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von Mueller Albrecht - 1 ottobre 1988
STABILITA' CONVENZIONALE E CONTROLLO ARMAMENTI
di Albrecht von Mueller

SOMMARIO: Per ottenere una graduale denuclearizzazione dell'Europa si può puntare ad un regime di "stabilità convenzionale" dove le capacità difensive, esclusivamente basate su armi non-nucleari, di entrambe le parti sono robuste, relativamente invulnerabili ad attacchi di anticipazione e decisamente superiori alle capacità di attacco dell'avversario. La tecnologia esistente e quella in corso di elaborazione unita ad un significativo impegno nel riorientamento delle risorse finanziarie da parte di entrambi i blocchi potrebbe condurre, secondo l'Autore, negli anni '90 al raggiungimento di questa stabilità convenzionale e al disarmo nucleare dell'Europa. Il modello di perfezionamento della forza armata difensiva che viene qui elaborato, troverebbe una significativa applicazione anche in Italia, relativamente alla cosiddetta "soglia di Gorizia".

(Irdisp - Quale disarmo - Franco Angeli editore - Milano - ottobre 1988)

(Figure e grafici non sono qui compresi)

1. Introduzione

Il rafforzamento della stabilità convenzionale in Europa è di grande importanza, non solo di per sé, ma anche come mezzo per una graduale denuclearizzazione dell'Europa.

Per ottenere la stabilità convenzionale non è sufficiente garantire la simmetria delle forze. E' necessario, invece, un regime di 'reciproca superiorità difensiva'. In questo tipo di equilibrio le capacità difensive di entrambe le parti sono robuste, relativamente invulnerabili ad attacchi di anticipazione ('preemption') (1) e decisamente superiori alle capacità di attacco dell'avversario.

La creazione di tale stabilità strutturale in Europa nei prossimi dieci anni dovrebbe essere realizzabile tecnicamente ed anche finanziariamente. Perlomeno, questa ipotesi è stata fatta propria anche dal Gruppo di studio sulle forze convenzionali in Europa del Pugwash (2), nel quale esperti civili e militari di alto livello hanno esaminato questa questione nel corso degli ultimi tre anni. Ma per ottenere la stabilità strutturale in Europa è necessaria da ambedue le parti una chiara volontà politica e di conseguenza anche un miglior coordinamento tra le politiche di sicurezza e le politiche di difesa.

Tradizionalmente nella pianificazione delle forze solo il fattore dell'efficienza militare viene ottimizzato. Nel contesto di una 'politica di sicurezza e difesa integrata' i seguenti tre fattori devono essere ottimizzati contemporaneamente:

- capacità di difesa convenzionale;

- stabilità in situazioni di crisi;

- prospettive per il controllo degli armamenti.

Nell'argomentazione che seguirà, noi guarderemo prima più da vicino ad ognuna di queste tre questioni e poi affronteremo la questione di quale tipo di modernizzazione delle forze terrestri e di politica di controllo degli armamenti possa derivare da questi criteri. Ma prima di iniziare, è necessario definire esplicitamente le premesse, gli obiettivi e gli approcci che costituiscano le fondamenta delle argomentazioni seguenti (figura 10.1).

Fig. 10.1 - Concetti cardine della stabilità convenzionale

______________________________

'premesse politiche'

- complementarità tra capacità militari difensive e disponibilità politica ad una genuina distensione (come già indicato nel Rapporto Harmel del 1967 (3));

- adesione al concetto di una difesa avanzata che cerchi di limitare i danni al proprio territorio, ma che non comprenda strutture delle forze e dottrine basate sull'offensiva e gli attacchi di anticipazione;

'obiettivi a lungo termine'

- mantenimento della pace e della libertà per ognuna delle parti di svilupparsi secondo i valori della propria società;

- specifico ruolo europeo di catalizzatore della trasformazione in senso pacifico del confronto est-ovest;

'approccio metodologico'

sviluppo di una politica di sicurezza e difesa integrate, che miri a creare un regime di 'reciproca superiorità difensiva', probabilmente l'unico modo di ottenere simultaneamente i seguenti obiettivi:

- rafforzamento della difesa convenzionale,

- aumento della stabilità in situazioni di crisi,

- creazione di nuove opportunità per il processo

di controllo degli armamenti.

______________________________

2. Il miglioramento della difesa avanzata convenzionale

Per iniziare prenderemo in esame la questione di come i recenti progressi nella tecnologia possano essere direttamente utilizzati per rafforzare le nostre capacità di difesa avanzata convenzionale. Per dare una risposta a questa questione, però, dobbiamo prima identificare alcuni fattori fondamentali (figura 10.2).

Dalle considerazioni riassunte nella figura 10.2 consegue la possibilità, in via di principio, che il difensore tragga maggiori vantaggi da salti tecnologici nell'acquisizione ed elaborazione delle informazioni. In parole povere, l'acquisizione e l'elaborazione dei dati - per la loro capacità di controbilanciare gli svantaggi derivanti da un attacco di sorpresa - sono più importanti per il difensore che per l'attaccante.

Sarebbe però sbagliato contare sull'automaticità di questa tendenza. Infatti, le nuove tecnologie possono certamente anche rafforzare le capacità dell'attaccante. E' quindi di cruciale importanza analizzare i problemi specifici del difensore e indirizzare verso di essi l'uso delle nuove tecnologie. Solo in questo modo si può assicurare un relativo vantaggio rispetto all'attaccante e le nuove tecnologie possono essere impiegate in modi che aumentino l'efficienza e riducano i costi.

A questo punto voglio sottolineare che non sono favorevole a concentrare unicamente gli sforzi sul fuoco indiretto di precisione, come sostengono alcune proposte di difesa alternativa. Ogni forma di monocoltura tecnologica provocherebbe infatti facili contromisure della parte opposta.

Deve quindi essere certamente mantenuto un sistema misto con armi dotate di differenti caratteristiche di impatto, comprese quelle ad energia cinetica e chimica, munizioni capaci di perforare le corazzature, mine, ecc. L'attaccante dovrebbe così affrontare una minaccia complessa, che porrebbe ai suoi ingegneri e pianificatori militari veri e propri dilemmi di ottimizzazione. Questo imperativo della complessità e della combinazione di più sistemi d'arma è valido anche rispetto ad altre proposte. Esso mostra, infatti, che la concentrazione eccessiva sulle unità corazzate pesanti sarebbe anch'essa sbagliata.

Fig. 10.2 - Difesa, attacco e sviluppi tecnologici

______________________________

'Le quattro categorie analitiche fondamentali dell'azione militare'

(1) Fuoco (esplosivo e sua destinazione)

(2) Movimento (per terra, aria e mare)

(3) Protezione (corazzatura, mimetizzazione, contromisure elettroniche, ecc.)

(4) Ricognizione (pronto allarme e individuazione bersagli)

'Progressi tecnologici successivi alla seconda guerra mondiale'

categoria (1) circa di un fattore 10-100

categoria (2) circa di un fattore 3-7

categoria (3) circa di un fattore 3-10

categoria (4) circa di un fattore 10-1000

'I compiti asimmetrici dell'attaccante e del difensore'

-figura con tabulazioni-

'Conseguente importanza asimmetrica delle categorie'

-figura con tabulazioni-

______________________________

I cambiamenti nell'attuale struttura dell'esercito dovrebbero indirizzarsi in tre direzioni: a) ridurre la debolezza della fanteria; b) aumentare sostanzialmente l'uso delle munizioni passive; c) utilizzare meglio i vantaggi derivanti dalla capacità di potenza di fuoco indiretta.

