Documento dei detenuti: Roberto Pellegrini, Olivier Lam, Jacques Crouzel, Carmelo Raso-Casanova, Paolo Sergi, Salvatore Caronia, Renato LongoSOMMARIO: Documento di un gruppo di detenuti del carcere di Nizza con il quale motivano la loro iscrizione al Partito radicale.
(Notizie Radicali n· 107 del 27 maggio 1988)
Le nostre iscrizioni di cittadini detenuti, determinati a rimanere cittadini a pieno titolo, soggetti di diritti e doveri in seno alla comunità civile, vogliono porsi a rafforzamento dell'impegno del Partito radicale per la riforma democratica della giustizia.
Una riforma che realizzi l'evoluzione storica che, due secoli dopo l'affermazione del principio di legalità delle pene da parte di Cesare Beccaria, permetta di non ridurre più il concetto di giustizia a quello di mero legalismo, di sottomissione acritica alla legalità, ma lo ricongiunga a quello di giustizia sociale, intesa non solo come formalistica uguaglianza giuridica, ma anche come uguaglianza economico-sociale, uguaglianza delle possibilità di realizzazione nella vita, e come rispetto dei comportamenti la cui scelta appartiene alla coscienza individuale e non ad organismi di controllo statale.
Una »Giustizia (penale) Giusta resta una pura astrazione in una società dai fondamenti economici ingiusti. Ciò anche di fronte a riforme quali la »Gozzini , di carattere certamente progressista ma settoriale, poiché investono esclusivamente la sfera penale-carceraria e non sono inserite in un progetto di trasformazione globale della società, in particolare dei rapporti sociali di produzione.
In due secoli (»Dei delitti e delle pene è stato scritto nel 1764) sono accadute molte cose, ma non sono cambiati i criteri fondamentali che presiedono al funzionamento della macchina della giustizia penale. Permangono forme di monopolizzazione classista della giustizia, dovute alla mercificazione delle garanzie legali, dell'assistenza legale e della possibilità di reinserimento dei condannati. Vi sono moltissimi detenuti che non posseggono i mezzi per corrispondere un onorario ad un avvocato e che per questo rimangono praticamente senza difesa (non potendo considerarsi tale quella d'ufficio), o che si trovano in una condizione sociale marginale che non permette loro di ottenere un lavoro e un'abitazione, necessari all'avviamento di un processo di reinserimento e per l'accesso a importanti benefici.
Permane l'uso della giustizia penale come strumento di conservazione dell'ordine costituito, o, meglio, del disordine costituito e del potere politico. Un uso strumentale a cui si è fatto ampliamente ricorso durante il periodo della cosiddetta »emergenza .
Ma soprattutto permane troppo radicato, per un condizionamento millenario indifferente all'evoluzione della coscienza laica, il pregiudizio consistente nell'importanza data al castigo, alla sanzione penale, divenuta una sorta di appendice alla religione, di cui è generalmente la caricatura, riproducendo lo schema del peccato e dell'emendamento attraverso l'espiazione. L'autorità giudiziaria, ancorché imperfetta, si sostituisce agli dei ed impone il solenne rito di placazione sacrificale della divinità offesa attraverso penitenze e mortificazioni.
Né, in fondo, è stato maggiormente delucidato il ruolo dell'incarcerazione, la cui unica funzione dovrebbe essere quella di impedire ad individui socialmente pericolosi di nuocere; ma, in quanto alle pretese funzioni »rieducative e risocializzanti del carcere, nessun giurista ha ancora fornito una valida giustificazione al grottesco paradosso secondo il quale si pretende di reinserire, attraverso l'afflizione, la violenza e le privazioni del carcere, persone alle quali lo Stato non ha mai offerto la possibilità di un'integrazione sociale positiva quando erano cittadini liberi... Vien perpetrato un duplice inganno: prima si sanzionano con l'emarginazione interi strati della popolazione (si pensi al mondo marginale che costituisce il retroterra della camorra, della n'drangheta o della mafia, o alla disoccupazione giovanile), poi, quelle stesse persone vengono sanzionate una seconda volta, con il carcere, carcere, perchè hanno cercato di procurarsi illegalmente i mezzi per vivere decentemente che legalmente so
no stati loro negati... questo meccanismo perverso è chiamato giustizia.
