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Bertrand Marie Andrée - 1 febbraio 1989
Droga: l'immoralità della proibizione
Marie Andrée Bertrand

CANADA - Insegnante di criminologia all'Università di Montreal, Consulente del governo canadese, è stata uno dei cinque membri della commissione governativa che all'inizio degli anni 70 ha analizzato il fenomeno della diffusione della droga nel paese, pubblicando tre rapporti ancora oggi fondamentali per gli studiosi del fenomeno. Dissociandosi dalle conclusioni del gruppo di lavoro governativo, ha proposto fin dal 1973 la legalizzazione della marijuana e la distribuzione controllata dell'eroina. Negli ultimi anni ha svolto una intensa campagna per il superamento della ``war on drugs'' e nel 1986 ha pubblicato un rapporto su ``la politica delle droghe: permanenza degli effetti perversi e resistenza del cambiamento delle leggi sulle droghe''.

SOMMARIO: La proibizione in materia di droghe è stata imposta da gruppi di pressione che difendono precisi interessi corporativi in contrasto con quelli più generali della collettività. Inoltre questa politica proibizionista ha mostrato tutta la sua inefficacia e ha prodotto gravissimi effetti perversi. Una politica più realista e meno immorale in materia di droghe dovrebbe non lasciare tutto il potere nelle mani di qualche funzionario o poliziotto. E' necessario che tutta la società s'impegni nella ricerca di nuove politiche.

("I costi del proibizionismo sulle droghe" - Atti del colloquio internazionale sull'antiproibizionismo, Bruxelles 28 settembre - 1 ottobre 1988 - Ed. Partito Radicale)

Quando, quindici anni fa, al termine di quattro anni di studio e di ricerca attraverso tutto il paese e all'estero, ho presentato al governo canadese una relazione di minoranza richiedente l'abolizione del controllo sulle droghe, ero motivata dalle seguenti ragioni:

1. il reato di semplice possesso è un futile strumento di dissuasione;

2. più in generale, l'uso del diritto penale nel caso di crimini senza vittime: a) è inefficace; b) comporta il ricorso a procedimenti contrari ai diritti della persona: ispezioni, perquisizioni senza mandato, delatori, agenti infiltrati; c) è sempre fortemente arbitrario, in quanto gli abituali strumenti di rilevazione sono inadeguati e soltanto una frangia ingenua o sprovveduta è soggetta alla repressione. D'altronde sono numerosi i filosofi del diritto e gli statisti ad aver riconosciuto che il ricorso al diritto penale al fine di ridurre i crimini senza vittime è illegittimo;

3. il costo della proibizione, più esattamente i costi, sono enormi: costi sociali, morali, economici; gli Stati vi sperperano il proprio onore e i fondi pubblici, e tali costi sono sproporzionati rispetto all'improbabile e minima efficacia della legge;

4. la funzione pedagogica del diritto penale, che deve ricordare ai cittadini i valori più importanti per la comunità sociale, risulta deviata dall'inclusione, a casaccio, nella stessa legge, di sostanze a nocività molto variabile, e di comportamenti di estremamente diversa gravità. In effetti, i provvedimenti sulle droghe prevedono ancora, in molti paesi, pene severe, che arrivano fino alla detenzione, per atti privi di reale gravità e non lesivi nei confronti di altre persone, e sanzioni equivalenti per il possesso e lo spaccio da un lato di sostanze prive di tossicità rilevata e dall'altro di droghe che provocano serie intossicazioni; inoltre, gli Stati invocano il loro dovere di tutelare la salute dei cittadini come fondamento del controllo penale di determinate sostanze, e contemporaneamente percepiscono considerevoli entrate dalla vendita di altre droghe giudicate del tutto nocive come il tabacco e l'alcool;

5. la proibizione crea e fa proliferare i mercati illegali e tutte le deviazioni che ne conseguono;

6. il reato di semplice possesso o di uso, come in Francia ad esempio, autorizza alcuni Stati a ricorrere al trattamento forzato con riguardo agli accusati, ulteriore violazione dei diritti della persona ma soprattutto colmo di ignoranza e di ipocrisia, in quanto non si è mai verificato che il trattamento forzato abbia spinto chiunque a modificare il proprio comportamento; d'altra parte è risaputo che le carceri e i penitenziari, in cui sono detenuti un certo numero di utilizzatori, traboccano di sostanze psicotrope di ogni natura e che vi si pratica uno spaccio altrettanto, se non più, rilevante di quello che ha luogo nel mondo libero.

