Maurizio Griffo(testo non ancora pubblicato)
L'8 gennaio 1988, intervenendo su "La Stampa", Ernesto Galli della Loggia attribuiva le difficoltà del partito radicale ad un'evoluzione della società italiana diversa da quella prevista. Negli anni '70, egli argomentava, cominciò ad emergere "una nuova soggettività, stava nascendo un nuovo italiano dai connotati moderni". I radicali avrebbero scommesso proprio sull'evoluzione dirompente di questa soggettività nei confronti del sistema politico". L'ideologia ribellistico-assembleare allora in voga non sarebbe durata, sarebbe stata presto sostituita da "una concezione forte ed esigente di democrazia liberal-laburista a dar voce e spazio alla quale.....avrebbe pensato lo strumento del referendum".
Le cose sono andate diversamente. La nuova soggettività ha preso strade meno dirompenti di quelle previste dai radicali. Questi, però, incapaci di aggiornarsi, sono rimasti a parlare un linguaggio enfatico adatto agli anni '70, ma del tutto fuori tono oggi. Incapace di crescere per forza propria, nell'Italia termidoriana dei tardi anni '80, "il Pr ha deciso, allora, di darsi alla politica". Puntando le proprie carte su Craxi. Un calcolo solo in parte giusto, perché minato da una contraddizione decisiva: "voler rappresentare un ruolo schiettamente democratico - e perciò anzitutto antipartitocratico - entro il quadro della partitocrazia e per giunta con un interlocutore di quella fatta" (1).
Questa lettura dei fatti è soggettiva e non priva di elementi interessanti. Tuttavia essa smarrisce, diluendolo in un quadro di analisi sociale, il carattere proprio dell'azione radicale. Un carattere percepibile, invece, da un punto di vista strettamente politico, o, se si vuole, di politique politicienne. In altri termini i radicali hanno sempre perseguito un obiettivo politico di fondo, e rispetto a quel fine hanno di volta a volta utilizzato gli strumenti a loro disposizione: sommovimenti sociali e contraddizioni partitocratiche compresi.
Questo aspetto è stato invece colto - ci sembra - da Orazio Petracca sul "Corriere della Sera". Il disegno politico dei radicali si fonda, scrive Petracca, "sull'idea che la società italiana sia ormai abbastanza matura, in termini di acculturazione democratica, da potersi permettere un sistema politico di alternanza destra-sinistra, uscendo finalmente dal recinto della "democrazia minaccista".... E con l'obiettivo specifico, per i radicali, di favorire così la formazione di una "grande sinistra" - capace cioè di raccogliere in sè tutte le forze di questa area - che, invece di essere dominata dai canoni ideologici veteromarxisti, fosse al contrario permeata di cultura "laica", diciamo più esattamente liberaldemocratica".
"A differenza di tutti gli altri leader del mondo laico tradizionale - continua Petracca -, Pannella si è sempre proposto, come traguardo, non semplicemente l'unità delle forze laiche - se non, magari, come obiettivo intermedio - ma invece l'unità laica delle forze di sinistra. E il suo merito storico, da questo punto di vista, è di aver dimostrato che non si può essere del tutto di sinistra senza essere prima di tutto liberali" (2).
Petracca coglie, assai lucidamente, il contenuto tutto politico dell'azione radicale, rivolta ad un fine di riforma del sistema politico stesso. Nelle pagine seguenti proprio di questo nocciolo duro della politica radicale si cercherà di dar conto in maniera certo sommaria e tuttavia, si spera, fedele.
Prima di addentrarsi nella narrazione sarà opportuno, però, tentare di definire meglio quello che definiamo nocciolo duro. Anche qui a titolo esemplificativo è utile riportare due giudizi, scritti in circostanze e con finalità diverse, ma singolarmente convergenti.
Intervenendo, nel settembre 1986, nel dibattito precongressuale, così Angelo Panebianco sintentizzava l'azione radicale dell'ultimo periodo: "Una nuova stagione politica è iniziata da quando il Partito radicale, con i suoi pronunciamenti e ancor più con le sue scelte .... ha inaugurato una strategia tesa, come sbocco finale, alla unificazione-trasformazione del mondo laico italiano.
Se ripercorriamo le tappe precedenti possiamo vedere che la "nuova" strategia radicale si alimenta in una diversa veste (una veste che colloca per certi aspetti il Pr, come ha notato il sen. Strik Lievers, un una posizione non troppo dissimile da quella del Pr degli anni '50) dagli obiettivi di sempre: il superamento del sistema partitocratico postbellico e la sua sostituzione con un'autentica democrazia parlamentare".
E' una posizione - "con moltissime analogie con la posizione radicale degli anni '50 ma anche, va detto con molte differenze" - che Panebianco definisce terzaforzista, perché propria di "quella componente del mondo laico che mai si rassegnò all'idea di una permanente subalternità dei valori laici, che mai rinunciò ad inseguire il miraggio della grande forza laica" (3).
