Franco IppolitoMagistrato, segretario nazionale di Magistratura Democratica.
SOMMARIO: L'autore denuncia l'improvvisazione di chi ha proposto e di chi ha approvato il disegno di legge governativo sulla droga, l'impraticabilità del concetto di punibilità del consumatore di sostanze stupefacenti e il "colpo di grazia alla funzionalità e all'efficenza della giustizia" che lo stesso disegno di legge provocherebbe.
(Atti del Convegno "No alla legge governativa sulla droga, repressiva, illiberale, ingiusta", Roma 14 febbraio 1989)
Limiterò il mio intervento a due o tre osservazioni di carattere generale, perché i colleghi magistrati interverranno in un'analisi più dettagliata dello stesso testo di legge proposto dal governo.
Noi avemmo occasione di celebrare il congresso nazionale di Magistratura Democratica - fine ottobre inizio novembre - nel momento in cui era caldo il dibattito in fase di definizione di un testo di legge governativo; in quel momento circolava una bozza di disegno di legge attribuita ad entourage ministeriali e alla stessa Russo Jervolino, profondamente diversa da quella che poi abbiamo trovato approvata nel consiglio dei Ministri.
Tanto per fare un piccolo esempio, in quella bozza di disegno di legge si manteneva l'articolo 80 dell'attuale legge 685/1975, la non punibilità, sia pure limitata a due applicazioni. Ma quel che è più rilevante è che nella relazione si polemizzava espressamente contro quel filone che ha collegato all'articolo 80 e alla causa di non punibilità la diffusione e l'allargamento del mercato della droga.
Faccio questo riferimento perché trovandoci a poche settimane con un testo di legge, una proposta di legge completamente diversa e una relazione profondamente diversa, crediamo di individuare qui il primo elemento che proprio evidenzia l'assoluta improvvisazione di chi ha proposto e di chi ha approvato il disegno di legge e il timore è - più che un timore sembra quasi una constatazione - che ci sia gente che ha dato l'approvazione a questo disegno di legge senza effettivamente sapere quello che ha fatto.
L'impressione, per la verità, nei primi giorni, è stata che lo stesso ministro Russo Jervolino andasse pubblicizzando un disegno di legge diverso da quello che aveva firmato e presentato. Ricordo che non più di un mese e mezzo fa al convegno organizzato qui a Roma dalle ACLI e dalla Caritas con Luigi Ciotti, ci sentimmo illustrare una impostazione di intervento legislativo profondamente dissonante rispetto al testo di legge presentato che noi riteniamo - d'accordo con la parola d'ordine, lo slogan dell'incontro - una legge illiberale, repressiva, ingiusta.
Vorrei cominciare innanzitutto da un altro aggettivo che nell'invito a questo dibattito è attribuito a questo progetto governativo e cioè l'impraticabilità. Non so se a livello governativo abbiano mai fatto una quantificazione del fenomeno, non dico delle tossicodipendenze, ma più in generale dei consumatori, anche occasionali, di sostanze ritenute dal disegno di legge stupefacenti o psicotrope. Le uniche quantificazioni che io ho recentemente letto sono quelle di Arnao che stimano i consumatori abituali da un milione e ottocentomila a tre milioni e seicentomila.
Ora mi chiedo anche nel caso che una percentuale minima del trenta per cento sulla cifra più bassa del milione e ottocentomila davvero arrivasse nelle caserme dei carabinieri, di polizia, negli uffici giudiziari, se qualcuno può in buonafede ritenere che questa legge possa avere un minimo di praticabilità.
Allora, qual è la conseguenza? Qual è l'effetto di un "intasamento da spinelli" - come scherzosamente, ma poi non tanto, avevamo definito questa proposta -. Questo processo penale per tossicodipendenti o consumatori rimarrà lettera morta nei cassetti, costituendo un generico deterrente, nella sua genericità stando anche il limite della nessuna deterrenza. Dall'altro lato, se dovesse invece non restare lettera morta e diventare una cosa praticata o praticabile, il nostro timore è che norme di questo genere - e qui mi limito alla tossicodipendenza e alla proposta di penalizzazione - diventeranno un alibi molto comodo per le forze dell'ordine, per poliziotti pigri e per magistrati disimpegnati, dal momento che sarà molto facile riempire stazioni di polizia o uffici pretorili di statistiche sulle piccole tossicodipendenze, sul fatto che quando una volta si è trovato un grammo di eroina in tasca a un tossicodipendente è facilissimo prenderlo la seconda, la terza e la quarta volta e così via, mentre non si faranno
le cose serie che sono quelle relative al traffico, al grosso traffico e così via.
