On.le Violenzio ZiantoniAssessore alla Sanità Regione Lazio.
SOMMARIO: La prevenzione può risolvere i più grandi problemi della salute e occorre avere il coraggio di valutare e sperimentare metodologie alternative che fino ad oggi sono state confinate ai margini della medicina.
(Atti del Convegno trasnazionale sul tema "Rimedio omeopatico: il non farmaco. Una proposta di riconoscimento" - Roma, 12 e 13 dicembre 1988).
Ringrazio il Prof. Sciaudone per avermi dato la possibilità di intervenire a questo interessante incontro.
La Regione Lazio ha patrocinato questo meeting trasnazionale e io vi partecipo non solo per ragioni di amicizia e di stima nei confronti del collega Mastrantoni, che tante premurose insistenze ha avuto nei miei confronti, ma anche per l'interesse del tema e per le prospettive che da questo confronto possono determinarsi.
Non vi è dubbio che mentre il progresso scientifico ha fatto fare alla medicina enormi passi avanti in termini di riconoscimento e diagnosi della malattia, progressi nel campo delle cure efficaci sono molto più lenti e difficili.
Siamo oggi capaci di formulare diagnosi molto precise utilizzando tecnologie molto sofisticate e costose, sappiamo decrivere punto per punto l'evoluzione dei tumori e conosciamo in modo analitico importanti aspetti della loro patogenesi, ma non disponiamo di cure efficaci.
Se si esclude il campo dei tumori infantili, negli ultimi 20 anni pochissimi progressi sono stati conseguiti in termini di aumento della sopravvivenza.
L'effetto della grande capacità diagnostica produce apparenti aumenti della sopravvivenza osservata, quasi completamente attribuibili ad anticipazioni della diagnosi, piuttosto che al reale spostamento in avanti della durata della vita.
Paradossalmente, i progressi scientifici in campo diagnostico, portano più spesso ad aumentare il tempo di esperienza di malattia, piuttosto che a prolungare la durata reale della vita.
L'approccio apparentemente ragionevole e intuitivo della diagnosi precoce solo in certi casi, nel campo dei tumori ha portato a dei significativi successi, sappiamo ad esempio che la diagnosi precoce attraverso i programmi di screening con pap-test e mammografia dei tumori della cervice uterina e della mammella, consente reali aumenti della sopravvivenza. Ma in un campo di importanza enorme, come è quello del cancro del polmone, che fa oltre 26mila morti all'anno in Italia, gli studi sperimentali hanno dimostrato che l'anticipazione della diagnosi non posticipa la morte.
La medicina clinica si fa sempre più descrittiva e non riesce mai a sviluppare pienamente le sue principali funzioni curative.
E' vero però che potremmo disporre di importanti e sicuramente efficaci interventi di prevenzione: la eliminazione del fumo di sigarette ridurrebbe del 70%, si dice, l'incidenza dei tumori del polmone ed oltre il 30% di tutti i tumori. Ma interventi di prevenzione come questo, sono enormemente difficili perchè implicano soprattutto le responsabilità di sistemi diversi da quello sanitario.
Non sono certo le campagne di educazione sanitaria che possono sconfiggere il fumo! Eliminare il fumo di sigarette significa intervenire nella struttura economica e produttiva della società. Così come per l'inquinamento da traffico urbano, o per l'uso indiscriminato dei pesticidi in agricoltura, quei possibili interventi efficaci sono fortemente intersecati con aspetti strutturali, sociali ed economici della nostra società.
D'altronde abbiamo necessità di intervenire presto sapendo che gli effetti di interventi di oggi saranno visibili solo in un lontano futuro. Immaginate che se, come purtroppo non è possibile fare completamente, da oggi fossero in atto tutti gli interventi possibili per prevenire le nuove infezioni di H.I.V., il virus che è la causa dell'A.I.D.S., gli effetti sarebbero visibili come diminuzione di casi di A.I.D.S. tra non meno di 6 o 7 anni.
La prevenzione non è un intervento che paga in termini di successi immediati, solamente una efficace e coerente politica di prevenzione, può risolvere i più grandi problemi della salute.
