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Lensi Massimo - 24 maggio 1988
Sul partito in Turchia, con paura
di Massimo Lensi

SOMMARIO: Il racconto delle prime iniziative politiche del partito radicale in Turchia.

(Notizie Radicali n· 107 del 24 maggio 1988)

La prima impressione, immediata, colta negli occhi e nelle parole dei compagni con cui subito, appena giunto a Istambul, mi trovo a parlare ha un nome preciso, senza possibilità di errore: paura. In Turchia, dopo le elezioni politiche del novembre 1987 in cui il primo ministro Turgut Ozal, leader del partito di maggioranza assoluta, il Partito della Madre Patria, aveva concesso alcuni spazi di agibilità politica per i gruppi e le organizzazioni non legalizzate, la situazione generale era peggiorata creando un clima di tensione, attraverso meccanismi di controllo della polizia molto stretti. Chi ha potuto vedere il film »Midnight Express sa che le prigioni turche sono terribili.

Per il primo maggio sono state vietate tutte le manifestazioni in programma e il presidente turco Evren ha addirittura rilasciato dichiarazioni alla stampa internazionale da cui traspare la »volontà di tornare ad indossare la divisa , richiamando alla memoria i giorni del golpe del 1980.

Pericolo, quindi; ma dopo aver chiarito i tempi e le modalità della nostra presenza sulle rive del Bosforo, con i compagni decidiamo che provare ad ottenere i permessi per mettere i tavoli raccolta firme per strada o per stampare il materiale del partito in lingua turca sia l'unica soluzione.

Tentar non nuoce.

Ci organizziamo di conseguenza. Ahjan Birol, la consigliera federale, si incarica di seguire il problema dei permessi per i tavoli, il sottoscritto inizia a prendere i contatti con le tipografie per tradurre e stampare lo statuto e la mozione congressuale. Insieme concepiamo una serie di incontri con il mondo politico ed intellettuale di Istambul e progettiamo una petizione popolare per l'ingresso della Turchia nella Comunità europea.

Gli altri ci danno una mano compatibilmente ai loro impegni e al loro terrore di finire in carcere o perdere il proprio lavoro.

E' quasi inutile ricordare che la legislazione turca in materia di propaganda ed iscrizione ad organizzazioni »illegali o internazionali non è tra le più liberali: la pena detentiva prevista per tali reati prevede due anni di reclusione. Dopo pochi giorni e una lettera inviata al governatore di Istambul riusciamo ad ottenere il permesso. Un po' increduli andiamo a ritirarlo.

Comprendiamo immediatamente che l'attività del partito per gli Stati Uniti d'Europa non disturba il regime, anzi, può recargli un'indiretta, buona, pubblicità. Il permesso, comunque, non è stato richiesto formalmente dal Partito radicale: aggirando i divieti della legge ed interpretandone alcuni passaggi, abbiamo apposto come firma »radicali , non un'organizzazione ma solo semplici cittadini che si dichiarano radicali.

Non dobbiamo però diventare la stampella del regime di Ozal e il rischio c'è. Proprio in quei giorni, uno dei maggiori quotidiani in Turchia, Hurryiet, titola in prima pagina »Stati Uniti d'Europa. Qual è la strada da percorrere? fitto di dichiarazioni dei principali personaggi politici favorevoli ad un ingresso della Turchia nel Mercato comune. La presenza massiccia, quasi due milioni, per esempio, di operai turchi in Germania provoca nel governo una reazione di questo tipo: guardare all'Europa come un'ancora di salvezza per la propria economia. La Turchia oggi è una vera e propria terra di conquista per decine di imprese europee che scelgono di produrre lì, con manodopera a bassissimi costi, ed esportare in »occidente ; con la conseguente diminuzione dell'importanza di scelte di ristrutturazione economiche che da anni il governo turco tenta di imporre.

Poi c'è la potente mafia e i finanzieri di Izmir; e la lira turca vale ogni giorno di meno.

Il padre della patria, il famoso Mustafa Kemal Ataturk, già negli anni venti aveva intuito che il processo di modernizzazione del suo paese poteva passare soltanto attraverso meccanismi di rivalutazione interna del proprio mercato e delle proprie risorse.

L'ipotesi Turchia come membro effettivo della Comunità assume , quindi, alla luce della disgregazione economica e sociale di oggi, il significato dell'emancipazione.

Nonostante questo pericolo di confusione tra la nostra impostazione e quella di Ozal, decidiamo di proseguire per la nostra strada.

Non vogliamo questa Comunità, l'Europa dei mercanti e delle scelte imposte dai governi e dalle burocrazie nazionali, e non vogliamo nemmeno concepire una politica di supporto al regime. Sono due differenti modi di vedere e respirare l'Europa: istituzioni sovranazionali, un presidente, un governo responsabile: non l'Europa del frazionamento democratico.

E questi concetti li urleremo anche in questa terra a metà tra l'Islam delle donne con la faccia coperta dal chador, e il progresso che avanza simboleggiato da quella stupenda costruzione che è il ponte sul Bosforo tra Europa ed Asia.

Dopo molte difficoltà stampiamo lo statuto e la mozione: nessuna tipografia voleva accettare il lavoro -la solita paura: »è stampa illegale, rischiamo la revoca della licenza , ecc. ecc..

Alla fine, aiutati da un gruppo di anarchici individualisti -i quali niente avevano da perdere, anzi intuivano le enormi potenzialità che una presenza attiva del Partito radicale poteva far scattare in tema di libertà politiche e diritti civili- ci mettiamo in contatto con la tipografia di un'organizzazione di fanatici islamici (quasi terroristi) che accettano il lavoro.

Con lo statuto in mano organizziamo il primo tavolo in Sulthan Ahmet, tra Aja Sofia e la moschea blu, luogo di incontro di centinaia di giovani e passaggio obbligato per il turismo internazionale.

I risultati sono soddisfacenti. Organizziamo anche la spedizione del materiale prodotto ai parlamentari turchi membri del Consiglio d'Europa, a numerosi rappresentanti della stampa, a intellettuali, a membri dei quattro partiti legali (oltre al Partito della Madre Patria, il Partito della Giusta Via di Soliman Demirel, di destra, e i due partiti di ispirazione social-democratica, quelli di Inonu e di Ecevit; l'ex premier, quest'ultimo, colui che ordinò l'invasione di Cipro): in tutto un migliaio di persone.

Il lavoro inizia a prender corpo e si indirizza verso una direzione precisa: pubblicizzare il partito grazie ai passaggi sulla stampa con la notizia anche che in Turchia vi sono quaranta iscritti al Partito radicale.

Alla conclusione dei miei quindici giorni ho portato l'iscrizione di altri 5 nuovi compagni. E' un sogno? Non so. Forse stiamo sognando, forse il partito transnazionale per gli Stati Uniti d'Europa è solo una speranza legate ad un filo, con una strada in salita da percorrere. Ma quanti sogni impossibili abbiamo realizzato? Mai come oggi, con la volontà e la caparbietà che possiamo mettere in atto, è possibile vincere questa ennesima sfida che ci siamo dati: dalla Turchia al Portogallo, dalla Spagna alla Jugoslavia è stato lanciato il seme; aspettiamo il fiore. E poi è sempre meglio avere negli occhi un sogno impossibile che gestire il possibile.

 
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