Ad alcuni potrebbe sembrare che il punto c) venga risolto nei concetti di modernizzazione tipo quello della FOFA (4). Per quanto mi riguarda, io credo che i concetti di interdizione in profondità siano controproducenti, sia rispetto alla stabilità in situazioni di crisi, sia rispetto all'efficienza militare. Dato che torneremo in seguito sul problema della stabilità in una situazione di crisi, voglio qui solo menzionare la irrealizzabilità tecnica e/o finanziaria della FOFA: se le unità corazzate sono attaccate molto all'interno del proprio territorio, esse hanno innumerevoli mezzi per saturare la possibile area d'attacco con finti mezzi corazzati, oppure montando ulteriori corazzature protettive sui propri veicoli.

Il combattimento efficace dal punto di vista dei costi - questa è la mia tesi - diventa allora possibile quando le cosiddette limitazioni del campo di battaglia cominciano a farsi sentire, per esempio, quando diventa un problema portarsi appresso finti carri armati, finti congegni elettronici, ecc., e quando scudi protettivi addizionali sostanzialmente rendono più difficile la mobilità richiesta per la guerra di movimento. Questo implica che 'l'interdizione ravvicinata' nel raggio dai cinque ai cinquanta chilometri è chiaramente preferibile alla 'interdizione in profondità' per ragioni militari e di efficienza legate ai costi, nonché per ragioni relative alla stabilità.

In linea di principio, l'idea di attaccare e bloccare le unità nemiche prima che esse raggiungano il campo di battaglia, ha una sua logica, ma i raggi d'azione previsti nel concetto originale della FOFA semplicemente non servono agli obiettivi pratici. Al contrario, sarebbe molto più vantaggioso concentrarsi su raggi più corti. E' interessante notare che molti dei recenti sviluppi tecnologici - alcuni dei quali segnalerò in questo lavoro - hanno importanti conseguenze per l'interdizione ravvicinata (figura 10.3).

Una combinazione di una rete di sensori e di mine mobili, in particolare, ha grossi vantaggi rispetto ai più conosciuti sistemi d'arma dotati di submunizioni 'intelligenti'. Nei sistemi odierni, la costosa intelligenza è collocata nella testata ed è quindi persa con l'esplosione. In un sistema combinato di rete di sensori/sistema di mine, la parte intelligente del sistema d'arma sarebbe collocata sotto terra e potrebbe essere usata diverse volte. Con ogni colpo (esplosione) solo una parte relativamente semplice e non costosa del sistema sarebbe consumata.

Il messaggio politico, per esempio il suo effetto di stabilizzazione del livello del conflitto in una crisi, è un ulteriore vantaggio di questo sistema. Nessuno si sente minacciato da questi sistemi di interdizione ravvicinata dato che sono inutili per l'offesa. Il sistema è infatti utile solo quando il proprio territorio viene invaso. In quel caso l'attaccante è combattuto con il massimo livello d'efficienza. Un altro vantaggio è che questo sistema è decentrato. Ciò significa che non vengono offerti al nemico obiettivi per attacchi di anticipazione.

Come possiamo vedere, una nuova scuola di pensiero che fa i conti con i problemi dell'utilizzo delle nuove ed avanzate tecnologie della difesa convenzionale si è iniziata: fino ad ora il nostro modo di pensare è stato dominato dal concetto di aumentare l'artiglieria e aumentare la precisione del proiettile, utilizzando submunizioni intelligenti. Usando questo approccio, ne consegue che le caratteristiche tecniche dei mezzi per l'acquisizione di dati, l'elaborazione dei dati e dei sistemi di guida terminale diventano molto elevate e quindi costose. Data l'alta velocità del percorso finale del proiettile, tutto ciò deve avvenire in frazioni di secondi - e questo rende tutto il sistema ancora più costoso. I sistemi d'arma ai quali noi pensiamo e che possiamo includere sotto la categoria di mezzi per l'interdizione ravvicinata, mostrano altre caratteristiche. In questo caso i raggi più corti sono intenzionali e servono lo scopo di ridurre i costi.

Anche la bassa velocità relativa tra l'esplosivo e il bersaglio è deliberata, dato che ciò lascia sostanzialmente più tempo al processo di acquisizione dell'obiettivo e di elaborazione delle informazioni. Per quanto possibile si potrebbero portare avanti queste premesse in direzione di principi stocastici.

La mia tesi è che noi dobbiamo comunque evitare monocolture tecnologiche, ma vale sicuramente la pena prestare più attenzione in futuro a questa seconda scuola di pensiero che propone raggi d'azione più corti, velocità relativamente più basse, e l'utilizzazione sistematica di principi stocastici.

Probabilmente è solo questa la maniera veramente intelligente di applicare le tecnologie intelligenti nei sistemi d'arma convenzionali e, inoltre, ciò potrebbe ridurre la dipendenza dalle industrie d'armi americane. Passiamo al nostro secondo argomento, la stabilità in situazioni di crisi e il controllo degli armamenti.

Fig. 10.3 - Tecnologie essenziali per l'interdizione ravvicinata

______________________________

'1. Reti di sensori sismici collegati a mine mobili stocasticamente'

- densità dei sensori, circa 30 per chilometro quadrato;

- trasmissione dati mediante cavi sotterranei a fibre ottiche (non può essere interrotta dal fuoco di artiglieria, resiste ai disturbi elettronici e all'impulso elettromagnetico);

- dispersione delle mine attraverso razzi d'artiglieria a corta e media gittata (SARS e MARS) (3-5 mine per razzo);

- area di ricerca della mina, circa 2000 metri (8 segmenti da 250 m);

- carica esplosiva di ogni mina, circa 15 Kg;

- probabilità di distruggere l'obiettivo ('kill probability'), circa 15% per ogni mina;

- costo di una mina, circa 3000 dollari;

- costo stimato della rete di sensori, circa 50.000 dollari per Kmq.

'2. Semplici aerei telecomandati da ricognizione e d'attacco'

- trasmissione dati attraverso cavi a fibre ottiche;

- raggio di trasmissione, circa 30 Km;

- guida a distanza tramite monitor e 'joy stick';

- perforazione corazzatura per impatto contro le parti superiore e laterali del veicolo attaccato;

- individuazione basata su più sensori per superare gli impedimenti alla visibilità;

- costo di produzione in serie, circa 25.000 dollari.

'3. Munizioni passive intelligenti'

- mine intelligenti, che possono controllare un'area di un centinaio di metri, mirare ed esplodere automaticamente;

- mine saltanti stocasticamente, che coprono automaticamente le aree che sono state bonificate;

- campi minati comunicanti, che esplodono ad un dato livello di saturazione dell'area.

'4. Altre possibili armi da sviluppare'

- piccole trasmittenti autoadesive da 2-3 cm, disperse sulle unità attaccanti con bombe a frammentazione, che creano bersagli facilmente individuabili o 'cooperativi';

- cariche per accecare temporaneamente i sensori delle unità attaccanti tramite razzi e proiettili d'artiglieria che spargono colla.

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3. Una maggiore stabilità nelle crisi e nel controllo degli armamenti

In fisica si dice che un sistema è stabile quando dopo una perturbazione prevalgono quelle forze che riportano il sistema al suo punto di equilibrio.

Noi possiamo applicare per analogia questo principio al campo della difesa e della sicurezza. La configurazione di un sistema è considerata stabile quando le spinte al mantenimento della pace e alla distensione predominano sulle forze che tendono all'abbandono di uno stato di pace. In generale si può distinguere tra tre tipi di stabilità: stabilità politica, stabilità militare in una crisi, e stabilità nel controllo degli armamenti.

Nel caso della stabilità politica le parti si aspettano più vantaggi da una cooperazione a lungo termine che da uno stato di ostilità.