In tutt'altro contesto, Paolo Bonetti ha così, recentemente, sintetizzato la posizione dei radicali negli anni '50: "la strategia del centro-sinistra, così come il "Mondo" la venne elaborando, comportava il distacco fra socialisti e comunisti e la progressiva espansione dei primi a danno dei secondi ... Il distacco dei socialisti dai comunisti non doveva servire come alibi per un'operazione neocentrista ... ma doveva, piuttosto, essere la premessa per la costituzione di un solido polo di attrazione per tutte quelle forze che rifiutavano contemporanea-
mente il "centrismo" democristiano e il "frontismo" comunista ... La sinistra democratica era quindi, per questi radicali, impegnata su due fronti, in due paralleli tentativi di "riduzione", quello dell'egemonia democristiana sugli strati piccolo e medio-borghesi e quello dell'egemonia comunista sulla classe operaia e sui contadini" (4).
La citazione di Panebianco e quella di Bonetti ci riportano a capire quanto mutò nel partito in quella vera e propria rifondazione che avvenne tra il 1962 ed il 1963, separando il radicalismo del "Mondo" di Pannunzio da quello di Pannella. In ogni trapasso, si sa, si accoppiano elementi di continuità e di mutamento. Vedremo ora alcuni aspetti di continuità e di rottura solitamente trascurati dai commentatori attenti, troppo spesso, alla superficie e non alla sostanza del problema.
Il primo partito radicale, nato nel dicembre del 1955, era un gruppo di persone raccolto attorno ad un settimanale, "Il Mondo", che, senza darsi un'organizzazione capillare e anzi con un apparato quasi inesistente, tentavano di modificare il quadro politico attraverso campagne e convegni dedicati a singoli problemi. Una lobby democratica, che di volta in volta concentrava la propria attenzione su di uno specifico tema.
Queste stesse caratteristiche - scarsa struttura organizzativa e campagne su singoli temi - si ritrovano anche nel nuovo partito radicale, con l'obiettivo però di mutare gli equilibri politici ed i rapporti di forza.
Le differenze innegabili - e, d'altra parte, i "nuovi" radicali non hanno mai preteso di rappresentare in toto l'eredità del vecchio partito (5) - sono il portato di un diverso clima politico sociale. Da un punto di vista, per così dire, formale si ha il vistoso abbandono di una certa compostezza o di "fair play"; da un punto di vista dei contenuti, la poca attenzione diretta ai temi dell'economia e dell'intervento statale: almeno in apparenza.
Secondo lo studioso di cose politiche Ostrogorski in un regime a suffragio universale, per essere strumenti di democrazia e non veicolo di interessi oligarchici, i partiti debbono impostare la loro iniziativa volta a volta sui singoli problemi. Nel partito a single issue (come viene definito questo tipo di partito) la legittimazione va cercata nel rapporto con l'opinione pubblica; questa concede (o rifiuta) il proprio consenso sulla base dell'adesione alla battaglia proposta. In tale schema l'apparato del partito elemento di inerzia tendente ad una diluizione dei fini del partito, viene messo al servizio della campagna prescelta e diventa funzionale ai desideri dell'opinione pubblica, senza però manipolarla.
Questo modello si contrappone al partito "apparato", quello che penetra la società in ogni suo ganglio per orientarla e indirizzarla in ogni stadio della vita istituzionale, dai consigli di quartiere fino al Parlamento, secondo una visione organicistica e consociativa.
Una concezione, e non è questo forse il fatto di minor interesse, capace di inverare, per quanto possibile il principio, conforme ai tempi, della sovranità popolare. Facendone non un principio astratto, o un mito giacobino, ma un robusto ed utile espediente empirico (6).
Un elemento di rottura è dato, invece, dalla diversa composizione del gruppo dirigente del partito.
Il vecchio partito radicale era diretto da un gruppo composito, che assortiva notabili della politica (...Villabruna, Nicolò Carandini) e giornalisti e scrittori (Mario Pannunzio, Ernesto Rossi). Pur con parecchi tratti in comune queste persone non esprimevano una comune solidarietà di tipo fideistico, come è nei partiti di apparato. Lo sfaldamento del loro partito, accaduto su una vicenda in cui si metteva in discussione la qualità democratica di un membro del gruppo, oltre a mascherare certi contrasti politici, rivelò anche una assenza di compattezza fra i dirigenti che era propria di una certa cultura e di un modo di intendere la politica.
Il gruppo dirigente del nuovo partito si caratterizzò da subito, invece, come un gruppo particolarmente compatto. Questa caratteristica aiuta a spiegare come la vicenda radicale abbia da allora potuto svolgersi per molti anni in condizioni, non solo di assoluta minoranza e di totale isolamento, ma di lontananza da tutti i centri del potere.
La coesione del gruppo dirigente si è mantenuta anche in seguito, favorita da un sistema di crescita e di rinnovamento selettivo e omogeneo. Gli innesti sul tronco originario sono avvenuti, infatti, sempre su base individuale, mai collettiva, e con omogeneità di aree di reclutamento. Molti dei sopravvenuti non avevano nessuna significativa precedente esperienza politica alle spalle (Cicciomessere, Bonino, Faccio, Aglietta) o erano "quadri" di federazioni giovanili di partiti laici (Negri, Corleone, Calderisi, Rippa). Questa caratteristica ha consentito al partito determinazione e slancio militante nel perseguimento della linea politica di colta in volta scelta.
