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Negri Giovanni - 29 aprile 1988
Nonviolenza: il punto di crisi radicale
Giovanni Negri

SOMMARIO: L'autore esprime due convinzioni: il problema dei nonviolenti è quello di rompere il ghetto in cui di fatto vivono e operano; la nonviolenza è il punto di crisi del Partito radicale, perché qualcosa non funziona nel rapporto con le istituzioni, nel rapporto con l'informazione, nel rapporto con l'opinione pubblica. Il patrimonio di teoria e di conoscenza è enorme, ma i radicali sono ancora inerti e distanti dal capire il problema. Infine, l'autore propone altri incontri per approfondire questo problema irrisolto.

(Atti del convegno "I radicali e la nonviolenza: un metodo, una speranza, Roma 29-30 aprile 1988)

Interverrò solo per cinque minuti - perché davvero sono venuto per ascoltare - allo scopo di esporre due convinzioni e una proposta.

La prima convinzione è questa: che le parole sono senz'altro belle e sono senz'altro ottime, ma il nostro problema è quello del ghetto, nel senso che ogni parola non ha alcun senso se noi non sappiamo che il problema dei nonviolenti - di coloro che, profondamente in buona fede, si dicono personalmente e politicamente nonviolenti - è quello di vivere ed operare in un ghetto personale, in un ghetto politico, in un ghetto personale, in un ghetto culturale in Italia e, credetemi, in Europa.

Il problema è quello di "come rompere il ghetto". Questo stesso convegno rischia di essere un ghetto... e lo dico pur pensando (non ho né carattere né interesse per fare complimenti gratuiti) che questo convegno è un'occasione straordinariamente preziosa: e ci verrò poi, in relazione alla proposta.

Se non c'è la consapevolezza che noi siamo un ghetto profondamente minoritario, storicamente battuto, che rischia di avvitarsi su se stesso, io temo davvero che ci sbagliamo. Questa è la prima convinzione.

La seconda convinzione è che Laura Terni ha fatto molto bene ad indire questo convegno, perché la nonviolenza - o la "questione nonviolenta" - non è tanto un punto della crisi del Partito radicale ma è il punto di crisi, del Partito radicale.

Io sono arrivato al Partito radicale nel 1972, avevo poco più di quattordici anni, anche vedendo due film oltre che vedendo gli arresti e la liberazione degli obiettori di coscienza. E questi due film erano: il primo, "Fragole e sangue" - qualcuno, credo, per ragioni di generazione se ne ricorderà; l'ho rivisto poco tempo fa e sembrava molto invecchiato ma sempre molto bello - e l'altro era "Zeta", cui poi è seguito "La confessione", sempre con Yves Montand, nel quale mi sono riconosciuto altrettanto profondamente. E lì si tracciava la storia di alcuni esempi di nonviolenza vissuta, quelli per i quali giustappunto non c'è bisogno di tante parole perché sono i fatti, le esperienze individuali, le storie, a parlare da sole.

Dicevo: il punto di crisi radicale. Ognuno di noi ha delle esperienze, anche autobiografiche, di pratica nonviolenta; possiamo contare tutti i giorni di digiuno di ciascuno di noi.

Eppure, dal 1987 ad oggi, raramente trovo nell'azione di esponenti radicali qualche esempio che sappia incarnare quell'integrità di impegno politico, umano, morale, culturale ad un tempo, capace di essere all'altezza di quelle speranze per le quali uno si motiva a divenire radicale: magari essendo culturalmente lontano dall'affinità nonviolenta, decide di diventare un nonviolento.

La crisi con la quale noi dobbiamo misurarci, che è crisi del partito per quanto riguarda l'aspetto nonviolenza, e che rischia di essere una crisi di società - perché siamo importanti, perché contiamo, perché l'informazione censura, ma è pur vero come dice la canzone di De André che "una notizia originale non ha bisogno del giornale" perché comunque in un certo ambiente circola e funziona - io credo anche che sia una crisi di teoria, da un lato, e dall'altro di dottrina nonviolenta. Perché abbiamo anche tentato di praticare una sorta di dottrina nonviolenta... io ho abbastanza paura ad usare questo termine, perché credo che "dottrina" stia ai confini dell'ideologia; e sono convinto che nel momento in cui la nonviolenza diventi ideologia assume automaticamante un carattere che forse non corrisponde più al nostro spirito. Tutti abbiamo tentato di praticarla, tutti l'abbiamo praticata, ma qualcosa non funziona: il rapporto con le istituzioni, il rapporto con l'informazione, il rapporto con l'opinione pubblica.