Per quanto riguarda la stabilità militare in una crisi, il vantaggio di chi attacca per primo risulta essere sostanzialmente minore dei vantaggi strutturali del difensore. Data questa situazione, ambedue le parti capiscono che le proprie prospettive di successo diminuirebbero decisamente con l'attacco e la 'preemption'; il che assicura una stabilità militare.

Anche la stabilità nel controllo degli armamenti riguarda la competizione militare ed è, perciò, nell'inglese degli americani definita in modo abbastanza fuorviante come "stabilità nella corsa al riarmo". Ovviamente, ognuno sa che la corsa al riarmo non verrà mai stabilizzata, ma solo limitata o invertita. Perciò, in questo scritto, il termine 'stabilità nel controllo degli armamenti' definisce una situazione in cui i costi marginali di mezzi minacciosi offensivi addizionali sono chiaramente più alti che i costi per intelligenti misure di compensazione difensive. In questo caso il difensore può usare il fattore costi a proprio vantaggio o in altre parole, la parte che dispone di un miglior rapporto tra costi ed efficacia, potrà avere una migliore posizione nella competizione economica.

Ma concentriamoci per ora sulla stabilità militare e sulla stabilità nel controllo sugli armamenti, e soprattutto su come queste possono essere misurate ed ottimizzate.

Relativamente alla stabilità politica si può menzionare il seguente effetto: esso gioca un ruolo nella stabilità in situazioni di crisi più importante di quanto i 'falchi' sono spesso disposti ad ammettere. Per misurare l'effetto reale della deterrenza in un preciso momento noi dobbiamo considerare non solo il danno minacciato nel caso di un conflitto militare ma anche le prospettive che derivano dall'astenersi dall'uso della forza militare.

Ciò significa che la deterrenza, per la parte che deve essere dissuasa, diventa tanto più efficace quanto maggiori sono i benefici che derivano dalla possibile cooperazione e dal non uso della forza. Viceversa, se si proclama la volontà di eliminare il proprio nemico e farlo cadere nella spazzatura della storia, praticamente il vantaggio netto della deterrenza si riduce in modo sostanziale dato che l'avversario ha, per così dire, solo la possibilità di scegliere tra la morte per fucilazione e quella per impiccagione. Fino ad oggi questa relazione non è stata abbastanza considerata e neanche completamente compresa nella pratica politica. In modo ricorrente si possono trovare ancora dei governi che spendono enormi risorse per la difesa e contemporaneamente minacciano l'avversario ideologico di estinzione - anche senza l'impiego della guerra - ed in questo modo diminuiscono gli effetti della deterrenza ed aumentano le prospettive di guerra.

Certamente una politica di difesa debole non è un'alternativa dato che anch'essa indebolisce la deterrenza. Solo una combinazione di capacità di difesa sufficiente e di distensione, che nel Rapporto Harmel viene definito come il fondamento della politica di sicurezza della NATO, può essere un approccio realmente vincente. Nei loro rapporti con gli Stati Uniti, i membri europei della NATO dovrebbero sottolineare più spesso questa fondamentale complementarità della politica di sicurezza occidentale e non dovrebbero avere remore nel rendere chiaro che il suo abbandono metterebbe in pericolo la NATO nel suo complesso.

Detto ciò torniamo alla stabilità militare e nel controllo degli armamenti. In primo luogo bisognerebbe richiamare l'attenzione sul fatto che stabilità ed equilibrio sono spesso ed erroneamente considerati sinonimi. Ma, né l'equilibrio né la simmetria implicano in alcun modo l'esistenza della stabilità. Purtroppo nei nostri dibattiti politici molto spesso si parla della stabilità ma ciò che in realtà si intende è la simmetria. Inoltre, e questo peggiora ulteriormente le cose, l'ottenimento della simmetria è spesso considerato l'obiettivo principale.

La differenza fondamentale tra la simmetria e la stabilità può essere bene illustrata da un semplice esempio, che le persone che hanno dimestichezza con Hollywood dovrebbero essere capaci di comprendere rapidamente.

Pensate a due cow-boy che camminano lentamente l'uno verso l'altro per l'ultimo duello. In questo caso si ha un esempio di esatta simmetria, cioè, stesse armi, stesse capacità, stessa riserva di munizioni, ecc., - e ciononostante la situazione è di massima instabilità.

Attraverso questo esempio si può vedere che il livello esistente di simmetria non è un buon criterio per giudicare il livello di stabilità, che dipende piuttosto da altri fattori decisivi come le capacità offensive e il vantaggio di un attacco di anticipazione. Se le due parti hanno capacità offensive e a queste si aggiunge un alto premio per chi attacca per primo, allora si ha una situazione di massima instabilità, sia a Dodge City sia nei rapporti tra la NATO e il Patto di Varsavia.

L'obiettivo principale di una politica di sicurezza e di difesa responsabile deve essere di garantire la stabilità e, per essere chiari, questo obiettivo deve avere molta priorità sul congelamento o sulla riduzione dei livelli di armamento. Certamente i secondi obiettivi sarebbero anch'essi desiderabili, soprattutto dal punto di vista economico, ma la realizzazione di uno stabile equilibrio delle forze deve avere assoluta priorità, dato che è questo il fattore che decide se le crisi politiche possono portare alla guerra.

Durante gli anni '60 e '70 molta attenzione è stata prestata al problema della stabilità nell'equilibrio degli armamenti nucleari strategici. Invece nel settore degli armamenti convenzionali il problema della stabilità è stato molto meno considerato ed ha giocato un ruolo irrilevante come criterio di ottimizzazione dello sviluppo delle forze convenzionali. Oggi, considerando che l'ombrello nucleare sta diventando sempre più permeabile, dobbiamo pagare un alto prezzo per questa nostra negligenza.

E' tempo di definire che cosa intendiamo per stabilità convenzionale e, soprattutto, di rendere esplicito come essa può essere rafforzata. Relativamente a questi due problemi risulta interessante una nuova metodologia che il gruppo di studio di cui faccio parte ha sviluppato a Starnberg. Le 'funzioni di sviluppo di rapporti di forza', cioè i cambiamenti nei rapporti di forza militari nel corso di un conflitto, formano la base di partenza del nostro approccio.

Possiamo descrivere la forza di una parte, per esempio la parte che si difende, come una funzione del tempo (vedi figura 10.4, sopra).

Il grafico mostra una fase iniziale durante la quale si manifestano appieno i vantaggi di un attacco di anticipazione e della sorpresa: è una fase in cui il difensore perde, in un tempo relativamente breve, una frazione molto grande delle proprie forze. Segue una fase intermedia del conflitto, quando ormai anche il difensore ha dispiegato completamente le sue forze. Si giunge poi alla fase finale, nella quale si decide se l'attacco sferrato viene respinto o se le forze del difensore vengono annientate in un processo accelerato secondo il cosiddetto effetto Lancaster. Per rappresentare non solo la forza della parte A, ma anche quella di B, possiamo utilizzare un grafico tridimensionale, in cui abbiamo due assi per A e B, e un terzo asse per il tempo (vedi figura 10.4, sotto).

Fig. 10.4 - La topologia delle funzioni di sviluppo dei rapporti di forza come indicatore della stabilità nelle crisi e nel controllo degli armamenti

-figura-

Dato che le considerazioni topologiche che seguiranno sono molto più difficili da dimostrare con grafici tridimensionali, ci limiteremo alle proiezioni bidimensionali, nelle quali abbiamo sui due assi solo le forze di A e B. (Da un punto di vista figurativo, ciò significa che ruotiamo il nostro oggetto tridimensionale in modo che l'asse del tempo sia orientato nel senso della profondità e sembri così sparire).

