in crisi la nonviolenza: ciò che è in crisi, piuttosto, è la militanza, la partecipazione attiva".
(Atti del convegno "I radicali e la nonviolenza: un metodo, una speranza", Roma 29-30 aprile 1988)
Voglio esprimere prima di tutto una mia profonda convinzione: io credo fermamente che la nonviolenza, come metodo di lotta politica, sia l'unico metodo possibile, e l'unico metodo vincente.
C'è, però, una condizione: per essere forza, la nonviolenza deve essere partecipazione.
Il "Gruppo Satyagraha", associazione radicale gandhiana, ha fornito nell'agosto 1987 una prova concreta e decisiva della validità di questa "conditio sine qua non" che è la partecipazione: sto parlando del Caso Signorelli.
Paolo era detenuto da sette anni in attesa di giudizio, in gravissime condizioni di salute. Era un caso disperato, la sua famiglia aveva ormai perso ogni speranza di salvarlo, e i medici si riservavano la prognosi.
In questa situazione il Gruppo Satyagraha è intervenuto, offrendo al "Caso" l'apporto del metodo: del metodo nonviolento. Il metodo ha funzionato, il detenuto è stato posto agli arresti domiciliari, e - pur rimanendo a disposizione della Giustizia - non è morto di carcere.
Abbiamo vinto la partita, dimostrando che si poteva fare: ma ritengo importante analizzare che cosa è stato fatto, per rendere possibile il successo. Abbiamo creato la massima mobilitazione, usando gradualmente ogni strumento della nonviolenza, in una progressione studiata accuratamente, in crescendo: la tattica, appunto, di cui parlava Emma ieri.
Elencherò le cose che abbiamo fatto, perché non perdo di vista il fatto che gli Atti di questo convegno saranno pubblicati, e che i nuovi compagni che si avvicinano per la prima volta al Partito radicale transnazionale hanno probabilmente bisogno di esempi pratici di metodo d'azione nonviolenta.
Tutto cominciò con una conferenza-stampa, allo scopo di dare l'annuncio ufficiale dell'iniziativa: un incontro affollato di giornalisti, parlamentari e pubblico; destava molto interesse l'iniziativa di una singola associazione, su una battaglia che non era una battaglia del partito, a favore di "uno di destra", per di più. Dunque, siamo partiti bene fin dall'inizio.
Il primo agosto comincia il digiuno a staffetta, con un elenco iniziale numeroso: e via via, di giorno in giorno, un numero incredibile di persone ingrossava le file, in crescendo continuo.
Tutta l'azione è durata esattamente 48 giorni: diversamente da altre campagne protratte nel tempo, questa azione si può analizzare meglio proprio perché è circoscritta in un periodo breve, e si è conclusa positivamente, appunto, in 48 giorni.
Trasmissioni televisive e radiofoniche si sono susseguite in continuazione: la RAI - cosa davvero mai successa prima - ci ha intervistati e mandati in onda la sera stessa dell'inizio del digiuno.
Alla manifestazione davanti a Montecitorio, abbiamo trovato numerosi parlamentari che sapevano già della nostra iniziativa.
Subito dopo la consegna, a mano, di una nostra lettera al Ministro di Grazia e Giustizia Giuliano Vassalli, si riunisce la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati: all'ordine del giorno, il Caso Signorelli.
A questa riunione, e ad un intervento garantista del Ministro Vassalli, la stampa nazionale dà grande rilievo: arriva a Parma un Magistrato che porta l'ordine di far cessare l'isolamento di fatto a cui era sottoposto il detenuto. In pratica, si apre la porta della sua cella: ed è un primo risultato.
Cominciano ad arrivare da tutta Italia lettere ai giornali: la partecipazione popolare è vastissima, e gli interventi, provenienti da ogni parte politica, spingono i giornalisti a continuare ad occuparsi del caso.
Intanto Radio Radicale ci offre spazio per tanti fili diretti, mediante i quali coordiniamo quotidianamente i digiuni, le lettere, le iniziative locali. La presidente del Gruppo Satyagraha, Emma Bonino, visita il detenuto nel carcere di Parma durante il proprio turno di digiuno; e i giornali raccolgono una sua intervista.
A metà agosto, sit-in di 24 ore a Parma e conferenza-stampa in piazza: e i giornalisti lì, con noi, sotto il solleone; la sera, grande fiaccolata fino alle mura del carcere, con la partecipazione di mezza città, di persone venute da fuori (abbiamo riconosciuto compagni radicali di Trieste, di Milano, di Roma, di Napoli) e di cittadini sconosciuti che ci tenevano a dirci di esser venuti apposta da città dell'intera Regione.
Mentre cresce il numero delle adesioni alla staffetta del digiuno, si comincia una raccolta di firme sotto una petizione indirizzata ai Magistrati: volantinaggi e tavoli per la raccolta delle firme hanno luogo in tutta Italia.