Il codice penale tutto intero si riduce ad un articolo unico, che è del resto un articolo di fede: un colpevole deve essere punito. Tutte le pagine che esso contiene non sono che delle variazioni su questo tema stereotipato. La nozione di colpevolezza è assimilata a quella di responsabilità (penale). Si considera l'individuo come l'unico depositario della responsabilità (penale): una ragione ben rassicurante per infliggere il castigo. Ora, i due termini del credo penale meriterebbero un'investigazione più approfondita, alla luce delle responsabilità dello Stato nella riproduzione incessante di situazioni sociali oggettivamente criminogene. Non è una novità che la disoccupazione, le complicità politiche di cui godono le organizzazioni di stampo mafioso, la logica proibizionista, il mancato rispetto dei diritti civili e delle opzioni della coscienza individuale, costituiscono dei possenti riproduttori di devianza, senza soluzione di continuità.
E' lo Stato in primo luogo a portare la responsabilità di questo disordine stabilito; i giudici, che rappresentano lo Stato, finiscono di conseguenza con l'essere in molti casi »giudici a parte . Sulle fondamenta di questa antinomia è stato per millenni edificato il museo degli orrori della giustizia classista.
Le nostre adesioni provengono dalla Francia, il cui vessillo di »Pays des droits de l'homme , che si compiacciono di sventolare i politici nazionali, è stato abbondantemente insozzato dal governo di destra formatosi all'indomani delle elezioni del marzo 1986.
I vari tristi figuri, Pasqua, Padraud, Chalandon della destra »liberale , in sintonia con quella estrema, hanno eretto a istituzione la demagogia e la paranoia, attivandosi per infondere nel corpo sociale un'ideologia della sicurezza intesa unicamente come rafforzamento della repressione, del controllo poliziesco, delle forme di autoritarismo.
Un saggio dell'eccelsa concezione della giustizia che ispira l'opera della coalizione di destra ci è stato fornito dall'ignobile »bavure poliziesca che ha condotto all'assassinio di Christian Dovero a Marsiglia, giovane incensurato e, per macabra ironia della sorte, con velleità di arruolamento nella polizia, erroneamente ritenuto autore di un furto d'auto.
Il »tutore dell'ordine responsabile dell'omicidio è stato inizialmente rimesso in libertà senza neppure essere incriminato, malgrado fosse evidente che aveva ucciso senza motivo. In questa occasione si è appreso che il ministero della Giustizia, nello scorso dicembre, ha diffuso una circolare che ingiungeva ai »Parquets (Procure) di riferire personalmente al Guardasigilli prima di aprire un'inchiesta che potesse mettere in causa un funzionario di polizia. Una dimostrazione palese di manovra tendente a sottrarre alla giustizia una categoria privilegiata di cittadini, della volontà di porsi al di sopra delle leggi e di fare del potere giudiziario una cinghia di trasmissione dell'esecutivo, affossando l'indipendenza della magistratura.
Purtroppo quello di Christian Dovero non costituisce un episodio isolato, le »bavures poliziesche sono ricorrenti frutti velenosi delle campagne allarmistiche orchestrate sul »pericolo della criminalità per spingere l'opinione pubblica nel vicolo cieco della logica autoritaria.
Alla stessa logica perversa appartengono gli aperti appelli alla reintroduzione della pena di morte lanciati alla televisione dal grinzoso ministro degli Interni, Chrles Pasqua, la cui fine filosofia politica è riassunta dal suo slogan »terrorizzare i terroristi (con particolare riferimento agli autonomisti corsi). Una massima che si inscrive nello stesso orientamento che ha prodotto l'aberrazione delle pene incomprensibili (cioè escluse a priori da ogni beneficio previsto dall'ordinamento penitenziario), il tentativo, in parte rientrato, di criminalizzare tutti i consumatori di canapa indiana ed altre droghe con una forte aggravamento delle pene per, appunto, il semplice consumo, le restrizioni imposte all'ordinamento penitenziario in materia di benefici funzionali al reinserimento sociale, i pestaggi brutali dei detenuti da parte del personale di custodia.