Gli ultimi due esempi che io ricordo di pratica nonviolenta che mi hanno fortemente motivato - per ragioni personali e politiche - sono quelli relativi a due casi che a mio avviso riassumono l'insieme di quella nonviolenza nella quale io credo; e sono ragione della crisi con la quale il Partito radicale deve fare i conti per quanto riguarda la nonviolenza, che non è poco nella sua storia.

Il primo caso è quello di Marco Pannella, con i suoi scioperi della fame e della sete sulla lotta contro lo sterminio per fame, ovvero - a mio avviso - il tentativo di trasformare la nonviolenza in politica estera, il tentativo supremo di dare e di sintetizzare la dimensione politica, tutta squisitamente e profondamente politica, ma di trasformare, tradurre la nonviolenza in politica estera.

Ebbene, lì Marco Pannella non è riuscito, e forse questa è una delle ragioni della nostra crisi.

Il secondo caso che mi ha motivato e mi ha appassionato è di questi giorni, e riassume viceversa tutta l'altra sfera di cui discutiamo che è la sfera umana e morale, è l'esempio di Enzo Tortora.

E qui possiamo fare il telegramma, ma resta un punto, da considerare, ed è l'assenza di reazioni di fronte ad un uomo che sta dando la prova di nonviolenza massima possibile. Si potrebbe dire, usando una delle categorie che qualcuno definirebbe "radical-democratica", che sta vivendo gli ultimi giorni nobilmente? o, che so, che sta vivendo i suoi giorni da galantuomo?

Certo la terza cosa che mi motivò a divenire radicale fu il diario che Ghirelli pubblicò sulla Stampa di Torino a suo tempo: nessuno l'ha ricordato - se ne è ricordato Gorresio in un bellissimo articolo sul Corriere della Sera - neppure Ghirelli che fece il diario di come quotidianamente stava vivendo... non stava morendo, ma stava vivendo. Bene, quel tentativo di tradurre in politica estera la nonviolenza, e questa estrema prova che rifiuta la testimonianza perché vuol vivere e manifestarsi, vuole incidere sul circostante, che è quella di Enzo, costituiscono a mio avviso un patrimonio enorme che noi abbiamo a disposizione: un patrimonio di teoria e di conoscenza che però denuncia quanto siamo ancora distanti dal capire, quanto siamo inerti di fronte a queste cose.

E vengo, dunque, alla proposta, che è proposta tecnica. Chi è più smaliziato, secondo le categorie della politica che vedono anche aspetti deteriori dell'arte della politica, dirà che non esiste una proposta tecnica senza un effetto politico e senza una ragione politica... ed è certo vero, non si tratta di una proposta soltanto tecnica, ma di una proposta di alto significato.

A mio avviso - sarò presuntuoso - io non so come Laura Terni, che ha iniziato questo convegno, potrà concluderlo senza registrare il dato di fatto che esiste un punto di crisi del Partito radicale sulla questione della nonviolenza.

E proprio perché questo esiste, e proprio perché fra i dirigenti radicali, volenti e nolenti, per attiva volontà o per doveri o per altre ragioni non sono presenti, e proprio perché sicuramente io credo che i doveri e le negligenze siano ragioni serie e non marginali di questa non-presenza, io credo che tutto l'aspetto meritevole di questa iniziativa di Laura consista nell'imporre al Partito, a quanti fra noi ogni giorno operano nel Partito una riflessione su questo punto; io credo meno alla specificazione, al dividersi - in successive occasioni - in gruppi di lavoro, magari su temi specifici: io credo, per il momento, alla necessità della riflessione ad alta voce.

Allora: la proposta tecnica è molto banale, ma se questa non fosse un'occasione isolata, e si moltiplicasse nella misura realistica di tre o quattro appuntamenti da qui a gennaio prossimo, possibilmente - se non è troppo esosa la richiesta - tenendo conto delle scadenze di chi ha impegni parlamentari o di partito, affinché non sia materialmente impossibile potersi riunire per ragionare su questo... ma non tanto per ragionare su questo, perché io ritengo che su questo individualmente ci si stia già ragionando, quanto per ascoltare gli altri; e se questi tre o quattro appuntamenti fossero riversati in un libro, in atti di pensiero e di riflessione per il prossimo congresso, io credo che già questo sarebbe un contributo enorme, serio, rigoroso. Perché "scripta manent", e quando si legge si capisce e ci si informa.

QUindi io non sottraggo altro tempo, non aggiungo altro: mi limito a formulare questa proposta, e vi ringrazio.

 
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