Il nuovo partito si rifonda come opposizione al centro-sinistra, alleanza DC-PSI di cui subito si individuano e denunciano i limiti strutturali, quelli che avrebbero impedito alla formula di governo escogitata da Moro e Nenni un'azione riformatrice di ampio respiro: In tale posizione e se non altro per necessità di schieramento c'era il rischio, data anche l'esiguità delle forze del partito, di venir risucchiati in una posizione subalterna al partito comunista, anch'esso strenuo oppositore del centro sinistra. Occorreva invece, essi pensavano, una politica di ampio respiro, capace di segnare la strada per un lungo arco di tempo alle forze di una sinistra moderna che avrebbe presto preso il posto di quella ereditata dalla lotta antifascista e dalla tradizione partitica del Paese.
Il partito, ridotto ad un gruppo di poche persone, si dota di uno strumento agile di intervento, l"Agenzia radicale", quotidiana, con cui tallonare l'attualità e far risaltare vizi e contraddizioni della politica del centro-sinistra. Attraverso questo lavoro paziente e minuto (che dura per un paio di anni) si mette man mano a fuoco una linea politica capace di dare avvio al progetto di rinnovamento del quadro politico e di riequilibrio della sinistra. L'analisi all'inizio è in chiave negativa. Appare da subito che dare forza alle domande di libertà e di civiltà che vengono da una società in improvviso (e impensato) sviluppo non è possibile fa leva sulle riforme economiche, che avrebbero dovuto essere impostate e gestite, peraltro, assieme alla DC. Così i radicali evitarono l'errore di Lombardi e del PSI del centrosinistra.
In questi anni di ricerca e di sperimentazione - e di rafforzamento di intensi legami personali e generazionali - si viene progressivamente delineando la strada dei diritti civili.
In un Paese come l'Italia dei primi anni '60 con strutture a metà clericali e a metà marxiste, populista e illiberale nella sua classe dirigente, impostare una politica sui diritti civili significa (ma di questo ci si accorgerà solo dopo) gettare sulla bilancia un peso imprevisto, esigendo rivendicazioni che in contesti più equilibrati sarebbero apparse elementari scelte di civiltà. Al tempo stesso, la sinistra e alla laicizzazione della vita politica, la lotta per i diritti civili è una riproposizione attualissima del monito, che fu di Benjamin Constant, sull'indissolubilità delle due facce del problema civile, quella delle libertà e quella propriamente politica. Non si può avere libertà politica senza libertà civili e non si danno, alla lunga, reali diritti civili senza ampie e consolidate libertà politiche.
Questa linea politica attacca frontalmente il sistema di potere democristiano; ma consente anche recupero di scelte laiche e "secolari" a sinistra. Lo scontro politico viene a essere spostato dal terreno della "mitologia" operaista e rivoluzionaria (e/o della pratica sottogovernativa) a quello dei grandi temi ideali, delle opzioni di fondo. Alle forze laiche e socialiste viene infine offerta una possibilità di iniziativa e di confronto politico ad ampio respiro, che la collaborazione governativa sembrava orami precludere loro. Il partito comunista al contrario, viene messo alle corde, perché viene rivelato il suo carattere di partito "antisistema", poco o nulla sensibile in materia di libertà individuali, inadatto a proporsi come forza di governo in una società occidentale, democratica.
Il delinearsi sempre della politica dei diritti civili. Il crescere di una prima organizzazione capace di raggruppare migliaia di cittadini (la lega italiana per il divorzio, Lid), la consapevolezza che il progressivo estenuarsi della politica di centro-sinistra apre nuovi margini di manovra, tutto ciò rende necessario un salto di qualità anche nelle strutture del partito.
Al congresso di ridefinizione statutaria di Bologna (maggio 1967) il partito, finita la traversata nel deserto, comincia ad avere una sua vita anche formale, scandita puntualmente dai congressi ordinari annuali, e dai molti congressi straordinari.
Il terzo congresso di Bologna rilancia il partito sul piano statutario e organizzativo; il quarto, quello di Firenze, è il primo dei congressi autunnali a data fissa; esso produce, nella mozione, un'analisi politica complessiva che indica le linee di fondo dell'azione anche se poi è solo con la tenace iniziativa militante quotidiana che gli obiettivi cominciano a prendere forma.
In particolare, la lotta per l'introduzione del divorzio conosce significativi successi. Essa fa perno sulla Lid che, forte di un consistente numero di adesioni in tutta Italia, costituisce una lobby democratica in grado di far avanzare con tenacia, passo per passo, il disegno di legge presentato in parlamento dal deputato socialista Loris Fortuna, nel lungo iter, parlamentare ma anche politico. Ma, dietro la Lid, essenziale è la vigile e instancabile azione del partito radicale, vera e propria task force operativa della lobby del divorzio.
Tra il '67 ed il '70 nasce nelle Università e poi nelle fabbriche la cosiddetta contestazione, movimento che sul piano politico produrrà vuoto massimalismo e un'ideologizzazione esasperata. I radicali non cadono nella tentazione contestativa, operaistica, ribellistica. Consapevoli che uno scontro frontale e decisivo contro il "sistema" non ha senso, continuano a perseguire, anche attraverso conquiste parziali, un autentico processo riformatore.