Consideriamo ora gli effetti dello sviluppo dei rapporti di forza tra due avversari, con le forze di A e B rappresentate sui rispettivi assi. Questi grafici semplificati permettono di arrivare alla comprensione di alcune idee importanti, tracciando a partire da un punto che rappresenta l'iniziale rapporto di forze le due funzioni di sviluppo del rapporto di forze possibili, una nel caso sia A a sostenere il ruolo di attaccante l'altra nel caso sia B ad aggredire (vedi figura 10.5). Possiamo così individuare le quattro varianti principali, delle quali la prima rappresenta una situazione di massima instabilità, perché la stessa parte che inizia il conflitto è anche in grado di vincerlo.

La vittoria di una o dell'altra parte è descritta nel nostro grafico dall'intersezione della funzione di sviluppo del rapporto di forze con una delle due coordinate: ciò significa che una delle parti dispone ancora di forze corrispondenti all'altezza del punto di intersezione, mentre l'altra parte è stata annientata. Il secondo caso illustra una situazione in cui B ha una superiorità indiscussa. In ogni caso, indipendentemente da chi attacca, alla fine B dispone ancora di forze residue. La situazione opposta si può osservare nel terzo caso, in cui è la parte A ad avere sempre la superiorità.

Queste ultime due situazioni di completa superiorità sono certamente meno disastrose per la stabilità in situazioni di crisi, ma sono ciononostante molto sgradevoli da un punto di vista politico perché permettono alla parte che gode di uno stato di superiorità di ricattare politicamente l'altra parte. Quindi ambedue le situazioni tendono a sviluppare la corsa al riarmo, perché la parte inferiore cercherà con ogni mezzo di arrivare perlomeno alla parità.

Fig. 10.5 - Le quattro varianti fondamentali della stabilità

-figura-

Il quarto e ultimo caso mostra una situazione realmente stabile, cioè un rapporto di forze nel quale l'attaccante alla fine perde la guerra. Nel grafico ciò significa che le funzioni di sviluppo dei rapporti di forza si incrociano prima di toccare le coordinate. In questo caso noi abbiamo una situazione di stabilità strutturale o 'reciproca superiorità difensiva', perché le capacità difensive di ambedue le parti sono chiaramente superiori alle capacità offensive dei rispettivi nemici.

Da queste caratteristiche fondamentali dei rapporti di forza stabili in campo convenzionale possiamo dedurre diversi criteri di ottimizzazione. La 'pancia' all'inizio delle due funzioni (immediatamente successiva all'iniziale rapporto di forza) rappresenta il premio per l'attacco di anticipazione. Tanto più grande è questa 'pancia' tanto peggiori sono le possibilità che la funzione di sviluppo dei rapporti di forza si intersecherà con la coordinata dell'altra parte. L'obiettivo di ridurre il diametro e la superficie di questa 'pancia' diventa quindi prioritario, per uno sviluppo responsabile della struttura delle proprie forze e anche per le politiche di controllo degli armamenti. E' quasi impossibile eliminare completamente i vantaggi degli attacchi di anticipazione e ciò significa che la sezione media della funzione deve in ogni caso essere un po' più piatta della diagonale, cioè dovrebbe avanzare per quanto più possibile in modo parallelo alla coordinata del difensore. Ciò significa che sul campo di batta

glia i vantaggi strutturali del difensore sono sfruttati appieno e che l'attaccante deve sopportare perdite più che proporzionali. Questo è un requisito necessario a compensare il premio iniziale per l'attacco di anticipazione dell'attaccante.

Inoltre, questa piattezza nella sezione mediana della funzione di sviluppo dei rapporti di forza è l'indicatore della stabilità nel controllo degli armamenti. Tanto sono più piatte queste sezioni medie relativamente agli assi degli attaccanti, tanto più costoso risulta per il potenziale aggressore guadagnare ulteriori capacità offensive. Ma se ciò viene messo in atto, per esempio se i costi marginali di ulteriori capacità offensive sono molto più costosi dei mezzi messi in atto per compensarli, ciò significa che si è creato un efficace abbattimento dei costi a favore del difensore. Chiunque volesse provare a guadagnare un'affidabile capacità offensiva, non farebbe altro che promuovere la sua rovina finanziaria.

Se una parte riesce a sfruttare appieno i vantaggi strutturali della difesa e ad utilizzare la moderna tecnologia per questo obiettivo, allora anche il processo di controllo degli armamenti non dipenderà più completamente dalla buona volontà dell'altra parte. Infatti attraverso la stessa struttura delle forze vengono creati sani incentivi che favoriscono restrizioni alla crescita delle capacità offensive.

Fig. 10.6 - Il carattere ambivalente del controllo degli armamenti

-figura-

Un ulteriore interessante aspetto di queste analisi topologiche riguarda il Giano bifronte del controllo degli armamenti. Possiamo vedere che attraverso riduzioni simmetriche anche se attuate con buone intenzioni è possibile destabilizzare una situazione che in precedenza era molto stabile (vedi figura 10.6, parte alta). In questo caso tutti i partecipanti sono in buona fede, possono aderire ai comuni impegni di disarmo senza imbrogliare, e comunque, alla fine - date le sfavorevoli strutture scelte - l'intera situazione sarebbe molto meno stabile della precedente.

D'altra parte una politica di controllo degli armamenti intelligente e che aumenti la stabilità richiede innanzitutto che le caratteristiche della funzione di sviluppo dei rapporti di forza vengano cambiate in un senso che, come detto sopra, riduca la 'pancia' dell'attacco di anticipazione e che renda le funzioni parallele alle coordinate del difensore. Solo se si realizza una scissione tra le capacità offensive e quelle difensive, si può cominciare a ridurre i livelli degli armamenti senza nuocere alla stabilità (vedi figura 10.6, parte bassa).

Utilizzando questa procedura, i criteri più importanti per aumentare la stabilità nelle crisi e nel controllo degli armamenti possono essere definiti con precisione:

1) il diametro e la superficie della 'pancia dell'attacco di anticipazione' devono essere ridotte al massimo;

2) la parte di mezzo delle funzioni deve, per quanto possibile, correre parallela all'asse dell'attaccante;

3) le due funzioni devono intersecarsi nell'area dei valori positivi, lasciando un certo margine di sicurezza tra il punto di intersezione e lo zero che non deve essere sorpassato.

Se si garantisce questa funzione di sviluppo dei rapporti di forza, allora si è ottenuto il livello più alto di stabilità militare in una crisi. La stabilità nel controllo degli armamenti si realizza nella misura in cui la parte di mezzo della funzione corre parallela all'asse del difensore. Questo significa che il difensore è più efficiente in combattimento e che il fattore costi lavora contro l'incremento marginale delle capacità offensive.

Vorrei a questo punto fare alcune considerazioni sul concetto ampiamente discusso di 'difensività strutturale' ('Strukturelle Nichtangriffsfaehigkeit' (5) ). Questo concetto è stato sviluppato nel 1982-83 all'Istituto Max Planck di Fisica e Astronomia ed era concepito all'inizio ad uso esclusivamente scientifico ed interno. Il concetto riguardava il problema di come rafforzare la difesa convenzionale, aumentare la stabilità in situazioni di crisi e aumentare le possibilità per il controllo degli armamenti allo stesso tempo. Non bisogna confondere questo concetto con quello di Horst Afheldt di una pura 'difesa difensiva'. Contrariamente alla proposta di Afheldt, il concetto di 'difensività strutturale' comprende esplicitamente la possibilità e la capacità di condurre contrattacchi e di ristabilire l'integrità territoriale.

Nella sostanza si tratta di un tentativo di integrare i nostri mezzi militari in modo più efficace all'interno dei nostri obiettivi politici. Quindi la critica politica di quel concetto in Germania non ha, nella maggioranza dei casi, riguardato il centro del problema.