Tutte queste argomentazioni a favore dell'abolizione delle leggi sulle droghe sono ancora valide. Di più, gli anni ne hanno accresciuto la portata. Infatti, riesaminandole una a una, si rileva che:

1. l'effetto di dissuasione si è rivelato nullo, se non su qualche singolo consumatore, per lo meno sull'insieme delle popolazioni interessate. Il numero degli utilizzatori è aumentato, il traffico si è raffinato nel caso in cui ciò si era reso necessario, ma più spesso la maggior parte delle transazioni illecite relative a piccole quantità avviene alla vista e alla conoscenza delle autorità di polizia che hanno rinunciato ad intervenire; può darsi che il consumo di certe droghe popolari negli anni sessanta e settanta sia diminuito (LSD, colla, allucinogeni potenti), ma sappiamo che in ciò il diritto penale non ha avuto alcun merito. Sono stati gli utilizzatori stessi e l'opinione pubblica a rendere tali sostanze impopolari, denunciandone efficacemente gli effetti nocivi rilevati;

2. il controllo penale dell'uso e del traffico si è rivelato altamente discriminatorio, colpendo prima, negli anni sessanta, i giovani e le persone di aspetto anticonformista; poi, i membri delle comunità etniche, e recentemente, in più paesi europei, gli stranieri, i non abbienti e i disoccupati;

3. il costo dell'applicazione delle leggi sulle droghe non ha cessato di salire; tali leggi hanno comportato la creazione di reparti speciali di polizia, hanno sovraccaricato i tribunali, le prigioni, i servizi di cura e riabilitazione penale;

4. le profezie epidemiologiche si sono rivelate senza fondamento; certo, vi sono dei tossicodipendenti che necessitano di cura, ma i pronto soccorso degli ospedali sono meno affollati di quando negli anni settanta lo erano dai pazienti colpiti da ``bad trips'';

5. la politica abolizionista ha in effetti, e come previsto, incentivato i mercati illegali; il commercio internazionale si intensifica; i corpi di polizia di tutti i paesi hanno perduto la guerra contro la droga;

6. il trattamento forzato e la carcerazione dei tossicodipendenti allo scopo di ridurre la loro dipendenza si sono conclusi con clamorosi fallimenti.

D'altra parte, fatti nuovi sono venuti ad aggiungersi ai motivi che mi spingevano a raccomandare l'abolizione delle leggi sulle droghe.

1. in numerosi paesi occidentali, si è giunti alla conclusione che molte droghe lecite provocano un danno certo alla salute dei cittadini e che i costi comportati dall'abuso di tali sostanze superano la soglia di tollerabilità. Tale constatazione ha due effetti. In primo luogo, essa dimostra la netta incoerenza degli Stati che si preoccupano di alcune sostanze per renderle oggetto di divieto nel codice penale, ma contestualmente incoraggiano segretamente e tollerano pubblicamente il consumo di nicotina ed alcool; in secondo luogo, le reazioni sociali ai danni di queste due droghe si rivelano molto più salutari ed efficaci di quelle prevalenti nell'ambito delle droghe illegali. Gli Stati, sicuramente alcuni, vietano la promozione in trasmissioni del servizio pubblico radiotelevisivo di tali sostanze e impongono che la pubblicità sia accompagnata da avvisi di pericolosità; il pubblico e le associazioni di cittadini si mobilitano per limitare ai soli consumatori, nel caso della sigaretta, i danni derivanti

dal consumo. Con riferimento all'alcool, la reazione è altrettanto interessante. Dato che è la guida in stato di ebbrezza a rappresentare un pericolo sociale, è questa ad essere sanzionata e non il consumo; alcune campagne intelligenti permettono all'utilizzatore tale consumo senza mettere a repentaglio la vita degli altri cittadini (ad esempio l'operazione ``Nez Rouge'').