Nell'imminenza delle elezioni regionali del giugno 1970, è convocato il VII congresso, un congresso straordinario. Viene decisa la non partecipazione alle elezioni, vista la utilizzazione esclusiva della Rai da parte dei partiti già presenti in Parlamento, che configura una vera e propria delegittimazione delle elezioni sul piano della democrazia. Al tempo stesso, però, si dà mandato agli organi dirigenti del partito - viste le responsabilità e l'impegno ......... assunti dal partito socialista, di cui è segretario l'on. Giacomo Mancini, in materia di diritti civili e di divorzio - di iniziare trattative con il Psi per contrattare un'indicazione elettorale a suo favore in cambio di ulteriori garanzie per l'approvazione della legge sul divorzio. Come poi avverrà. L'azione radicale non resta astratta proclamazione di principi, ma ricerca ostinata di concreti margini di iniziativa.
La vittoria sul divorzio, che è approvato definitivamente dal parlamento nel novembre 1970 (anche grazie ad un pesante digiuno radicale) non è per i radicali un punto di arrivo, ma un trampolino verso nuove iniziative.
Da tempo infatti i radicali lavorano sul fronte anticoncordatario. E' nata una'organizzazione ad hoc, la Liac (lega italiana per l'Abrogazione del Concordato) cui hanno aderito oltre 60 parlamentari di vari partiti. Dopo il divorzio, sembra infatti sia l'ora del Concordato, della sua approvazione. Invece, dopo un'inizio promettente, l'iniziativa ristagna e la lotta non riesce a incardinarsi su binari sicuri. La battuta d'arresto apre una grave crisi nel partito radicale. Si tratta di una caratteristica ricorrente nella vita del partito, e non solo in questi anni: raggiunto un obiettivo, anche prestigioso, occorre rilanciare l'iniziativa pena la dispersione e il fallimento. L'uscita dall'impasse viene ricercata, anzitutto, con il rilancio organizzativo. Un rilancio, però, non interno ma rivolto all'esterno. Viene lanciata la sfida a raggiungere, per il congresso di novembre, mille iscritti. E' una richiesta di impegno rivolta a chi ha appoggiato dal di fuori le lotte radicali ed ora viene chiamato ad un più
di responsabilità. L'appello è rivolto così, anzitutto, ad esponenti e quadri di altre forze politiche, ad uomini di cultura e di passioni democratiche e civili. Si vuole prefigurare, nel microcosmo radicale, quel partito laico che è l'emblema, l'obiettivo di fondo, di un'intiera stagione politica.
La sfida risulta vincente. Al congresso di Torino (novembre 1972) il partito arriva con un numero di iscritti che supera, sia pure di poco, l'obiettivo fissato. Accanto a questo, il rilancio è anche sul piano dell'iniziativa politica. Fallita la mobilitazione sul concordato si individuano nuovi obiettivi, entra in una fase calda la lotta per l'obiezione di coscienza, che culminerà di là a poco con un digiuno e infine l'approvazione della legge che introduce in Italia l'obiezione di coscienza.
Non meno rigorosa è l'individuazione dei nuovi obiettivi di lotta. Da una parte, con estrema decisione, si dice subito sì (X congresso) al referendum abrogativo del divorzio promosso dai cattolici. Una posizione che i radicali manterranno e difenderanno a lungo in una lungimirante solitudine. L'XI congresso, poi delibera una campagna per il lancio di una serie di referendum popolari sui temi di libertà e di diritti civili riassuntivi di molte delle iniziative intraprese negli anni precedenti (Concordato, norme autoritarie, depenalizzazione dell'aborto, codici e tribunali militari, depenalizzazione delle non droghe, leggi clericali, leggi incostituzionali sulla stampa). Seguono anni di lotta e di travaglio, fecondi, positivi. Sul fronte del divorzio l'iniziativa radicale riesce a battere in breccia i tentativi compromissori messi in atto da varie parti per evitare il referendum, innanzitutto facendo liquidare il progetto di legge promosso dalla senatrice (della sinistra indipendente) Tullia Carettoni che punt
ava a introdurre sostanziali modifiche alla legge Fortuna, nel senso voluto dai cattolici.
Non decolla, invece, la campagna per i referendum radicali. I gruppi della nuova sinistra che avevano assicurato il loro appoggio all'iniziativa si rivelano incapaci di offrire il necessario supporto operativo, e soprattutto di credere in un progetto che si affida alle gente e non ai moti di una impossibile rivoluzione.
La netta vittoria del fronte divorzista nel referendum del 13 maggio 1984 arriva come clamorosa conferma delle tesi radicali. E' assicurata definitivamente al Paese una grande conquista di civiltà. Al tempo stesso, per la prima volta viene rivelato che l'oltranzismo clericale è minoranza, nel Paese. Questa data segna, in buona misura, la fine dell'egemonia democristiana, almeno fino agli attuali tentativi di ripresa demitiana.