Prima di arrivare all'argomento della stabilità in una situazione di crisi non-nucleare e della sua ottimizzazione, è necessario dare un'occhiata alla possibilità di un conflitto di obiettivi tra la spinta per l'efficienza militare e la stabilità in situazioni di crisi.

Quando i politici affidano ai militari il compito di rafforzare significativamente le prospettive di successo militare con il minore impegno finanziario possibile, le soluzioni più economiche mostrano sempre una tendenza preventiva. Per esempio: le forze aeree nemiche possono essere distrutte nel modo migliore e più economico quando sono ancora ferme a terra. Cosi' come è più efficace e meno costoso attaccare la marina avversaria prima che essa si dispieghi. Per le forze di terra vale la stessa logica che assegna molta importanza a cogliere impreparato il nemico e ai guadagni derivanti da un attacco di sorpresa.

Quando si traducono queste tendenze nel nostro modello, diventa evidente che la modernizzazione, collegata ad aumenti di efficienza a buon mercato, rende la 'pancia' dell'attacco preventivo molto più consistente. Ciò è in effetti quanto è accaduto nei venticinque anni passati (vedi figura 10.7). Qui abbiamo un conflitto di interessi tra il miglioramento dell'efficienza militare con poca spesa da una parte, ed una maggiore stabilità in situazione di crisi dall'altra. Se non si raggiunge una migliore sintonia ed integrazione degli obiettivi e dei requisiti politici e militari, noi saremo indirizzati verso situazioni ancora più instabili e pericolose.

Un'inversione di questa tendenza può essere ottenuta solo prendendo in maggiore considerazione i problemi della stabilità in una crisi nel settore della difesa convenzionale, e non attraverso ottimizzazioni di corto respiro dell'efficienza militare. Di conseguenza una migliore integrazione delle politiche di sicurezza e di difesa è una condizione indispensabile.

Ma la struttura delle forze non può essere cambiata esclusivamente attraverso la modernizzazione o misure di ristrutturazione prese da una parte o dall'altra. L'obiettivo di separare le capacità offensive e difensive e di stabilire una situazione di stabilità strutturale può ovviamente essere perseguito anche attraverso misure di controllo degli armamenti. Così noi arriviamo al nostro ultimo argomento, quello del controllo degli armamenti.

Fig. 10.7 - Il conflitto di interessi decisivo: aumento dell'efficienza militare o aumento della stabilità nelle crisi

-figura-

4. Nuove opportunità per il processo di controllo degli armamenti

Come ho cercato di dimostrare, è necessario che nel processo di controllo degli armamenti venga abbandonato un modo di pensare basato sulla pura simmetria. Questo concetto deve essere rimpiazzato da quello nuovo di 'reciproca superiorità difensiva'. Questo tipo di aggiustamento del processo di controllo degli armamenti è necessario per due motivi. Innanzitutto il concetto usato finora nei colloqui MBFR (cioè per la riduzione reciproca e bilanciata delle forze convenzionali in Europa) si è dimostrato molto intricato e noioso, mentre ha prodotto solo minimi cambiamenti di significato militare, nel migliore dei casi, simbolico. Ma più importante è la seconda ragione, cioè che anche una situazione di simmetria perfetta nella struttura di forze odierne non garantirebbe in nessun modo la stabilità. I vantaggi dell'attaccare per primi sono diventati così grandi nell'area convenzionale che la stabilità attraverso la simmetria è diventata irraggiungibile.

Fig. 10.8 - Il procedimento di 'divisione della torta' come nuovo approccio al controllo degli armamenti

1.' La procedura'

- entrambe le parti valutano inizialmente il proprio potenziale, di modo che esso corrisponda al 100%;

- ci si accorda per un determinato ritmo di disarmo (ad esempio, 2-5 % all'anno);

- ogni anno le due parti hanno il diritto di scegliere, entro la percentuale concordata, quali componenti la parte avversaria deve eliminare.

2. 'I vantaggi rispetto all'attuale procedura'

- chi cerca di valutare in maniera non corretta il proprio potenziale inganna se stesso, poiché la controparte potrebbe ottenere la riduzione di determinati sistemi d'arma con forti 'sconti';

- entrambe le parti hanno in ogni momento l'impressione di aver fatto un buon affare, perché hanno richiesto il disarmo dei componenti dell'arsenale avversario da essi ritenuti più minacciosi (in questo modo le inevitabili differenze di valutazione vengono utilizzate in modo costruttivo);

- chi possiede di più deve automaticamente disarmare maggiormente, così diventa anche inutile accordarsi preventivamente su una situazione di partenza di equilibrio;

- il processo di disarmo viene collegato direttamente ad un processo di ristrutturazione che privilegia i componenti più adatti alla difesa.

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In relazione al controllo degli armamenti, vorrei presentare due proposte. La prima riguarda l'applicazione del procedimento di 'divisione della torta' nelle trattative di controllo degli armamenti, mentre il secondo propone un mutamento graduale dalla presente situazione - che viene percepita dalla NATO come una situazione di totale superiorità convenzionale del Patto - ad una situazione di 'reciproca superiorità difensiva', che permette di aumentare la stabilità in situazioni di crisi.

Il progresso nel controllo degli armamenti può essere ottenuto attraverso un metodo di 'divisione della torta' che implica una ridistribuzione degli incentivi (figura 10.8). Il termine 'divisione della torta' è derivato da un sistema usato da molti genitori per insegnare ai propri bambini come dividere in modo equo. Una persona divide e l'altra sceglie - la soluzione è sempre giusta dato che nel peggiore dei casi è il divisore che avrà una perdita. Proprio questo effetto di creare incentivi all'equità può essere utilizzato anche nel processo di controllo degli armamenti.

Oltre a queste procedure di negoziazione, noi ci siamo preoccupati degli obiettivi di un regime di controllo degli armamenti in Europa e di quali elementi di base dovrebbero costituirlo. Siamo arrivati alle seguenti conclusioni (figure 10.9 e 10.10).

Ho presentato questa proposta di controllo degli armamenti al quinto incontro del Gruppo di studio sulle forze convenzionali del Pugwash. Con mia sorpresa la proposta non è stata rifiutata dai circa venti esperti militari del Patto di Varsavia, che comprendevano ufficiali in servizio attivo degli Stati maggiori delle forze armate sovietiche, ungheresi e polacche. Al contrario, ha incontrato una buona accoglienza.

Ci sono anche altre indicazioni che l'Unione Sovietica ha mutato la propria posizione sulle forze convenzionali in modo più flessibile e ricettivo. Nella dichiarazione di Budapest del 13 giugno 1986 si vedono i segni di questo mutamento. Fortunatamente anche la NATO ha sottoscritto l'obiettivo di eliminare "le capacità per attacchi di sorpresa o per l'inizio di un'azione offensiva su larga scala" nella sua risposta del dicembre 1986.

Nel Gruppo di studio Pugwash c'era consenso sul fatto che i militari delle due parti potrebbero stabilire un rapporto di forza basato sulla superiorità difensiva. Tutto ciò di cui hanno bisogno è l'indicazione politica di lavorare per questo obiettivo, ma finora questa indicazione è mancata tanto all'est quanto all'ovest.

Fig. 10.9 - Obiettivi di un regime di controllo degli armamenti orientato verso la stabilità

-figura-

Fig. 10.10 - Abbozzo di un regime di controllo degli armamenti orientato alla stabilità

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1. 'Premesse'

- obiettivo di creare rapporti di forza stabili in Europa;

- accordo sul collegare gli sviluppi delle armi convenzionali e nucleari dopo la seconda guerra mondiale;

- accordo su ampie verifiche 'in loco' da parte di una commissione di Stati europei neutrali (per esempio Svezia, Finlandia, Austria e Svizzera).