2. Come molti altri, sono rimasta colpita dalla montagna di resistenze contro cui si sono scontrate le conclusioni e raccomandazioni di tutte le commissioni di studio, di tutti i paesi, sulla questione della droga. In effetti, alla fine degli anni sessanta e agli inizi degli anni settanta, non meno di una dozzina di paesi aveva proceduto, per il tramite di Comitati nazionali o di Commissioni di studio, all'esame di quello che allora veniva chiamato ``il problema della droga'': la sua diffusione, le sue cause, gli strumenti per porvi rimedio. Nessuno di tali Comitati, nessuna di quelle Commissioni, salvo forse il Comitato Pelletier in Francia, hanno raccomandato di attenersi allo status quo. Uno sosteneva la depenalizzazione di alcune sostanze, l'altra l'abolizione del reato di semplice possesso, etc.

Nondimeno, da nessuna parte, in nessun paese, le relazioni di tali Comitati hanno sortito effetti rilevanti sulla legislazione. E' vero che la pratica penale si è modificata sotto molti profili, e si è assistito a una certa depenalizzazione de facto, ma con tutto il carattere arbitrario che ciò comporta, ossia la persistenza del perseguimento nel caso in cui il consumatore o il piccolo spacciatore, il piccolo dealer, sia uno straniero, un marginale, o molto semplicemente quando la sua faccia non vada a genio al poliziotto o al giudice.

Analizzando le origini di tali resistenze alla modifica delle leggi sulle droghe mi si sono chiaramente rivelate l'IMMORALITA', l'IPOCRISIA e la ILLEGITTIMITA' della proibizione.

Queste resistenze si collocano a livello nazionale e internazionale. Tutti coloro che hanno a cuore la modifica delle leggi attuali devono farsi carico di analizzarle per combatterle.

LE RESISTENZE A LIVELLO NAZIONALE

Le raccomandazioni delle Commissioni nazionali erano molto raramente o quasi mai radicali, e malgrado ciò i Parlamenti le hanno ignorate o stemperate fino a renderle quasi ridicole o irriconoscibili. Nondimeno, le Commissioni e i Comitati erano generalmente composti da persone rispettabili, la cui opinione scientifica, morale, o entrambe, difficilmente era controvertibile. Inoltre, le ricerche erano spesso durate più anni, ovvero più Commissioni si erano occupate dello stesso problema, come nel caso degli Stati Uniti e dell'Inghilterra, e gli studi erano costati diversi milioni di dollari.

A cosa si doveva pertanto attribuire l'inerzia dei Parlamenti o dei Governi di fronte alle raccomandazioni dei loro Comitati e Commissioni?

Occorre constatare come numerosi e influenti gruppi di pressione avessero interesse, in ognuno dei nostri paesi, a che fosse mantenuta la proibizione concernente alcune sostanze. Basandomi sulla mia analisi della situazione canadese e degli Stati Uniti, elencherò tali gruppi nell'ordine in cui sono apparsi, con i loro interessi particolari, sulla scena pubblica delle udienze o nei corridoi del potere politico.

1. Il primo gruppo a manifestare rumorosamente la sua opposizione a qualsiasi liberalizzazione delle norme sulle droghe è stata la polizia, i corpi di pubblica sicurezza di tutti i livelli: federale, provinciali, municipali, i reparti speciali operanti nell'ambito degli stupefacenti, in particolare. Questi ultimi, come si sa, traggono un prestigio non trascurabile dai contatti internazionali e dagli effetti mediati delle loro ``prese''. Il discorso dei corpi di polizia si è rivelato di una grande ipocrisia (non si contano le loro affermazioni ad effetto che la situazione era sotto controllo o poteva esserlo) e di un fondamentalismo morale difficile da immaginare per chi non li ha ascoltati. L'influenza dei corpi di polizia sui governi non ha più bisogno di essere dimostrata: i ministeri della giustizia, degli interni, etc..., hanno spesso un controllo segreto e privato sugli altri dipartimenti di Stato. La lobby che gestisce i corpi di polizia a livello nazionale ha spesso delle ramificazioni internazio

nali. Infine, tutti gli strumenti sono parsi buoni, ai poliziotti di alcuni paesi, per gettare il discredito sui sostenitori della liberalizzazione delle leggi sulle droghe: dossier costruiti di sana pianta, accuse sulla pubblica piazza;

