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Ayala Francisco - 25 agosto 1988
Droga: correggere l'errore funesto del proibizionismo
di Francisco Ayala

SOMMARIO: Non compete allo Stato stabilire con legge precetti morali e punire il "vizio". Con questa premessa l'autore critica le legislazioni proibizioniste sulla droga analizzando i danni che hanno prodotto. Propone una azione di depenalizzazione internazionale che parta possibilmente dagli Stati Uniti d'America.

(Notizie Radicali n· 180 del 25 agosto 1988 da El Pais del 18 agosto 1988)

Compete allo Stato stabilire le norme della morale e garantirne l'osservanza con l'alternativa del carcere o di altre pene?

Quando, da ragazzo, frequentavo la facoltà di Giurisprudenza spiegavano, a noi studenti la differenza che c'è tra la sfera normativa dell'etica e la sfera normativa del diritto.

Distinguevamo bene le prescrizioni legali che venivano imposte al cittadino per mantenere il necessario ordine civile, e i precetti della morale che impegnano ogni coscienza ma che non si possono imporre ai privati per via autoritaria.

Ci si faceva vedere anche come, lungo la storia, i poteri pubblici, soprattutto quando vi convergevano religione e politica, abbiano teso ad invadere la coscienza dell'individuo, confondendo ordine civile e moralità, tendenza questa che, precisamente in quegli anni in cui io ero un giovane studente, si manifestava in modo rampante nella pratica del fascismo e del comunismo, per le cui rispettive dottrine la politica era una religione.

Oggigiorno la Spagna è molto lontana dall'essere uno Stato totalitario o confessionale; e tuttavia giorni fa un ministro del governo ha qualificato di immoralità, nel corso di un dibattito sul problema della droga, la pretesa legalizzazione di quest'ultima. C'è da supporre che si tratti di una cantonata senza conseguenze poiché non si può pensare, invece, che il ministro si consideri chiamato a vegliare sulla purezza dei costumi privati punendo le deviazioni con i mezzi del potere quando ormai i vescovi sembra abbiano rinunciato a invocare il suo aiuto (voglio dire: l'aiuto del potere pubblico) nella missione pastorale che gli compete.

Certamente il problema della droga ha una portata sociale che, senza dubbio, lo pone nel campo delle competenze dei governi, a parte qualsiasi velleità che essi possano avere di punire il vizio. Ed è su questo terreno degli effetti sociali, in quanto questione di ordine pubblico, che si deve impostare il problema, discuterlo e cercarne le soluzioni. E già in questi termini si rivela assai complesso; ancor di più lo sarebbe se si facessero interferire nella discussione considerazioni di carattere etico che, malgrado quanto si è detto, si vogliono con prepotenza inserire nel tema in vari modi, come le disquisizioni, del tutto inconcludenti, sul drogato: se è un vizioso o un malato, o forse un suicida di scarso coraggio...

Di fatto il dibattito rimane aperto nella giurisprudenza internazionale dove, in effetti, può condurre a risultati pratici. All'inizio di questo mese di agosto, la rivista nordamericana Time dedicava un'amplia informazione sul ruolo che la Spagna sta svolgendo, con nostro disappunto, nella diffusione mondiale delle droghe. Però è chiaro che non è qualcosa che riguarda solo un paese determinato e che deve preoccupare un solo governo (Spagna: centro di un brutto problema: questo era il titolo di Time), ma tutti i paesi e tutti i governi. Per questo problema, come per tanti altri, ci si scontra oggi con la stessa difficoltà: mentre le grandi sfide della nostra epoca hanno dimensioni globali, bisogna farvi fronte con mezzi governativi limitati e di corto respiro, incapaci pertanto di risolvere radicalmente la situazione indesiderabile.

Il commercio della droga è messo in atto da un'organizzazione più efficace dell'azione repressiva degli Stati particolare su cui si estende, di modo che solo una decisione congiunta dei diversi governi sarebbe capace di ridurlo a dimensioni sopportabili. Su che cosa dovrebbe consistere questa decisione congiunta dovrebbe essere precisamente la materia di discussione. E affinché la discussione si circoscriva in termini precisi, che chiariscano bene il problema e mirino alla sua effettiva soluzione, bisognerà distinguere in modo netto i differenti aspetti.