2. 'Norme'

- eliminazione delle armi nucleari basate a terra e lanciate dall'aria dall'Atlantico agli Urali;

- limite massimo di 10.000 unità sia per carri armati che per artiglierie pesanti e lanciarazzi, con densità massima di 0,02 per Kmq entro ogni area di 50x50 Kmq;

- limite massimo di 2000 aerei da combattimento;

- raggio massimo di azione di 50 Km per tutti i sistemi missilistici, nessun missile da crociera;

- rapporto di 1 a 2 tra unità mobili corazzate e unità più statiche di fanteria leggera;

- limite massimo di 20.000 soldati nelle unità aviotrasportate e di 1000 elicotteri da combattimento anticarro;

- abolizione del livello di divisione, data la sua importanza per il coordinamento di offensive ad ampio raggio.

3. 'Norme transitorie'

- le norme previste nel trattato dovranno essere applicate gradualmente nell'arco di 36 mesi, ed iniziare al più tardi entro sei mesi dalla firma dell'accordo.

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Dopo aver terminato la trattazione dei tre argomenti - rafforzamento della difesa convenzionale, aumento della stabilità in situazione di crisi e nuove prospettive per il processo di controllo degli armamenti - diamo un'occhiata ad un caso concreto di modernizzazione per le forze armate tedesche - la 'Bundeswehr' (ma la maggior parte di queste raccomandazioni dovrebbero essere applicabili anche ad altre forze armate in Europa) - che dovrebbe basarsi sui criteri sopra delineati. Per questioni di spazio, mi concentrerò esclusivamente sulle forze terrestri.

5. Un'idea di modernizzazione: la 'difesa avanzata integrata'

Nell'affrontare questo problema dobbiamo considerare che a tutt'oggi noi non possiamo sapere se gli accordi di controllo degli armamenti delineati in precedenza si materializzeranno nei prossimi anni oppure no. Personalmente credo che le probabilità che ciò avvenga siano abbastanza buone. Innanzitutto l'Unione Sovietica e la sua attuale dirigenza capiscono che la stabilizzazione della situazione europea rientra nei propri interessi. La riforma economica, senza la quale l'Unione Sovietica diverrebbe in ultima analisi un paese sottosviluppato - e in una prospettiva a lungo termine anche militarmente - richiede un'azione convergente di tutte le risorse utilizzabili e questo sarebbe difficilmente realizzabile se la corsa al riarmo si accelerasse di nuovo.

In secondo luogo, ci sarebbe molto da guadagnare dalla chiara comprensione che le capacità convenzionali offensive, a causa dei cambiamenti tecnologici già descritti, non hanno in nessun caso un futuro. La questione diventa allora quale prezzo deve essere pagato per raggiungere la stabilità in campo convenzionale se si sceglie il metodo - più economico - di controllo degli armamenti o se questo non è il caso, quali sarebbero per le nostre economie i costi di altre scelte.

Ma non ci si deve basare esclusivamente su ragionamenti relativi al controllo degli armamenti. I concetti di modernizzazione militare devono essere elaborati in tale maniera da avere un loro senso indipendentemente dal fatto che si possano raggiungere o meno accordi sul controllo degli armamenti. Le proposte qui presentate di modernizzazione delle forze armate tedesche sono elaborate in modo da corrispondere a questo doppio vincolo (vedi figura 10.11).

Il sinergismo dei seguenti fattori costituisce la caratteristica principale del concetto di 'difesa avanzata integrata': 1) le unità mobili corazzate; 2) le nuove capacità di interdizione ravvicinata; 3) un corridoio relativamente stretto di unità di fanteria e di arresto dislocate in posizione avanzata, che traggono il massimo di beneficio dal nostro considerevole potenziale di riservisti.

E' importante in questa proposta notare che le unità più avanzate non sono esposte all'intero impatto dell'attacco ma sono invece efficacemente sostenute e integrate dall'interdizione ravvicinata. Per esempio ogni tentativo di spezzare le posizioni del difensore attraverso un bombardamento di artiglieria concentrato e preparatorio renderebbe le unità attaccanti d'artiglieria obiettivi ideali dell'interdizione ravvicinata.

Immediatamente dopo aver passato la linea di confine le unità attaccanti sarebbero in larga parte spazzate via, mentre l'impeto del loro attacco sarebbe smorzato - nella maggior parte dei punti - dopo dieci o venti chilometri.

Fig. 10.11 - Un'idea di modernizzazione: la 'difesa avanzata integrata'

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1. Costituzione di una rete, della profondità di 25 Km circa, di unità di fanteria leggera e di sbarramento con le seguenti caratteristiche:

- forza alle armi, circa 40.000 uomini in tempo di pace, circa 120.000 in tempo di guerra;

- reclutamento regionale e strutturazione in reggimenti per la difesa territoriale;

- esercitazioni di fine settimana per i riservisti, una ogni sei mesi;

- mobilitazione nell'arco di 12-24 ore, grazie alla vicinanza dei riservisti alla zona d'operazioni e all'alto grado di addestramento.

2. Sistematico sviluppo delle capacità di interdizione ravvicinata:

- messa in posa, da parte del genio militare, di una rete di sensori di circa 2000 Kmq (costo della rete circa 100 milioni di dollari, più altri 100 mln $ per equipaggiamenti supplementari);

- costruzione di circa 3000 semplici aerei teleguidati da combattimento (costo circa 75 mln $);

- acquisto di munizioni passive intelligenti - mine direzionali, saltanti, campi minati comunicanti (costo delle mine e dei lanciatori, circa 125 mln $);

- acquisto di altre 30.000 mine mobili (costo mine e lanciatori 165 mln $).

Costo totale circa 570 mln $, che permette quindi di tollerare anche aumenti pari a 2-3 volte il prezzo di partenza.

3. Mantenimento delle brigate mobili corazzate:

- con leggera riduzione del personale;

- senza più il rischio di essere decimate nella guerra d'attrito;

- con alta probabilità di trovarsi al posto giusto nel momento giusto;

- che possono essere usate in modo ottimale come forze altamente mobili di arresto e contrattacco

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Comunque, tutte le unità che passassero attraverso questa rete si troverebbero di fronte unità meccanizzate, fresche e ben piazzate. Dato che, in questo tipo di scenario, ambedue le parti sarebbero incapaci di sostenere lo sforzo offensivo, mi sembra possibile che esse possano giungere ad un accordo di controllo degli armamenti basato sulla stabilità, se non altro per diminuire la pressione sulle loro economie.

Dunque, se viene raggiunto un accordo sul controllo degli armamenti di questo tipo, ambedue le parti potrebbero diminuire il numero delle proprie unità corazzate capaci di condurre un'offensiva. Con questo tipo di modernizzazione, la situazione molto insoddisfacente di avere ben pochi risultati nella discussione sulla limitazione degli armamenti convenzionali potrebbe essere positivamente influenzata - attraverso l'iniziale ristrutturazione e specializzazione in senso difensivo, perché così creeremmo le condizioni necessarie per ulteriori riduzioni.

La deterrenza, o per meglio dire il valore di dissuasione di sistemi militari di questo tipo, sarebbe ulteriormente rafforzato da un effetto che possiamo definire 'capacità di rappresaglia condizionata'. Nei casi di crisi politica esso porterebbe alla ribalta nuove e diversificate alternative d'azione. Attualmente gli Stati maggiori potrebbero, in una situazione di crisi in Europa, essere tentati dai vantaggi derivanti dall'attaccare per primi. In futuro, questo tipo di situazione potrebbe diventare ancora più probabile tanto più l'ombrello nucleare diventa permeabile. In una crisi politica, i rapporti di forza convenzionali attuali tenderebbero a destabilizzare invece che ad avere un effetto di stabilizzazione.