Il successo del referendum segna però che una nuova crisi politica. Passata l'euforia del successo, ci si rende conto che è però fallita la campagna per i nuovi referendum, così, anche per la paura che ormai gli altri hanno per le iniziative vincenti dei radicali, gli spazi per l'iniziativa del P.R. sembrano chiudersi, e con essi la possibilità di dare vita al più ampio progetto sotteso a quella singola iniziativa. Marco Pannella nel tentativo di rompere il muro del silenzio, dà inizio a un drammatico digiuno nell'estate del 1974: un digiuno condotto per legittimare, al di là dei suoi obiettivi minimi e visibili, il partito radicale come forza politica a livello nazionale, e durato 75 giorni. Insomma, alla fine, il referendum sul divorzio diventa l'acceleratore del progetto politico radicale. La mozione del XIV congresso (Milano novembre 1974) fissa l'obiettivo di far raggiungere il 20% del suffragio elettorale alla componente socialista e libertaria della sinistra, in pratica, la sinistra escluso il PCI, in
quanto questa viene individuata come la soglia minima per potersi candidare a forza di governo credibile, non subalterna al partito comunista. Si precisa così, anche in termini numerici, il vecchio, tenace disegno radicale di rinnovamento e di laicizzazione della sinistra attorno ad una grande forza socialista. La necessità di accelerare i tempi è confermata anche da successivi sviluppi politici.
Il 1975 si incentra, soprattutto, sulla campagna per la depenalizzazione dell'aborto. Campagna di disobbedienza civile, arresti di militanti, una raccolta di firme per sostenere il referendum formano un crescendo di iniziative che scuote l'attenzione dell'opinione pubblica. Finalmente con i socialisti, nel corso della primavera, si registra una significativa convergenza sul referendum, che consente di raggiungere il minimo delle firme che la legge fissa perché esso sia indetto. Il favore incontrato dalla campagna per la depenalizzazione dell'aborto rivela però che è ormai necessario un salto qualitativo nell'iniziativa radicale. Nell'autunno del 1975 nascono serie polemiche con esponenti socialisti, sui contenuti della legge sull'aborto. Sono sintomi di una situazione poco propizia. Un altro sintomo, ancora più chiaro, è la decisione accettata tranquillamente da tutti i partiti di andare ad elezioni anticipate nella primavera del '76, proprio per non tenere il referendum che (ormai si avverte nell'aria) avre
bbe offerto, con ogni evidenza, una replica amplificata del 13 maggio '74. I radicali, a questo punto, non hanno alternativa: debbono accettare la sfida, presentarsi in prima persona alle elezioni. La strada per la rifondazione dell'area socialista passa ora anche per il parlamento.
La campagna elettorale del 1976, segnata da drammatici digiuni per ottenere quegli spazi televisivi senza i quali, nella società moderna, non si realizza il diritto all'informazione, si chiude con la conquista di quattro seggi alla camera. Il "quorum" elettorale è raggiunto a Roma dove, significativamente, comincia ad essere attiva un'emittente radio gestita da radicali. Nel dopo- elezioni la situazione politica si evolve in maniera ancor più favorevole ai radicali.
Il partito comunista registra, in questa occasione, un notevole successo, mentre i socialisti calano paurosamente, rischiando anzi di scomparire come forza a livello nazionale. Questo risultato consente di avviare la cosiddetta politica di unità nazionale, con il PCI di fatto nella maggioranza parlamentare. Il partito radicale si trova da solo, o quasi, a contrastare queste scelte, e viene a collocarsi in una posizione che naturalmente è assai vantaggiosa; anche perché il PSI, il quale dopo la sconfitta ha cambiato leadership dando spazio ai quarantenni guidati da Craxi, attraversa un periodo di assestamento, e stretto com'è tra PCI e DC, non può certo sottrarsi e responsabilità di governo restando limitato nella sua azione e nel suo tentativo di acquistare più indipendenza e più peso.
Con il suo ostruzionismo, gli affollati convegni in difesa dei referendum, la prima mobilitazione realizzata in Italia contro il nucleare, con le innumerevoli iniziative quotidiane dentro e fuori la Camera il gruppo parlamentare radicale diventa un punto di riferimento visibile per l'opinione pubblica. Così si riesce a mandare in porto la campagna per gli otto referendum. La raccolta di firme della primavera del '77 offre possibilità di rifluire anche a livello istituzionale a moltissima opinione pubblica di sinistra che è contraria alla politica delle larghe intese tra DC e PCI, e cerca un contraltare pacifico ai fermenti del cosiddetto movimento del '77, che è una ripresa peggiorata del "movimento" del '68.
Prima del voto il pacchetto dei referendum viene falcidiato dalla Corte Costituzionale , il supremo organo giurisdizionale dello Stato, che mira a ridurlo in maniera utile per la maggioranza di governo. Cadono così i referendum sul Concordato, sul codice penale Rocco (che dura dall'epoca fascista) , sui codici e tribunali militari, i quali operano con norme largamente anticostituzionali. Il parlamento, poi, interviene a legiferare per evitare la consultazione sui regolamenti manicomiali e sulla Commissione Inquirente. I due referendum residui dovrebbero servire, nei piani del governo e della Corte, a isolare i radicali su temi impopolari e squalificanti: da un lato il referendum sulla legge Reale ,- per presentarli come utili idioti, se non alleati, del terrorismo - dall'altro la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, per bollarli come qualunquisti contrari alla democrazia dei partiti.
Se la maggioranza governativa riesce a liquidare gran parte dei referendum, la manovra di ghettizzazione dei radicali non riesce.
Soprattutto in tema di finanziamento dei partiti il pr si ritrova, da solo, a esprimere i veri sentimenti di una più che rilevante fetta dell'opinione pubblica (42%).