Partendo dal fatto, risaputo e incontrovertibile, che in ogni società umana vi sono state sempre persone che cercavano e trovavano stimoli o sollievo in determinate sostanze di diverso effetto tossico, dovremmo esaminare innanzitutto le cause per cui nell'epoca attuale si è esteso e incrementato il consumo di droghe stupefacenti fino ai limiti estremi cui è arrivato. Salta all'occhio, in primo luogo, la mancanza di prospettive e di regole di condotta che affligge una gran parte di individui, particolarmente i giovani, in una società sottoposta a trasformazioni la cui rapidità le rende necessariamente traumatiche. Dissoluzione dei vincoli familiari, di credi (religiosi, ideologici, ecc.), senso di solitudine e abbandono nelle grandi agglomerazioni urbane e alcuni altri elementi ben noti si è soliti addurre per spiegare come le persone più deboli e vulnerabili cerchino rifugio nelle droghe, che è un modo di sottrarsi alla realtà e alle responsabilità della vita. Sono condizioni per le quali nessun governo ha u

n rimedio, benché sia compito dei governanti cercare in tutti i modi di correggerle e alleviarle nella misura, certamente scarsa, in cui tutto ciò sia nelle loro possibilità.

In secondo luogo dovremmo considerare l'effetto della proibizione del consumo e della vendita di droghe e della loro penalizzazione da parte dello Stato. Bisogna ben tener presente che questo è un fattore nuovo nella nostra società. All'epoca della mia gioventù, ed ancora molto tempo dopo, le droghe erano a disposizione di chi voleva acquistarle in farmacia. Precisare il processo che portò a detta proibizione ed appurarne le cause che in origine lo determinarono, senza trascurare forse il fattore del puritanesimo americano in cui probabilmente è sorto, sarebbe indispensabile per stabilirne i risultati e accertare se in realtà ha frenato il consumo delle droghe vietate o, al contrario le ha stimolate. E' risaputo che la proibizione autoritaria invita a sfidarla e costituisce un incitamento a riaffermare l'io depresso. Ma ciò non è il fatto più importante. Quel che è decisivo è che la proibizione, nel rincarare enormemente il prodotto che oggi si può comprare soltanto per vie clandestine, dà luogo a quell'orga

nizzazione formidabile che non solo distribuisce la merce ad un prezzo elevatissimo, ma la adultera anche a danno dei consumatori; è il quadro, ampliato, di ciò che si è visto all'epoca della proibizione di bevande alcooliche negli Stati Uniti. Orbene questa organizzazione clandestina non si limita, e già sarebbe molto, a soddisfare la domanda del prodotto proibito, ma si impegna anche a creare questa domanda, agganciando alla droga sempre nuovi clienti, fino all'atto criminale estremo di diffonderla tra i bambini delle scuole. Non mi sembra azzardato avanzare la conclusione che proibirla o penalizzarla ha contribuito, in modo massiccio, ad estenderne il consumo e ad aggravare il problema, trasformandolo in un problema di sicurezza pubblica, in quanto i drogati meno abbienti devono ricorrere alla violenza delinquente per procurarsi con qualsiasi mezzo la dose che agognano.

Infine, rimarrebbe da esaminare il rimedio o il possibile allevio di una situazione che, secondo quanto tutti riconoscono, si è ormai resa insopportabile. Una cosa è evidente: la depenalizzazione, se si dovesse effettuarla, bisognerebbe attuarla in modo coordinato dappertutto. Decretata da un solo governo, trasformerebbe subito il paese corrispondente in deposito franco per il commercio della droga e in centro di attrazione dei tossicodipendenti. Sarebbe, quindi, indispensabile mettere in pratica in modo congiunto e concordato, forse a poco a poco, forse ufficialmente controllata, la depenalizzazione della vendita. Ma ciò richiede un accordo stabile fra i governi dei paesi, e principalmente gli Stati Uniti. La mia impressione, secondo come vedo le cose, è che dall'America forse può partire anche l'iniziativa per correggere il funesto errore commesso quando si è voluto trasformare il potere pubblico in guardiano della moralità privata.

 
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