2. il secondo baluardo di resistenza al cambiamento era composto da medici: la categoria professionale dei medici si era indignata, negli anni sessanta, che giovani e cittadini di dubbia apparenza si ritenessero capaci di distinguere le virtù inebrianti, analgesiche o euforizzanti di alcune droghe e scoprissero nelle farmacie dei parenti anche degli antidoti, sotto forma di valium, ad esempio, in caso di ``cattivo viaggio''. Questa stessa categoria non ha acconsentito ad interessarsi seriamente alle domande poste dai consumatori. Soltanto un esiguo numero di medici generici e alcuni psichiatri e farmacologi, peraltro giudicati severamente dai colleghi, sono ``scesi in strada'' ed hanno aiutato gli utilizzatori, gli operatori sociali a metter su qualche centro di informazione, qualche clinica di soccorso, dei servizi mobili. Nell'insieme, la categoria ha negato il problema, o piuttosto che si trattasse di una questione che la riguardava, ed ha rinviato i consumatori al tribunale penale, contribuendo a ra

fforzare le posizioni dei proibizionisti;

3. I farmacisti erano anch'essi particolarmente offesi che ci si potesse drogare senza il loro consiglio e con sostanze non rientranti nella loro sfera di competenza. Va aggiunto che questa categoria professionale aveva delle ragioni ulteriori di sentirsi minacciata, in quanto una certa fetta degli utilizzatori tentava di distogliere il pubblico dall'uso delle ``droghe chimiche'' a vantaggio delle ``droghe naturali''; d'altra parte, numerosi erano i consumatori ed i rappresentanti della controcultura che, di fronte alle accuse di nocività lanciate contro le ``droghe di strada'' o droghe illegali, replicavano denunciando i danni reali dei medicinali;

4. Tra le corporazioni più minacciate, la cui voce si è fatta sentire sul tono acuto e le cui pressioni politiche si sono manifestate sotto forma di ricatto, vanno annoverate le case farmaceutiche; i rappresentanti di grandi industrie, come la Roche, sono arrivati a difendersi davanti ad alcune Commissioni di inchiesta che si apprestavano a denunciare l'effetto di assuefazione dei loro medicinali;

5. i distillatori e i birrai, oltre a gestire le lobbies che possono immaginarsi intorno ad uomini politici tutti già conquistati alle virtù dell'alcool, cercavano di correggere l'impressione di irresponsabilità che potevano dare alla popolazione e di dar prova di buona volontà: negli anni settanta, dopo che le relazioni delle diverse Commissioni di studio avevano denunciato i danni dell'alcool, alcuni hanno iniziato ad incitare alla moderazione... beninteso, contemporaneamente al consumo!

6. Le società del tabacco hanno esercitato sugli uomini politici pressioni paragonabili. In effetti, quando i testimoni attaccavano troppo apertamente i danni della sigaretta, alcune sono giunte a difendersi sostenendo di aver ridotto il tasso di nicotina del loro prodotto, e che d'altra parte era ingiusto paragonare una droga, entrata nei costumi e quindi soggetta agli effetti dei controlli sociali, a sostanze la cui nocività era ancora sconosciuta e l'uso ancora marginale. Ma la principale argomentazione delle industrie del tabacco è stata probabilmente una, che ha toccato i governi sul punto di loro maggior sensibilità: larghe fasce di impiego verrebbero a scomparire se si diminuisse il consumo di tabacco e se la sigaretta di nicotina dovesse subire la concorrenza, ad esempio, di una sigaretta di canapa indiana;

7. infine, si sono visti comparire davanti alle Commissioni nazionali incaricate di studiare il problema della droga coloro che chiamerò gli imprenditori morali: gli A.A., gli N.A., gruppi di genitori, rappresentanti di alcune chiese ed anche membri o rappresentanti di alcune professioni sociali (associazioni di operatori sociali, di psico-educatori, psicologi, psichiatri, avvocati, magistrati minorili) proclamanti la loro indignazione e lo scandalo di fronte alla possibilità di un allentamento delle norme sulle droghe: bisognava ad ogni costo opporsi a qualsiasi liberalizzazione.