L'idea di modernizzazione sopra delineata cambierebbe alle radici questa dinamica. Se non avvenissero processi di controllo degli armamenti e solo una parte decidesse di ristrutturarsi si creerebbe una nuova situazione:

1) Anche se i pianificatori militari oggi sanno che l'altra parte non ha intenzione di attaccare, un'analisi semplicemente militare delle strutture di forza attuali mostrerebbe come vantaggiosa per l'avversario la possibilità di portare avanti un attacco di anticipazione. Proprio la vulnerabilità di molti fattori fondamentali di ambedue le alleanze potrebbe indurre l'altra parte a questo fatale errore di interpretazione.

Se le modernizzazioni invece fossero portate avanti in accordo con il modello di difesa integrata avanzata, allora questo permetterebbe di definire strutture di forze militari che non solo corrisponderebbero di fatto alla politica di 'non primo sparo' ('no first shot') ma che anche la dimostrerebbero in modo convincente.

I pianificatori militari delle due parti potrebbero far sapere ai propri dirigenti politici che l'altra parte molto probabilmente non attaccherà, dato che le sue strutture non sono adatte all'offesa e - nel caso l'altra parte attaccasse comunque - non sarebbe difficile fermare questo attacco.

2) La ragione di questo alto livello di stabilità è una 'capacità di rappresaglia condizionata' per le due parti. La parte che intendesse attaccare potrebbe portare avanti solo le sue componenti mobili e capaci di offendere. Il difensore d'altra parte potrebbe anche utilizzare le sue forze locali, come le unità di fanteria avanzata e le unità di arresto così come anche i sistemi di interdizione ravvicinata.

In questo tipo di combattimento l'attaccante perderebbe un considerevole numero delle proprie componenti mobili. Questo ovviamente muterebbe il rapporto di forze delle rimanenti unità mobili a proprio sfavore. Da ciò ne deriva che - a causa di un precedente attacco dall'altra parte - i contrattacchi in profondità diventano una possibile opzione per il difensore.

A causa di questa capacità di rappresaglia condizionata gli Stati maggiori delle due parti dovrebbero informare i loro politici di un'altra possibilità. Non ci sono problemi con il ruolo difensivo, ma se noi facessimo l'errore di attaccare, allora questo potrebbe alla fine provocare la nostra completa sconfitta.

Proprio questo è il punto, cioè che il livello massimo di stabilità in una situazione di crisi viene raggiunto quando ognuna delle alleanze militari vedrebbe diminuite sostanzialmente le proprie capacità di successo qualora assumesse il ruolo di attaccante. L'ottenimento di questa condizione dovrebbe essere l'obiettivo principale di una responsabile politica di sicurezza e di difesa europea. In queste condizioni ambedue le parti cercherebbero in un conflitto di mantenere il ruolo di difensore e questo significa che nessuna delle due parti attaccherebbe.

Questa situazione rappresenta volutamente l'esatto contrario di quella esistente prima della prima guerra mondiale, quando le dinamiche di crescita della crisi sopraffecero tutti i tentativi di gestione politica della crisi. Sfortunatamente i piani di modernizzazione della NATO e del Patto di Varsavia elaborati fino ad oggi danno troppo poco spazio a queste considerazioni teoriche sulla stabilità.

Riassumendo, la mia tesi afferma che:

- l'affermarsi di una stabilità convenzionale in Europa negli anni '90 è necessaria e possibile, gli attuali piani di modernizzazione della NATO e del Patto sono concettualmente insufficienti;

- è necessario integrare il controllo degli armamenti e le politiche di modernizzazione in una maniera tale che a) le capacità di difesa avanzata, b) la stabilità in situazioni di crisi, e c) le opportunità per futuri sviluppi del controllo degli armamenti vengano contemporaneamente migliorate.

In questo modo potrebbe essere creato l''hardware' militare per una seconda fase della distensione. Contrariamente alla prima fase, non verrebbero solo migliorate le relazioni politiche, ma verrebbe anche ridotto il potenziale della minaccia militare. Questo, a sua volta, potrebbe togliere valore alle argomentazioni dei 'falchi' delle due parti e così rendere il processo di distensione meno vulnerabile e, si spera, irreversibile.

6. Sulla difesa della soglia di Gorizia

Questo paragrafo non si propone di dare una risposta complessiva al problema della modernizzazione delle forze armate italiane. Mi è stato chiesto dagli organizzatori della ricerca di delineare quanto le nostre ricerche sull'ottimizzazione della modernizzazione delle forze terrestri tedesche può essere applicata anche alla difesa della regione nord-est dell'Italia. Di seguito vengono presentate alcune considerazioni molto preliminari. Esse non dovrebbero essere considerate come raccomandazioni competenti ma come riflessioni sparse che, nel migliore dei casi, potrebbero stimolare il dibattito in Italia.

La prima questione è quale ruolo può giocare la difesa italiana nel contesto della politica di difesa europea. Da un punto di vista europeo ha molto senso una relativa specializzazione e la realizzazione di una certa divisione dei compiti nella politica estera ed in quella di sicurezza. Ovviamente l'Italia è più adatta a gestire la situazione nel Mediterraneo e specialmente di definire la nostra politica nel vicino oriente. Relativamente alla parte militare di questa specializzazione ciò significa che il maggiore impegno riguarda la marina e l'aeronautica, e questo per altro corrisponde anche bene al compito italiano di difendere le lunghe linee costiere.

Da queste priorità generali così come dalla vantaggiosa situazione geografica dell'Italia del nord, ne consegue che la difesa territoriale e l'esercito che stanno nel nord Italia hanno un ruolo un po' più limitato. Ciononostante è un compito importante difendere in modo credibile ed intelligente la regione a nord-est.

Confrontato con l'esercito tedesco quello italiano gode di circostanze favorevoli. Ovviamente è un imperativo fermare le forze che abbiano intenzione di introdursi in Italia mentre cercano di attraversare la soglia di Gorizia, cioè prima che possano dilagare nella pianura tra l'Adriatico e le Alpi. Ma guardando alla attuale struttura delle forze uno si domanda come si preveda di raggiungere questo obiettivo. Gli attuali arsenali sono principalmente caratterizzati da una forte enfasi sull'artiglieria a lungo raggio e in generale sulle tradizionali forze corazzate. Ma l'efficienza difensiva di queste forze è molto discutibile. In primo luogo, si deve considerare che le forze del Patto hanno una superiorità numerica enorme per quanto riguarda l'artiglieria. Quindi è molto discutibile pensare di dare vita ad una rincorsa in questo specifico campo. In secondo luogo, la regione di Gorizia è densamente popolata e se le due parti dovessero lanciare in quella regione tutte quelle munizioni d'artiglieria, alla fine si

avrebbe un deserto che renderebbe poco sensata la considerazione di chi ha vinto e di chi ha perso.

Se noi prendiamo in considerazione gli attuali piani per la modernizzazione di queste difese non c'è da diventare più ottimisti. L'Italia sembra orientarsi a sviluppare un proprio carro armato, molto simile al 'Leopard 1'. Relativamente alle munizioni guidate di precisione, sta producendo una versione su licenza del missile 'Milan'. Ambedue i programmi sono discutibili. Ha veramente senso l'impegnarsi in uno sviluppo molto costoso di un nuovo carro armato, se è già obsoleto fin dall'inizio? E' molto più economico ed anche migliore comprare questi carri armati da produttori stranieri - e invece sviluppare qualcosa che è veramente nuovo e quindi può essere venduto anche ad altri paesi. L'Italia, per esempio, produce elicotteri molto buoni e quindi, bisognerebbe considerare la possibilità di comprare carri armati e vendere elicotteri anticarro.

Solo in questa maniera tutti possono produrre di più quanto hanno sviluppato, riducendo così i costi unitari - e tutti ricevere un equipaggiamento migliore rispetto alla situazione in cui ognuno cerca di svilupparsi in tutti i campi.