Nei mesi successivi la situazione evolve rapidamente. La politica di unità nazionale, logorata anche dal successo dei referendum, mostra la corda. La stagione della maggioranza allargata ai comunisti è al tramonto. Si annunciano nuove elezioni anticipate.
L'occasione sembra propizia per far avanzare ulteriormente la prospettiva della rifondazione socialista. I radicali si presentano alle elezioni con liste "omnibus", aperte a candidature prestigiose, ad esponenti della nuova sinistra, a comunisti e socialisti dissidenti, a indipendenti. Lo scopo è di ottenere un risultato che consenta di trattare da posizione di forza con il partito socialista e con le altre forze laiche, per avviare alla
fine la ridefinizione dell'area socialista e il suo riequilibrio a sinistra, è un disegno di impronta "mitterrandiana".
Il risultato che esce dalle urne - 3,4% alle politiche e 3,7% alle successive europee - per quanto lusinghiero rispetto alla precedente consultazione non è sufficiente al fine prospettato. Inoltre cominciano ad affiorare problemi di varia natura. La crescita elettorale crea nuove, inedite aspettative in un partito
ancora molto gracile. I partiti regionali cui, a norma dello statuto federativo, si è dato vita nel 1976, sono organizzazioni precarie, che somigliano solo vagamente a quelle di cui parlava lo statuto, intese più a conquistare potere che a promuovere le battaglie radicali.
La fine della politica di unità nazionale, d'altronde, fa venire meno la rendita di posizione di cui il P.R. ha goduto nella precedente legislatura, e apre spazi al "nuovo corso" socialista di un Craxi che ha ormai ultimato l'operazione di consolidamento interno, eliminando le varie opposizioni e correnti. Anche il gruppo parlamentare radicale, enormemente cresciuto e assai composito, non appare governabile. Insomma, la situazione si fa difficile, anche se tutto è mascherato dal successo elettorale.
La via di uscita che il gruppo dirigente radicale elabora è rivolta in varie direzioni. Da un lato viene riproposta l'iniziativa referendaria. E' lanciato un nuovo appello al Paese, per ottenere consensi verso uno schieramento riformatore che proponga nuovi temi all'opinione pubblica. Sul versante organizzativo si sceglie di realizzare un partito leggero, concentrato su poche iniziative importanti. Per questo si decide la non partecipazione alle elezioni regionali della primavera 1980 e, successivamente, il ridimensionamento e poi la scommessa dei cosiddetti partiti regionali. Per parte sua, Pannella lancia una iniziativa di grande respiro, che farà discutere molto , e a lungo: la Campagna contro lo sterminio per fame nel mondo.
Rispetto all'obiettivo fin qui propostosi (la rifondazione dell'aria laica e socialista) la scelta di Pannella può apparire una inspiegabile fuga in avanti. E tuttavia, anche a non voler considerare il fatto che la campagna contro lo sterminio parte prima delle elezioni del '79, non mancavano in essa motivi di incalzante attualità anche per ciò che riguarda i rapporti con le altre forze politiche. Il tema della fame offriva un momento di convergenza con i cattolici non sul piano del potere ma su quello dei valori: il rispetto della vita, il diritto alla vita. E sollecitava, inoltre, la riflessione sulla tradizionale politica estera occidentale: bisogna non lasciare all'Urss il monopolio dell'iniziativa verso i paesi in via di sviluppo.
Ma, anche comprendendo tutto questo, resta che la politica contro lo sterminio per fame ha rappresentato un momento di continuità/rottura nella storia radicale. I radicali cominciano ad avvertire che la dimensione nazionale non è sufficiente ad una politica all'altezza dei tempi. Urgono esigenze non più riassumibili nè gestibili in un quadro di tradizionale politica interna.
Col passare dei mesi, intanto, la situazione torna ad evolversi in maniera non favorevole ai radicali, Nel nuovo clima politico l'ostruzionismo parlamentare, o quello che appare tale, non incontra quasi più il favore dell'opinione pubblica, come accadeva nella precedente legislatura. Lo stesso discorso può valere per campagna per i dieci referendum finalmente lanciata dal partito. C'è un confuso disagio nei rapporti del P.R. con l'opinione pubblica: comincia, del resto, il "riflusso" rispetto all'impegno ideologico che ha caratterizzato gli anni precedenti: un fenomeno, peraltro, che è non solo italiano.
Di nuovo nel 1981, sui referendum si abbatte la mannaia della Corte costituzionale, stavolta riuscendo a tagliar via quelli più pericolosi e popolari: Centrali nucleari e caccia, fra gli altri, e riducendo il pacchetto a quasi nulla: depenalizzazione dell'aborto, norme speciali di polizia, porto d'armi, ergastolo
Si arriva al voto in una situazione difficile, segnata da una violentissima campagna denigratoria, diffamante, sul referendum che depenalizza l'aborto. E anche sui temi sui quali si riescono a coinvolgere le forze della sinistra, come la legge per l'abrogazione dell'ergastolo, l'iniziativa non decolla e resta priva di mordente.