A distanza di due settimane dalla prima, seconda manifestazione/sit-in di 24 ore a Parma, preceduta questa volta dal gesto rituale e significativo di passare prima da Bologna per consegnare ai Magistrati la petizione e le firme.
Il 28 agosto, giorno in cui si compivano i sette anni di carcerazione preventiva di Signorelli, nella mia qualità di Segretaria del Gruppo Satyagraha convoco i giornalisti nella piazza principale di Parma, e annuncio di aver intrapreso dalla mezzanotte precedente uno sciopero della fame ad oltranza, fino a che Signorelli non sia messo in condizioni di curarsi adeguatamente fuori dalle mura della prigione.
E qui mi soffermo: ho qualcosa da dire, perché forse quella mia decisione non è stata capita fino in fondo.
Questo sciopero della fame era il "forcing" necessario tatticamente, nel momento in cui cominciava ad affiorare qualche commento negativo sul digiuno a catena, tre giorni ciascuno, e un giornale aveva parlato di "dieta". Ma non fu soltanto questo il motivo della mia decisione.
Vi ricordo il preambolo allo Statuto del Partito radicale, che noi abbiamo inserito nello Statuto del gruppo Satyagraha. Infatti l'impegno programmatico della nostra Associazione recita così: "Il Gruppo Satyagraha fa proprio il Preambolo allo Statuto del Partito radicale, vincolandosi rigorosamente ad operare per dargli vita e concretezza". Dunque, noi abbiamo quel preambolo nel nostro statuto, e quel preambolo proclama il dovere alla disobbedienza, alla non-collaborazione, all'obiezione di coscienza, alle supreme forme di lotta nonviolenta per la difesa, con la vita, della vita, del Diritto, della Legge.
Se le parole non sono parole al vento, l'aver inserito nello Statuto dell'Associazione questo preambolo costituiva per me un preciso obbligo di arrivare alla forma estrema, proprio per la mia responsabilità di Segretaria di questa Associazione.
Non è stato davvero un gesto di protagonismo o di misticismo: sapevo che era necessario ed opportuno, perché occorreva forzare la situazione, e che toccava a me farlo. Tutto era studiato nei minimi dettagli, compreso il rischio calcolato con l'aiuto di un cardiologo, quando il caldo e la grande fatica quotidiana fecero emergere un deficit coronarico. E d'altra parte sapevo, con certezza al cento per cento, che questa mossa avrebbe vinto la partita, a condizione che riuscissimo a tener viva l'attenzione sul caso: così come ero convinta che, se avessimo fallito, non noi ma il metodo nonviolento avrebbe dovuto segnare una sconfitta.
Venuto il suo turno di tre giorni di digiuno, Enzo Tortora convocò a Milano una conferenza-stampa. Ora sappiamo quanto debba essergli costato quel digiuno... e abbiamo un motivo in più di gratitudine verso questo nostro compagno. Digiunavano con Enzo più di trecento detenuti, e questa notizia, raccolta dai giornali, ravvivò ulteriormente la campagna: la stessa RAI non mancò l'occasione anche questa volta.
Ormai le iniziative si susseguivano a ritmo continuo: nuova conferenza-stampa di Tomaso Staiti di Cuddia in digiuno, incontro della socialista Margherita Boniver con Emma Bonino, lettera a Pertini... la gente di destra che adottava la nonviolenza e digiunava coi radicali, la prima azione concreta transpartitica e popolare, gli opposti estremismi che lavoravano insieme sullo stesso obiettivo, tutto questo era determinante nel muovere l'opinione pubblica.
Decidendo di utilizzare anche gli strumenti giuridici, presentiamo a questo punto un esposto al Consiglio Superiore della Magistratura, segnalando il ritardo della 2a Corte D'Assise di Bologna nel prendere in esame la richiesta di scarcerazione per l'aggravarsi delle condizioni del detenuto.
Contemporaneamente i radicali del Gruppo Federalista Europeo alla Camera dei Deputati presentano una interrogazione, firmata da Rutelli e mellini, nello stesso senso; nello stesso giorno si tiene una manifestazione in contemporanea davanti ai Tribunali di numerose città e a Roma davanti al Consiglio Superiore della Magistratura.
Dopo una conferenza-stampa a Firenze, il compagno radicale Lucio Berté trasformato in uomo-sandwich parte a piedi, in digiuno, alla volta di Bologna, fermandosi a parlare coi Sindaci dei paesi lungo il percorso.
Il digiuno a staffetta, che prima contava turni di una sola persona per tre giorni, divenne via via collettivo: ai primi di settembre digiunavano turni di decine di persone. In tutto siamo arrivati a 950 digiunatori.
Migliaia di firme da tutta Italia erano arrivate alla Corte, lo sciopero della fame ad oltranza segnava il ventunesimo giorno, quando la seconda Corte D'Assise di Bologna firmò la concessione degli arresti domiciliari per Paolo Signorelli.