Ma, al di là della impraticabilità, a noi sembra che qui si faccia uno spreco inconsulto di una risorsa delicata e ridotta qual è il processo penale, qual è l'istituzione giudiziaria. Dico delicata e ridotta perché già noi - e parlo in una sede radicale, con interlocutori con i quali più volte siamo stati negli anni scorsi in polemica tuttavia riconoscendo reciprocamente che la giustizia in Italia non funziona, che le istituzioni sono al collasso, che i cittadini hanno sacrosanta ragione a protestare e a denunciare la mancanza di garanzia dei diritti - noi di MD e i radicali, da posizioni molto diversificate, per esempio sul referendum, abbiamo dichiarato di volerci muovere nel rafforzamento di una istituzione giudiziaria che garantisse i diritti dei cittadini, perché questo ci pare essere il connotato della giurisdizione: garanzia dei diritti dei cittadini da un lato, controllo dei poteri pubblici e privati dall'altro.
Ebbene, nessuna di queste caratteristiche fondamentali connotanti la giurisdizione è, non dico riprodotta, ma minimamente vicina all'impostazione di questo disegno di legge, perché qui del processo si fa un uso scriteriato, come se fosse una risorsa illimitata, mentre noi sappiamo che il Parlamento per iniziativa, una volta dei radicali, un'altra volta dei comunisti, un'altra volta della sinistra indipendente, ha dovuto fare salti mortali per imporre al governo un finanziamento meno indecente della politica per la giustizia, e ciononostante siamo quasi al collasso e ciononostante siamo tutti estremamente preoccupati che l'attuale situazione, permanendo fino a ottobre, faccia decollare il processo penale nelle peggiori condizioni possibili.
Per essere chiari, noi vogliamo che il processo penale entri in vigore il 29 ottobre - questo per eliminare ogni equivoco - ma al tempo stesso vogliamo che sino al 29 ottobre si facciano una serie di interventi di sostegno perché decolli nelle migliori condizioni. La peggiore delle condizioni, il colpo di grazia, per la possibilità che in Italia si abbia un processo penale più serio, più garantito, più efficace, più civile, più giusto - per usare la vostra aggettivazione - sarebbe in questa approvazione di proposta di legge Jervolino.
Questo sul piano dell'intasamento, dell'impossibilità, del colpo di grazia alla funzionalità, all'efficienza della giustizia e delle istituzioni giudiziarie, ma vi è un altro dato di carattere più generale che, da ultimo, mi preme sottolineare e cioè che qui si fa un salto storico, un salto di qualità nell'uso, nella concezione, nell'ipotizzata pratica del processo penale, della giurisdizione, del ruolo stesso dei giudici.
Questi discorsi contro le logiche emergenziali, contro lo snaturamento del diritto penale, del giudice penale fino a qualche tempo fa in magistratura si facevano in posizione abbastanza minoritaria, perché tutte le volte che ad una categoria professionale si delegano poteri maggiori, spazi maggiori, interventi più incidenti, in qualche modo si solletica anche l'orgoglio e l'identità professionale e si finisce con l'inorgoglire un po' stupidamente certe posizioni di categoria. Ebbene, forse bisogna dire un grazie anche a questo scriteriato disegno di legge, perché mi pare che dal momento in cui c'è stata questa proposta le posizioni che tradizionalmente in magistratura erano di minoranza ora cominciano ad acquistare grossi consensi. Mi pare, cioè, che un po' tutti i magistrati comincino a rendersi conto che se davvero passasse questo disegno di legge, la loro identità professionale, l'identità stessa della giurisdizione sarebbe completamente travolta.
Qual è il salto di qualità che qui si fa? A parte quello quantitativo, dovuto al fatto che per la prima volta - almeno negli ultimi quindici anni - si penalizza o si ipotizza di penalizzare così fortemente anche i consumatori occasionali di cosiddette droghe leggere, quel che è più grave è che per la prima volta si punisce non un comportamento rilevante nel rapporto con l'altro, nel rapporto con la società, ma si punisce in qualche maniera una qualità della persona, un modo d'essere della persona.
Noi dicevamo allora che sarebbe come punire l'ubriachezza in sé e per sé invece dell'ubriachezza molesta, e nella molestia è il rapporto con gli altri e quindi l'interesse della società. Oggi si punisce l'incitamento alla prostituzione, l'adescamento, ma non si punisce la prostituzione in sé e per sé. Non si punisce, anche se ognuno può avere le sue idee morali ed etiche, il tentato suicidio. Perché? Perché questo il diritto penale non l'ha mai fatto? Perché il diritto penale vuole, nella sua logica, essere l'ultima ratio dell'intervento di una società per autoregolamentarsi e non può entrare così pesantemente all'interno della qualità stessa della persona.