A questo punto, dopo la inevitabile sconfitta dei referendum, la lotta contro lo sterminio per fame nel mondo diventa l'unica iniziativa del partito. Ed a questo punto la politica radicale registra un inasprimento dei toni nei confronti del partito socialista, con cui pure si erano registrate alcune significative convergenze ancora durante la campagna di indizione dei referendum, cioè nella primavera dell'anno precedente e, ancor più, in occasione della oscura vicenda del rapimento del magistrato D'Urso da parte delle brigate rosse (dicembre 1980). D'Urso era stato rilasciato nel gennaio successivo, e quel mese di tentativi per strappare alla morte l'uomo era stato denso di una campagna politica drammatica.
Dall'estate del 1981 alla primavera del 1983 l'iniziativa radicale ruota, per così dire, attorno a questi due poli: da un lato la polemica contro i socialisti; dall'altro una martellante iniziativa sul tema dello sterminio per fame. C'è una chiara intenzione di contrastare il definitivo consolidarsi della leadership di Craxi, visto come un pericoloso concorrente nella politica di rifondazione dell'area socialista. La lotta allo sterminio per fame, invece, per cui si cercano alleanze nel mondo cattolico, viene usata come cuneo per far passare attraverso di essa, ad un livello adeguato, più alto, i contenuti del progetto radicale. La difficile manovra, nonostante l'impegno profuso, non riesce e il partito vive una stagione di chiusura e di isolamento.
A ben guardare, però, le sue difficoltà nascono da un motivo di ordine più generale. La politica radicale era stata impostata, dal '76 in poi, su un'ipotesi precisa: una volta giunti in parlamento, cioè, la rifondazione dell'area socialista doveva avvenire in un arco di tempo ristretto, facendo leva su alcune campagne d'opinione. Il prolungarsi dei tempi determinava un inevitabile logoramento e moltiplicava e problemi e difficoltà.
Si arriva, in questo clima, alle elezioni anticipate del giugno 1983. La difficile situazione viene tamponata con la campagna per lo sciopero del voto, bilanciata però dal deposito delle liste, e con la candidatura del leader estremista Tony Negri, quale simbolo della lotta contro l'eccesso della carcerazione preventiva, una delle assurdità antidemocratiche e antiliberali che avevano costellato la politica restrittiva dei governi e dell'opposizione durante gli anni del terrorismo. La campagna viene affrontata con lo slogan: "Non andate a votare in queste elezioni antidemocratiche: ma se preferite votare, votate le liste radicali". Senza nulla concedere sul piano della critica a singoli atteggiamenti del partito socialista, si abbandonano i toni più esasperati. Si tenta così di ritrovare una stagione di reciproca attenzione, di sollecitazione della comune sensibilità: tutto il partito si adatta rapidamente, senza scosse, confermandosi così uno strumento agile, maneggevole e intelligente. Anche l'iniziativa su
llo sterminio viene riconvertita per quanto possibile e pur pagando un prezzo notevole, in questo tentativo di dialogo e di disponibilità.
Riparte l'iniziativa radicale, su altri terreni. I punti salienti di questo percorso sono ormai storia di ieri, ma è comunque utile ripercorrerli, in rapida successione.
Il presidente del consiglio, nel febbraio '84, impone una profonda revisione del sistema della scala mobile che, con i suoi automatismi, favorisce l'inflazione. Il decreto relativo è oggetto di durissime critiche e addirittura dell'ostruzionismo del partito comunista oltreché dei comunisti della CGIL. Dopo la conversione in legge i comunisti, per la prima volta nella loro storia, ricorrono al referendum abrogativo. Essi sperano di coagulare l'opinione pubblica contro un provvedimento che si pensa sia fortemente impopolare.
Mentre la campagna elettorale referendaria si apre senza che nessuno abbia idee chiare su come condurla, Pannella lancia una proposta: per nullificare il referendum e i suoi risultati perversi, la scelta migliore è l'ostruzionismo del voto. Com'è noto, la Costituzione prevede che il voto su i referendum è valido se si ottiene il quorum del 50% dei voti degli aventi diritto.
Cogliendo la valenza illiberale del referendum comunista, i radicali individuano il punto di scontro essenziale e il modo per neutralizzare il tentativo il tentativo massimalista, l'occasione per colpire anche la "rendita di posizione" di cui il pci ha sempre goduto e che ha gestito come un'opposizione irresponsabile.
La proposta di Pannella viene ripresa da Carniti, segretario della Cisl, e poi dallo stesso Craxi; non va però in porto per l'opposizione degli altri partiti della maggioranza, soprattutto la Dc. Craxi è costretto a tornare sui suoi passi: ma intanto il clima dello scontro si è elevato, la battaglia è ora davvero ingaggiata.
A pochi giorni dal voto, alle affermazioni democristiane sulla scarsa importanza del referendum, Pannella risponde ricordando che il referendum investe invece un tema essenziale alla crescita del Paese e che una maggioranza abrogazionista rimetterebbe in discussione il governo. Questa posizione viene recepita da Craxi, il quale lega le sorti del suo governo al risultato. In altri termini, il referendum viene drammatizzato e acquista il valore di occasione di scontro tra due diverse concezioni della sinistra. La vittoria del fronte del "No" il 9 e 10 giugno 19.. è in gran parte dovuta a questa "drammatizzazione". La data segna la crisi della centralità comunista, che si rivelerà ancor più pienamente nei mesi e negli anni successivi.