Nel piano di restaurazione della destra non è mancato l'uso politico degli »scandali , o presunti tali, in cui si sono voluti vedere implicati esponenti del Partito socialista francese e, talora, lo stesso presidente Mitterand, e che in più di un caso si sono rivelati inconsistenti o molto ridimensionati dalle conclusioni delle inchieste. Così come è avvenuto per l'affaire del »Carrefour du développement , che metteva in causa l'ex ministro socialista »de la Cooperation Christian Nucci, il quale finalmente è risultato praticamente innocente in seguito alla pubblicazione di un rapporto della polizia giudiziaria al termine delle indagini.
Al di là della situazione francese, o italiana, il nostro auspicio è che, nella prospettiva di un'Europa unita, si operi per una riforma democratica della giustizia di respiro europeo, investendo in particolare le questioni della detenzione preventiva, della depenalizzazione dei »reati minori , dell'antiproibizionismo, della riduzione dei minimi e dei massimi edittali delle pene, del reinserimento sociale effettivo dei condannati e quindi della loro occupazione lavorativa, dell'abolizione dell'ergastolo.
Anche la nostra recente petizione diretta a sollecitare il Parlamento italiano per una rapida approvazione della legge di ratifica della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 esprime l'esigenza di dare vita ad un sistema penale europeo coerente con i principi di rispetto dei diritti dell'uomo e del reinserimento dei condannati. Ai deputati e senatori del Partito radicale chiediamo un indefettibile impegno in tutte le sedi possibili per giungere nei tempi più brevi all'abolizione della detenzione in esilio, vera e propria forma moderna della deportazione.
Uno dei grossi limiti della nostra condizione di detenuti è di non poter essere puntualmente aggiornati sulla condizione del dibattito interno al partito. Tuttavia desideriamo esprimere il nostro punto di vista rispetto ad alcuni dei temi emersi all'ultimo congresso.
Condividiamo pienamente il rifiuto dell'effigie di Gandhi come nuovo simbolo del Pr. Di più, troviamo l'idea veramente balzana, tra quelle più infelici che si sono prodotte nella storia del partito, e che rischiano di condurre ad una alterazione del suo »patrimonio genetico ideale.
Gandhi, per quanto uomo degno di grande rispetto e considerazione, non è un laico, ma una figura essenzialmente religiosa (di matrice induista), mentre i radicali si professano laici, dunque, per definizione, soggetti il cui pensiero ed azione politica sono pienamente indipendenti alle ideologie d'ispirazione religiosa.
Certi aspetti del pensiero e della pratica gandhiana (castigatezza di costumi, ruolo della donna, riunioni di preghiera, ecc.) sono decisamente obsoleti, improponibili agli uomini ed alle donne della società contemporanea e certamente non condivisibili dai radicali, ma più congeniali ai »chierichetti di Comunione e liberazione.
Per di più Gandhi non è il primo e non il solo ad affermare che la nonviolenza deve essere posta a fondamento della comunità umana e dell'azione politica.
Del resto riteniamo che sia da respingere non solo l'effige di Gandhi, ma anche quella di qualsiasi altro filosofo o uomo politico. E' da evitarsi una scelta che potrebbe condurre a nuove-vecchie forme di culto della personalità o di sclerotizzazione ideologica, anche se in chiave »laica : o che possa far apparire il partito come una sorta di nuova parrocchia con i suoi bravi santi, come una nuova setta... a quel punto non ci rimarrebbe che appenderci al collo il medaglione con il sublime faccione del »guru di turno e distribuire santini agli angoli delle strade... va da sé che questo proprio non siamo disponibili a farlo. Affermare in proposito, come secondo i giornali avrebbe fatto Marco Pannella, che »essere laici vuol dire non avere totem, però neppure tabù , è un tentativo maldestro di reintrodurre surrettiziamente una scelta, frutto di una suggestione personale, che porterebbe allo snaturamento dell'identità laica del partito, in primo luogo di quell'identità più immediatamente visibile e percebile de
ll'opinione pubblica. Un partito laico, più che proporre »maîtres à penser , deve mettere la gente in condizione di pensare con la propria testa, e deve conservare ad ogni livello, compreso quello simbolico, la propria autonomia da ogni atteggiamento religioso e fideistico.
Con ogni evidenza tutti i nodi fondamentali della politica devono essere considerati, oggi ancor più di ieri, nelle loro reali dimensioni internazionali, in ragione delle oggettive ed indissolubili interdipendenze tra le politiche nazionali rispetto a problematiche quali il sottosviluppo, il progresso tecnologico, la disoccupazione, il disarmo, la droga, la tutela dell'ambiente naturale e via di seguito.