In questo discorso non c'è nulla che voglia affermare e formalizzare la liceità etica, morale: dal punto di vista giuridico e dal punto di vista di magistrato posso avere tutte le mie idee su queste cose, ma credo di doverle, come magistrato, tenerle da parte e soprattutto mi preoccuperebbe molto che anziché fare una battaglia culturale, una battaglia politica, una battaglia sociale, un confronto di idee religiose, politiche e culturali, si dia allo Stato, al diritto, al diritto penale in particolare la possibilità di orientare comportamenti di questo genere, idee, valori e così via.
Questo è il motivo, oltre ai cinquantamila motivi di ordine pratico, di funzionalità, di inaccettabilità dell'impostazione, di errori tecnici profondi, tra i quali questa invenzione delle cosiddette sanzioni amministrative, del passaporto, del soggiorno obbligato, che sanzioni amministrative non sono affatto non fosse altro perché già una legge dell'81 le prevedeva come alternative alla detenzione; nell'attuale codice, nel codice riformato, sono misure coercitive, previste per i delitti punibili con pena superiore al massimo a tre anni; una certa qualificazione, quindi, queste misure ce l'hanno già.
Stranamente però vengono introdotte come pene principali, prodromi poi alla galera vera e propria perché si prevede che chi viola queste disposizioni poi potrà avere tre mesi di reclusione e il chi viola, qui, non è una cosa meramente eventuale, ma è una cosa quasi certa e scontata, perché il tossicodipendente che si "sbatte" per andare a trovarsi la sua dose, si sbatterà molto più - noi temiamo - se sarà la dose media giornaliera che non la cosiddetta "modica quantità" come da ultimo viene interpretata, quasi generalmente, dalla giurisprudenza.
Ma, a parte questa via crucis che inevitabilmente, quasi sicuramente, porta ad una carcerizzazione di tutto un mondo che con il carcere - e ce lo ripeteva proprio ii direttore degli istituti di pena, Niccolò Amato - nulla, ma proprio nulla, deve avere a che fare, rimane il fatto che questa escogitazione di pene anomale è talmente strana dal punto di vista tecnico che addirittura si sa che queste pene non sono mai prescrivili, per cui in Italia si prescriverà la pena per un omicidio, ma non si prescriverà la pena per aver fumato uno spinello in modo recidivo, e quindi per aver subito queste condanne da parte del pretore.
Questi sono inconvenienti tecnici, se volete secondari rispetto a una battaglia culturale ben più ampia che merita questa forte attivazione di forze culturali e politiche e, rispetto a un momento iniziale di dibattito, allorquando appariva che le illuminazioni sulla via di Damasco di New York trovassero in Italia orecchie attente a livello di mass-media e di pubblica opinione, perché l'insidia è forte, questo disegno parte su parole d'ordine molto epidermicamente suggestive.
Io credo però che rispetto al dibattito di novembre e di metà dicembre dobbiamo con soddisfazione e anche con un minimo di fiducia constatare segnali positivi.
E' un fatto assai significativo e positivo che forze cattoliche come le ACLI e la Caritas si sentano impegnate in prima persona, che il PCI ritenga di chiamare tutti gli operatori - cosa che era elementare e doveroso che facesse il governo: chiamare Ciotti o chiamare lo stesso Muccioli con il quale noi personalmente siamo spesso in dissenso -, che i gruppi parlamentari Federalisti europei, il Partito Radicale oggi chiami tutte le forze, al di là delle opzioni di gruppo che possiamo avere sulle soluzioni positive, ma intanto le chiami a schierarsi contro un modello negativo che è la legge Russo Jervolino-Vassalli, anzi, diciamo Craxi-Russo Jervolino, perché già nelle dichiarazioni rilasciate intorno a metà dicembre abbiamo notato che, mentre il Ministro Russo Jervolino era trionfalista ed entusiasta di questa approvazione eludendo i nodi che la legge pone, il Ministro Vassalli pur avendo messo questa firma, si aspetta tuttavia che dal Parlamento vengano proposte di correzione. Conoscendo anche la prudenza di
Vassalli e il suo linguaggio a volte molto da giurista, devo ritenere che lo stesso Vassalli prenda di fatto le distanze da questo disegno di legge e quindi vada apertamente ad un confronto parlamentare.
Si riuscirà a ciò quanto più avremo tutti - ferme rimanendo le nostre opzioni, il CORA per la liberalizzazione, altri, il Partito Comunista secondo la proposta che ha fatto - un minimo comun denominatore tra un arco vasto di forze del "no" a questa proposta di legge e del "sì" a proposte di legge o comunque a soluzioni che abbiano nei valori di libertà, di uguaglianza e di solidarietà il loro fondamento.