Relativamente al missile 'Milan' bisogna sottolineare che la versione esistente di questo missile non è molto adatta alle missioni del teatro nord-est. Il principale svantaggio della versione attuale è che la persona che spara il missile scopre la propria posizione, e in questo modo attrae immediatamente il fuoco concentrato del nemico.

Non ci si dovrebbe dimenticare anche delle enormi capacità del Patto di produrre nebbia artificiale. Ciò rende le munizioni guidate di precisione attuali abbastanza impotenti. Ma se uno ha perlomeno il vantaggio di sapere molto precisamente dove il nemico deve passare, come nel caso della soglia di Gorizia, allora un'altra versione del 'Milan', il cosiddetto 'Milan Tower', potrebbe fornire migliori prestazioni. In questo caso il soldato ha la propria postazione a venti-cinquanta metri di distanza dal proiettile guidato di precisione, e lo spararlo non lo pone più nelle condizioni di scoprirsi e quindi non gli chiede più di avere la mentalità del kamikaze.

Ma tutti questi argomenti sono dei consigli minori rispetto all'argomento principale che voglio sostenere. Credo che una difesa basata sulle forze tradizionali terrestri e con una forte enfasi sull'artiglieria sia molto improduttiva per quella regione. Probabilmente questo modo di combattere ha una lunga tradizione in Italia, che affonda le radici nelle guerre combattute in Africa. Ma applicata oggi alla regione nord-est questa maniera di combattere porta a distruggere principalmente le proprie infrastrutture civili - mentre le uniche cose che sono abbastanza ben protette contro questo tipo di potenza di fuoco sono le unità pesanti corazzate dell'attaccante.

Quindi io proporrei di concentrarsi molto di più sul munizionamento passivo moderno e sul fuoco indiretto di precisione come descritto sopra. La mia lista della spesa per la difesa nella regione nord-est potrebbe essere la seguente.

- Una rete di sensori di circa duecento chilometri quadrati collocati con precisione nei punti cruciali della regione; ciò significherebbe che ogni veicolo che cercasse di introdursi dovrebbe perlomeno passare sopra questi meccanismi di rivelamento dalle cinque alle sette volte, diventando così perlomeno dalle cinque alle sette volte un bersaglio per il fuoco di precisione basato sulla identificazione in tempo reale. I costi per una rete di questo tipo e per l'equipaggiamento del supporto logistico dovrebbero arrivare a circa 20 milioni di dollari.

- Diecimila mine mobili ('fire balls') da lanciare sulla base delle informazioni raccolte dalla rete di sensori. Assieme ai lanciatori questa componente costerebbe circa 55 milioni di dollari.

- Altre munizioni passive intelligenti (mine direzionali, mine saltanti, campi minati comunicanti, ecc.) per 25 milioni di dollari.

- Infine duemila aerei di sorveglianza ed attacco senza pilota guidati con fibre ottiche, che dovrebbero costare circa 50 milioni di dollari.

Ovviamente queste sono solo delle stime, ma esse danno una prima idea di quello che si potrebbe fare con una cifra dai 150 ai 300 milioni di dollari (considerando che i prezzi generalmente raddoppiano nel corso del processo di acquisizione dei prodotti) per un miglioramento a livello dello stato dell'arte della difesa della regione nord-est.

Deve essere sottolineato che questi sistemi non dovrebbero sostituire completamente gli altri, ma essere combinati con le esistenti componenti mobili modernizzate, le quali in questa nuova situazione non dovrebbero confrontarsi più con il pieno dispiegarsi dell'attacco, ma funzionerebbero come una specie di forza di rapido impiego interno.

Al momento di ingaggiare battaglia queste forze di terra sarebbero fresche e preparate e posizionate nel modo migliore, mentre l'avversario avrebbe sofferto già delle severe perdite (25-50%) e le forze del Patto che continuassero a penetrare dovrebbero passare delle terribili ore attraverso la zona di interdizione ravvicinata.

Sintetizzando io direi che l'attuale piano di modernizzazione della difesa della soglia di Gorizia potrebbe essere migliorato in modo definitivo. Esso si basa infatti sulla tecnologia degli anni '60 e sulle dottrine degli anni '40.

C'è molto bisogno di portare avanti un' analisi comparata di cosa potrebbe essere guadagnato spendendo la stessa somma di denaro per le tecnologie di oggi e pensando poi di applicare tattiche e dottrine compatibili con queste tecnologie. Dato che l'Italia negli ultimi anni ha raggiunto una posizione abbastanza avanzata nell'elettronica, ci si dovrebbe chiedere se questa posizione avanzata non dovrebbe essere sfruttata in modo più creativo anche per obiettivi di difesa.

A mio parere, attraverso una intelligente modernizzazione, l'efficienza difensiva delle forze di terra italiane nella regione nord-est potrebbe essere incrementata di un fattore dal 2,5 al 3,5, aumentando allo stesso tempo la stabilità in situazioni di crisi e le possibilità di controllo degli armamenti.

Ma nessuno dovrebbe fidarsi ciecamente di queste valutazioni, bisognerebbe invece applicare le tecniche abbastanza affidabili della simulazione su computer del campo di battaglia e vedere cosa ne viene fuori. Il denaro necessario per queste analisi ammonterebbe a meno di un millesimo degli investimenti in questione. Ovviamente sia l'apparato militare che l'industria sviluppano un'enorme capacità di inerzia e una conseguente non volontà di cambiare una volta acquisiti alcuni modi di agire e di pensare. Quindi è responsabilità del potere politico assicurare che il paese e chi paga le tasse riceva una difesa allo stato dell'arte.

Oggi esiste una possibilità di utilizzare l'innovazione tecnologica per un drammatico miglioramento delle difese convenzionali, che al tempo stesso siano compatibili con una politica generale di sicurezza europea centrata su una seconda realistica distensione. L'Italia dovrebbe usare il prossimo periodo della propria modernizzazione militare per partecipare a questo processo di sviluppo di una nuova sicurezza integrata e di una nuova sicurezza per l'Europa.

NOTE

1. Per il significato di questo termine, cfr. nota 2, cap. 4.

2. Nel 1957 un piccolo gruppo di scienziati provenienti sia dall'est che dall'ovest si riunirono in un villaggio della Nuova Scozia, in Canada. Scopo dell'incontro era lanciare un programma d'azione che facesse proprio lo spirito del Manifesto Russell-Einstein del 1955, dove si invitava la comunità scientifica mondiale a prendere coscienza dei pericoli sorti dallo sviluppo delle armi di distruzione di massa. Il nome del villaggio canadese era appunto Pugwash. Da allora il Movimento Pugwash ha istituzionalizzato gli incontri sui problemi della pace e del disarmo, contando su una partecipazione via via più vasta e qualificata. Dal 1988 il segretario generale delle 'Pugwash Conferences on Science and World Affairs' è il fisico italiano Francesco Calogero (nota del curatore).

3. Fatto proprio dal Consiglio atlantico nel dicembre 1967, il Rapporto Harmel (dal nome del ministro degli Esteri belga di allora) afferma che la sicurezza militare e la politica di distensione con l'est sono per la NATO due funzioni complementari (nota del curatore).

4. Col termine 'Follow-On Forces Attack' (FOFA) si indica l'attacco alle forze di seconda schiera del Patto di Varsavia o, più in generale e come l'autore ricorda poco più in là nel testo, l'interdizione in profondità. La NATO si è impegnata a dotarsi dei mezzi necessari per tradurre in pratica il concetto di FOFA (nota del curatore).

5. Letteralmente: capacità strutturale di non-attacco. Si può anche rendere in italiano con: incapacità strutturale d'attacco (nota del curatore).

 
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