Ne consegue che la scelta »transnazionale , intesa come costituzione di un Partito radicale internazionale, anziché come internazionale di più Partiti radicali, contiene in germe delle grandi possibilità di sviluppo delle istanze riformatrici che i radicali rappresentano.
Tuttavia riteniamo che bisogna stare molto attenti a non inseguire utopie megagalattiche, dove l'aspirazione ad essere dappertutto finisce con il non farci essere in nessun luogo, nel »non luogo (ou topos) dell'utopia appunto... e pensiamo che il maggior impegno del Pr debba essere rivolto alla costruzione di sue strutture organizzative nella regione europea, nell'ambito della mobilitazione per la formazione degli Stati Uniti d'Europa, come federazione aperta anche ai paesi dell'Est.
Inoltre va fermamente respinta ogni scelta che rischia di condurre all'estinzione del partito, e quindi del suo patrimonio di battaglie civili, della esperienza assolutamente originale che esso incarna per il rigore e la coerenza di cui si è fatto custode e affermatore dei diritti dei cittadini, per il suo essere animato da autentici »estremisti della democrazia .
L'evoluzione necessaria per uscire dal »ghetto del 3% e dai troppo stretti confini nazionali non deve trasformarsi in scomparsa.
Altrimenti detto, le elezioni ad ogni livello, europeo, nazionale, locale, costituiscono un momento fondamentale ed irrinunciabile della vita politica. Si vuole che il Pr non vi si presenti più »come tale , ma si impegni per la formazione di »nuovi soggetti politici riformatori, i quali, loro, alle elezioni si presenterebbero, prefigurando »una forza laica di alternativa . Si postula che la mozione congressuale sia chiara. Ma, se essa può essere considerata tale in relazione ai temi generali d'iniziativa politica (Stati Uniti d'Europa, antimilitarismo, antiproibizionismo ecc.) lo è assai meno rispetto alla questione elettorale.
Quali sono in concreto i »nuovi soggetti politici riformatori a cui si allude? Attraverso quale alchimia politica essi si formerebbero? In concreto, a quali alleanze, dopo il sostanziale fallimento del »polo laico e l'esperienza del Gruppo federalista europeo dovrebbe puntare il Pr? Che tipo di formazione dovrebbe scaturirne, una federazione di partiti, o un partito unico nuovo? E con quale programma comune (al di là degli obiettivi peculiari del Pr)?
Sono queste alcune delle domande che si pongono e alle quali la mozione congressuale non risponde, rinviando la definizione di questi punti essenziali al confronto che, si dice, dovrà aver luogo all'interno degli organi del partito.
Ora, abbiamo già osservato più sopra come per la nostra posizione di detenuti rimaniamo forzatamente emarginati da tale confronto, come pure da altri momenti essenziali dell'attività politica (per di più non riceviamo regolarmente le pubblicazioni del Pr).
Per questo ci limitiamo ad esprimere il vivo auspicio che possa essere definita una strategia precisa, superando ogni atteggiamento dispersivo e inconcludente che ci farebbe trovare impreparati alle prossime scadenze elettorali, le quali, lo ribadiamo, costituiscono un appuntamento irrinunciabile, che, se venisse mancato, condurrebbe puramente e semplicemente a porsi al di fuori della vita politica democratica, al di fuori di quelle stesse istituzioni democratiche la cui trasformazione, secondo la mozione, si vorrebbe »governare .
Pensiamo che se il partito negli anni scorsi si fosse impegnato con proprie liste anche nelle elezioni amministrative locali -cosa che escludiamo possa portare automaticamente alla corruzione ideale e materiale dei radicali, come temono alcuni- oggi si troverebbe a contare di più, ad avere maggiore potenzialità di aggregazione, ad avere più mezzi e risorse per la sua azione. L'integrità morale ed ideale può ben essere mantenuta attraverso l'osservanza della »regola evocata da Marco Pannella, senza sterili inibizioni.
Quindi non ci iscriviamo (o rinnoviamo l'iscrizione) per appartenere ad una rara specie in via di estinzione, ma per divenire membri di un partito che resti protagonista della trasformazione democratica della società, e conservi un'identità dai contorni nitidi, così come ha saputo fare in altri momenti critici della vita del paese.