Tutti questi gruppi rappresentavano non solo un gran numero di persone, ma in particolare influenza e potere di pressione politica notevoli. Oltre alla capacità di convincimento, i distillatori, i birrai, le case farmaceutiche, le industrie del tabacco, disponevano di mezzi terribilmente efficaci per far propendere i partiti politici dalla parte utile ai propri interessi: le casse elettorali sono infatti spesso debitrici di tali imprese. D'altra parte, per quanto concerne le grandi corporazioni professionali, sono rari i governi che possono permettersi di contraddirle seriamente. Quanto agli imprenditori morali e alle professioni sociali, che erano, a volte, gli stessi gruppi che avevano dato l'allarme e fatto mettere in piedi le inchieste nazionali, è impossibile passare completamente sopra alle loro preoccupazioni che verosimilmente erano quelle di una piccola parte dell'elettorato.

Questi gruppi di potere, questi gruppi di interesse che si sono espressi con vigore per il controllo penale dell'uso e del commercio di determinate sostanze, dieci anni fa in Francia, quindici in Canada, negli Stai Uniti, in Gran Bretagna, nei Paesi Bassi, in Nuova Zelanda, in Australia, etc., utilizzerebbero lo stesso linguaggio oggi? Se sì, gli Stati presterebbero loro un orecchio altrettanto attento? Altri gruppi, che adottano un diverso linguaggio, più aperto alla depenalizzazione o all'abolizione della proibizione, riuscirebbero a farsi sentire? Io lo credo. Ma l'analisi, per essere seria e probante, deve tener conto delle situazioni particolari di ogni paese le risposte non saranno certamente le stesse dappertutto. Cosa certa, occorre fare queste analisi, individuare i nostri alleati e quelli che si comportano ancora come partigiani della proibizione pura e dura, se si vuole che la legge sia modificata.

LE RESISTENZE SULLA SCENA INTERNAZIONALE

Sono passati già 70 anni dalla firma dei primi trattati internazionali sulle droghe (1912): va ricordato che prima di tale data, più paesi europei, in particolare la Francia e i Paesi Bassi, non criminalizzavano l'uso di diverse sostanze ora proibite, mentre i paesi scandinavi ed anglosassoni facevano già ricorso al diritto penale per vietare l'uso di più droghe mediante il reato di semplice possesso.

Dal 1912, data del primo trattato, si sono visti crescere senza sosta:

1. il numero dei paesi firmatari delle intese internazionali sul controllo delle droghe;

2. il numero delle sostanze incriminate;

3. il numero degli atti vietati negli statuti nazionali sulle droghe.

Progressivamente, gli apparati di controllo polizieschi, giudiziari e penali, nel paese che aveva firmato le intese, si sviluppano ed iniziano a cambiare, l'oggetto del controllo passa dal traffico al consumatore; la politica delle droghe diventa centralizzata ed emanazione sempre più delle Nazioni Unite: è il modello della politica americana delle droghe che si generalizza nei paesi firmatari. La Drug Enforcemente Administration diventa il modello internazionale dei controlli di polizia in materia di droga (Hulsman, 1983, 273). La Convenzione del 1961, in particolare, ma anche altre, costituiscono ora una fonte di resistenza fondamentale alle modifiche delle leggi sulle droghe delle diverse società nazionali firmatarie ed anche delle altre, in quanto l'imperialismo americano ed anche la pressione morale degli Stati membri giocano sul paese produttore, attraverso tali intese internazionali.

In un rilevante articolo sulla politica delle droghe ed i suoi effetti perversi, Louk Hulsman, professore di diritto penale all'università Erasmus di Rotterdam, ricorda che è molto importante non perdere di vista il contesto internazionale nel quale si è svolto e ancora si sta svolgendo il processo legislativo di ogni Stato, se si vuol comprendere la politica delle droghe e ciò che la sostiene. Ogni sorta di gruppo per ogni sorta di motivo diverso, gli uni religiosi e morali, gli altri rispondenti ad interessi commerciali o professionali, sono responsabili della proibizione:

»(1) missionari e persone che, in nome di principi umanitari e morali, hanno intrapreso la lotta contro l'oppio; (2) i plenipotenziari di paesi come la Cina e l'America che avevano interessi commerciali alla regolamentazione della produzione e del traffico; (3) persone che, per principio, sono favorevoli ad una collaborazione internazionale; (4) funzionari americani che volevano che la loro posizione acquisita al tempo della proibizione dell'alcool, fosse garantita e (5) plenipotenziari dei paesi del Terzo Mondo che facevano parte dell'ala modernista nel loro paese'' (1983,276).