In questo sforzo per provocare e al tempo stesso guidare la crisi comunista è la chiave della politica radicale di questo momento. La campagna, avviata nel 1974, per rendere giustizia al presentatore televisivo Enzo Tortora , arrestato come spacciatore di droga e camorrista dietro la delazione di alcuni camorristi "pentiti" che giocano sulle lacune del sistema della giustizia in Italia, e successivamente i referendum sulla giustizia promossi nel 1986, creano un nuovo terreno di incontro con i socialisti e altre forze laiche. Contemporaneamente il partito promuove altri referendum sulla caccia e sul nucleare, con cui crea uno schieramento "trasversale" con i radicali presenti ed alleati con forze che vanno dai "verdi" ai liberali.
Nel gennaio 1986, con un articolo ospitato sull'"Avanti", Pannella, intervenendo nel dibattito sulle "grandi riforme" istituzionali, avanza una proposta di riforma del sistema elettorale, chiedendo l'introduzione in Italia del collegio uninominale ad un turno, all'inglese. Il logico obiettivo del progetto è di accelerare e portare a soluzione la crisi del partito comunista, sfidandolo su di un terreno minato e difficile, e che quel partito ha sempre temuto, avendo sempre fatto conto sulla rendita elettorale che il sistema proporzionale gli garantisce.
La proposta trova consensi. Si costituisce una Lega cui aderiscono molti parlamentari di tutti i partiti, tranne pci e dp.
Sul versante laico-socialista, i radicali propongono un accordo a sei (pr, psi, psdi, pri, pli, e verdi) per liste comuni al Senato in occasione delle prossime elezioni ordinarie (....). Un accordo del genere consentirebbe, a parità di voti, un aumento di 60 senatori ai partecipanti e offrirebbe un ponte di passaggio credibile per una successiva più ampia riforma elettorale nel senso maggioritario già indicato.
Tra l'autunno dell''86 e il principio dell''87, Pannella lancia una sfida incredibile. I militanti radicali, egli dice, sono pochi per conseguire i grandi obiettivi il Partito si propone. Dunque, o il partito riuscirà a conseguire l'obiettivo di diecimila iscritti, oppure è bene che chiuda. Pannella vuole non tanto un rafforzamento organizzativo del partito, quanto riconfermare la centralità dell'iniziativa radicale nel suo complesso , e imporla al Paese.
Lo scenario appare chiaro. Far vincere i referendum dal fronte laico-ecologista contro la dc e il pci (o, al massimo, con il pci accodato in exstremis al fronte del Sì). L'anno successivo (...)
andare alle elezioni avendo raggiunto l'alleanza a sei al Senato, e quindi riportare una consistente affermazione elettorale. Imporre, infine, nella successiva legislatura, la riforma del sistema elettorale e preparare il definitivo mutamento degli equilibri politici nella direzione già indicata negli anni '60.
Le elezioni anticipate del giugno '87 volute da De Mita e dal Pci, significano la messa in crisi di questo disegno. All'indomani del voto, il quadro politico è di nuovo mutato, e ancora una volta in una direzione non favorevole all'iniziativa radicale. Ma questa è una storia troppo recente per poterla già inquadrare e descrivere con sufficiente nitidezza, per coglierne, anche parzialmente, il senso e la direzione.
Da questo excursus molte cose restano escluse. E' come se, nel processo di scarnificazione operato, la vicenda radicale perdesse di spessore, consegnandoci un'immagine senza prospettiva. Che altro si poteva fare? Ma ecco mancare in queste pagine anche un accenno alla nonviolenza, alla doppia tessera, all'antimilitarismo, alla battaglia per il diritto all'immagine e all'informazione intesi come momenti costitutivi (e non aggiuntivi) delle garanzie liberali nella società contemporanea: sono tutti temi meritevoli di riflessione e di bilancio critico. Ma non è solo questo, quello che qui manca è, più in generale, la messa a fuoco di quello che si può definire lo scandalo radicale: la capacità di discutere e far discutere; l'interrogazione laica sul significato dell'individuo; il tentativo di ragionare sulle ragioni di vita e di morte che sempre si incontrano nell'agorà della politica, anche in un regime di democrazia.
E tuttavia, la scelta operata ha una sua ragion d'essere. Il nocciolo duro dell'attività radicale è anch'esso una realtà: L'averlo evocato e rivissuto, sia pure in forma scheletrica, può servire a meglio illuminare e comprendere in successive occasioni, quanto in questa sede si è trascurato.
La consapevolezza dell'intimo valore di ogni singola persona, il rispetto assoluto e talvolta vertiginoso dell'altro, la capacità di dialogo e di incontro anche con i propri avversari, che la storia radicale ha saputo esprimere almeno nei suoi momenti più fortunati e felici, acquistano maggior rilievo se li si colloca all'interno del quadro di drammatica lotta politica qui disegnato. Perché non di narcisistica riscoperta dell'individuo fine a se stesso si tratta ma del ancoraggio perenne e insostituibile del far politica ai valori del costituzionalismo, dominio della Legge; nella consapevolezza che la diversità degli individui sono state e sono storicamente operanti e vitali solo in una dimensione di dispiegata democrazia liberale. E che la stessa democrazia liberale, infine, può crescere e allargarsi solo se si accetta senza riserve di operare nel confuso e spesso scomposto agitarsi dell'agone politico facendo solo leva sul rigore del giudizio e delle grandi scelte etiche del nostro tempo.