In 48 giorni il Gruppo Satyagraha ha raggiunto l'obiettivo, usando tutti i possibili strumenti della nonviolenza attiva gandhiana: digiuno a staffetta, digiuno collettivo, sciopero della fame ad oltranza, dialogo e comunicazione di massa, lettere e manifestazioni di piazza, raccolta di firme, sit-in, fiaccolate, presidii, marce con cartelli, e strumenti giuridici ed istituzionali.
Abbiamo avuto più di trecento articoli, spesso a tutta pagina, e talvolta di prima pagina. Se non fosse stato così, non avrei potuto fare lo sciopero della fame e forse avremmo fallito, perché l'obiettivo era troppo difficile: potete rendervene conto se pensate che solo una settimana prima dell'inizio della nostra azione la stessa Corte aveva respinto una precedente richiesta di scarcerazione. Dunque vedete bene che l'informazione è essenziale per la pratica della nonviolenza attiva: ma l'informazione che abbiamo ottenuto di diffondere è il risultato di molto lavoro, lavoro duro, condotto giorno per giorno sui mass media.
Continuando ad insistere con ciascun giornalista siamo riusciti a far passare il concetto principale: l'iniziativa non intendeva prendere posizione sul dilemma "colpevole/non colpevole" - che del resto non competeva a noi - ma rispondeva ad una esigenza di vita, perché, come diceva il nostro slogan, "nessuno deve morire di carcere".
E, insieme al diritto alla vita, volevamo dimostrare che il metodo della nonviolenza attiva funziona. Si voleva dimostrare la potenza dell'azione nonviolenta "molteplice" e collettiva. Si è dimostrato che fare insieme nonviolenza unisce le persone e abbatte le frontiere.
E perché, ancora, scegliere "uno di destra"? Perché non solo si voleva continuare la lotta per una Giustizia giusta (e contro il prolungato carcere preventivo, e contro la morte in carcere) ma soprattutto - da radicali - si voleva riaffermare il principio che fu di Voltaire: io non sono d'accordo con te, ma sono pronto a morire perché tu sia libero di esprimere le tue idee. Questo è ragionare da persone libere, libere anche dal razzismo ideologico.
Eravamo consapevoli di un fatto concreto: ciò che era in gioco, con la vita del detenuto, era la validità del metodo. Il metodo, applicato correttamente, ha vinto.
Certo, un metodo. Ma non è tutto, anche se "per pudore" ne parliamo poco. Nonviolenza è amore, rigore, tolleranza, dialogo, drammatizzazione, persuasione, non-collaborazione, coraggio (dar "corpo" alle nostre idee) ed è - soprattutto - pazienza.
Ciò che più mi affascina, nella nonviolenza attiva, è l"effetto-sorpresa". Il violento si aspetta una reazione violenta: se questa reazione manca, l'attaccante perde improvvisamente ed inaspettatamente l'appoggio che la consueta resistenza violenta gli presenterebbe.
Si rompe uno schema... l'aggressore violento perde l'equilibrio, diventa insicuro e vulnerabile, getta la corazza e scopre il meglio di sé.
A tutti quelli che ci accusano di "violenza verbale", voglio rispondere non con parole mie, ma con parole di Gandhi.
"Dire o scrivere una parola sgradevole non è certamente cosa violenta, soprattutto se colui che la dice o la scrive la ritiene vera.
"L'essenza della violenza è che in un pensiero, una parola, un'azione, ci sia una intenzione violenta, vale a dire l'intenzione di recare danno al cosiddetto avversario.
"Falsi concetti di educazione o il timore di ferire la suscettibilità trattengono spesso la gente dal dire quello che vuole, e in definitiva la fanno approdare sulle sponde dell'ipocrisia.
"Ma se la nonviolenza del pensiero deve svilupparsi negli individui, o nelle società o nelle nazioni, la verità deve essere detta, per quanto dura o impopolare essa possa apparire al momento".
Come è possibile mettere in dubbio l'efficacia della nonviolenza? Io credo con forza, compagne e compagni, che non è in crisi la nonviolenza: ciò che è in crisi, piuttosto, è la militanza la partecipazione attiva.
E se la militanza è in crisi, in un Partito come il Partito radicale, allora dobbiamo interrogarci molto seriamente: ciascuno di noi deve chiedersi se ha veramente a cuore gli obiettivi che di comune accordo ci siamo dati. Ciascuno di noi deve chiedersi quanto di sé è veramente disposto a dare, per realizzare quegli obiettivi.
Il grande Partito radicale gandhiano - l'unico che secondo me può essere, perché se non è gandhiano e nonviolento non è neppure Partito radicale - non è ancora nato: noi stiamo soltanto gettando le basi per la sua esistenza.
Se vogliamo che l'attuale politica europea della margarina e dei cannoni, si trasformi in politica della vita e della speranza, per i diritti civili e contro lo sterminio per fame, noi dobbiamo mobilitare la gente, dobbiamo scuotere le coscienze, risvegliare i sentimenti migliori di ciascuno.
Tocca a noi armarci di nonviolenza, e cominciare a costruire questo Partito radicale, con pazienza e con determinazione.