Secondo Hulsman, ``è difficile comprendere come tali gruppi di pressione in certi periodi gruppi estremamente esigui, abbiano potuto imporre su scala mondiale la loro impostazione contro l'interesse di popolazioni importanti. Per comprenderlo, occorre esaminare nuovamente il contesto internazionale'': è estremamente difficile, per gruppi di cittadini nazionali, essere correttamente informati su quanto avviene alle Nazioni Unite, durante le discussioni delle grandi convenzioni sulle droghe. E' ancora più difficile mobilitarsi per far valere le opinioni di gruppi, pur se maggioritari. Pertanto, ``influenzare il processo legislativo diventa possibile soltanto nel caso in cui i gruppi di contro-pressione dispongano di sufficiente potere e dominino il linguaggio politico internazionale'' (ibidem, 277).

Fra i fattori che hanno coinvolto i paesi del Nord e i paesi sviluppati nella lotta contro le droghe, o piuttosto contro certe droghe, è necessario individuare l'opposizione Nord-Sud, paesi sviluppati contro paesi in via di sviluppo. In tal modo, all'inizio, come nota ancora Hulsman, le convenzioni si occupavano esclusivamente delle droghe del Terzo Mondo ed ancora adesso, in Canada e negli Stati Uniti, è contro la ``loro droga'' che vige la proibizione. Più recentemente, al numero dei fattori di resistenza internazionale e nazionale all'abolizione della proibizione, bisogna aggiungere il fatto che ``dei settori delle nostre società nazionali traggono vantaggio dall'illegalità di certe sostanze, tra gli altri alcuni gruppi terroristici ed anche pubblici poteri che utilizzano questo circuito nero del traffico delle droghe e delle armi'' (spesso gli stessi circuiti) per sostenere le loro domande e le loro decisioni (Hulsman, op. cit., 277).

IN LUOGO DELLA PROIBIZIONE

Occorre assolutamente instaurare, in luogo della proibizione che ha dato prova di inefficacia e di effetti perversi, un sistema autorizzatorio, un sistema statalistico di controllo sull'approvvigionamento, la qualità e la circolazione delle droghe oggi vietate.

Tale trasformazione deve essere operata su grande scala nazionale, e forse anche internazionale, se si vogliono eliminare i rischi che il commercio illegale e tutti gli effetti negativi ad esso conseguenti perdurino.

Spetta alla comunità sociale, ai cittadini il compito di farsi carico della corretta informazione sulle droghe, di far cessare la disinformazione, di creare i controlli ritenuti adeguati, come nel caso della sigaretta e dell'alcool, e di conservarne il dominio piuttosto che lasciare tale potere nelle mani di funzionari internazionali e di corpi di polizia. E' un dato di fatto ormai consolidato: in ognuno dei nostri paesi le leggi sulla droga hanno fatto molto più danno delle droghe stesse.

Riferimenti bibliografici

BERTRAND, M.A. (1973) Conclusions et recommandations supplémentaires Rapport final de la Commission d'enquête sur l'usage des drogues à des fins non-médicales. Ottawa, Information Canada, p. 229-241.

BERTRAND, A.M. (1984) Le contrôle de la drogue au Canada dix ans après LeDain, Le Devoir, 26.3.1984, p. 14-15.

BERTRAND, M.A. (1986) La politique des drogues. Permanence des effects pervers et résistance au changement des lois sur les drogues. Deviance et Société, 10, 2, p. 177-193.

HULSMAN, L., e VAN RANSBEEK, H. (1983) Evaluation critique de la politique des drogues, Deviance et Société, 7, 3, p. 271-280.

 
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