Non dimentichiamo inoltre un altro aspetto fondamentale, lo schema classico della scienza medica è stato travolto dallo sviluppo delle conoscenze scientifiche, oggi non è più accettabile parlare di cause della malattia, ma più propriamente di determinanti. Ogni malattia è associata con diversa forza probabilistica, a fattori che singolarmente o interagendo tra di loro, possono provocarla, e non si tratta sempre di fattori biologici, ce lo insegna la storia della tubercolosi quando fu scoperto il bacillo di Koch, la mortalità per tubercolosi si era già dimezzata dagli inizi del 1800, quando fu scoperta la streptomicina, farmaco cui vennero attribuiti tutti i successi nella cura della malattia, la mortalità per tubercolosi si era già ridotta ad un decimo sempre rispetto agli inizi del 1800.
Si è scoperto poi, che il principale determinante della tubercolosi sono la denutrizione e le cattive condizioni abitative. Il bacillo di Koch è il determinante necessario per la malattia, ma non è sufficiente avere questa infezione per ammalare e morire di tubercolosi. Ancora oggi questa malattia fa tanti morti nei paesi in via di sviluppo, nei quali la fame è la principale causa di morte.
Dell'A.I.D.S. sappiamo che non è possibile ammalare senza l'infezione dei virus H.I.V., ma non sappiamo cosa accade dal momento dall'infezione all'espressione conclamata della malattia.
Perchè non tutti gli infetti di H.I.V. muoiono di A.I.D.S.?
Quali sono gli altri determinanti biologici, psicologici e sociali della malattia?
Anche in medicina come in tutti gli ambiti della conoscenza dell'uomo, per dirla con Moren, siamo di fronte ad una sfida delle complessità. Gli strumenti della scienza sembrano a volte troppo angusti per affrontare tutti i problemi dell'uomo e della società.
Si affacciano metodologie diverse della conoscenza, il tema al centro di queste due giornate di incontri, è l'interazione dei sistemi dell'uomo e della natura, che si propongono come vie alternative per affrontare i problemi dell'uomo.
Nella storia e nelle tradizioni di grandi civiltà, ci sono metodi e strumenti che troppo spesso la nostra medicina scientifica occidentale sembra voler ignorare e disconoscere.
Credo che anche nel campo dei sistemi sanitari occorre avere il coraggio di valutare e sperimentare metodologie alternative che fino ad oggi sono state confinate ai margini della medicina.
La mia adesione a questa linea nasce dalle cose che prima ho detto, non dimentichiamo che anche in anni recenti alcuni dei farmaci più venduti si sono rivelati privi di qualunque efficacia scientificamente dimostrata, eppure con divizia di dimostrazioni scientifiche, per anni, illustri clinici ne hanno fatto largo uso e proclamate le virtù.
Penso quindi che per quanto riguarda l'Omeopatia, bisogna agire con larghezza di vedute e con serietà di metodo.
Come responsabili della Sanità, dobbiamo raccogliere la sfida per altro affascinante di saperi e mondi della conoscenza diversi con la consapevolezza che solamente una grande onestà culturale ci aiuterà a risolvere i problemi difficili e non sempre chiari della difesa della salute dell'uomo.
Certo, un grosso problema è rappresentato dalla possibilità di regolamentare questa materia. Esistono agli atti della Camera, varie proposte di legge, ed e' chiaro che la peggiore soluzione sarebbe quella di non procedere ad una regolamentazione lasciando la porta aperta ad ogni abuso.
Credo che si dovrebbe impegnare il Consiglio Regionale del Lazio con iniziative che servano a rimuovere inerzie ed indifferenze e promuovere nelle strutture pubbliche regionali, iniziative di sperimentazione.
Un esempio, posso dire, lo abbiamo nell'Ospedale Fatebenefratelli di Roma. E' il caso di insistere e di verificare le possibilità di allargare l'esperienza per rispondere non solo ad una domanda crescente ma anche ad un dovere, quello cioè di tentare tutte le strade, scientificamente possibili, per garantire la difesa della salute dell'uomo che è poi il dovere più grande che siamo chiamati a compiere.