Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
ven 22 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Manconi Luigi - 14 febbraio 1989
La guerra alla droga è stata persa: ora si tratta di limitare il numero delle vittime.
Luigi Manconi

SOMMARIO: La proposta di legalizzazione della droga è decisiva per fra crescere l'opposizione alla proposta governativa. La criminalità organizzata svolge una funzione politica, perché amministra il consenso distribuendo risorse. I collegamenti fra la campagna sull'aborto e quella sulla droga.

(Atti del Convegno "No alla legge governativa sulla droga, repressiva, illiberale, ingiusta", Roma 14 febbraio 1989)

Cerco di esprimere semplicemente un concetto che è affiorato in alcuni interventi, e in particolare in quello di Violante e poi ripreso da altri con accenti diversi.

Credo che questa questione della legalizzazione, e quindi di ciò che evoca la questione del proibizionismo, sia decisiva per andare avanti oltre il fronte dei "no". Per affrontarla, semplicemente un suggerimento di riflessione: si è parlato tanto nelle settimane scorse, nei mesi scorsi dell'affermazione del commissario antimafia Sica secondo cui lo Stato in alcune zone d'Italia non esercita la sovranità. Bene, la sovranità non è solo monopolio della forza, è qualche cosa di più ampio e di più complesso, ed è in particolare capacità di controllare la legalità e regolarità dei meccanismi di produzione della ricchezza sociale.

Oggi, in alcune zone d'Italia il fatto che lo Stato, centrale, unitario, non eserciti la sovranità, significa che la criminalità organizzata amministra essa in proprio meccanismi di produzione e circolazione di ricchezza sociale, cosa che le ricerche dei sociologi più avvertiti, da Amato Lamberti a Raimondo Catanzaro, dimostrano con ampiezza di materiale documentario e con acutezza di analisi, e che però è anche esperienza empirica, concreta di chiunque quelle zone d'Italia in qualche misura frequenta.

Che significa amministrare in proprio, da parte della criminalità organizzata, i meccanismi di produzione e circolazione di quote di ricchezza sociale? Significa capacità di distribuire risorse, redditi, beni, persino servizi, e attraverso questi meccanismi di organizzare consenso, ovvero di svolgere una funzione che, qualunque giro di parole noi vogliamo adottare, è eminentemente una funzione politica.

E' questo che crea l'antistato, non è semplicemente il fatto che la criminalità organizzata disponga di sue forze di polizia contrapposte alle forze di polizia di origine e derivazione statuale, quindi semplicemente un problema di divisione del monopolio della forza: è questione di amministrazione di consenso attraverso la capacità di distribuire risorse, attraverso questa distribuzione delle risorse di aggregare intorno a sé strati sociali, esercitare autorità che è politica e insieme di comportamento di sistema di valori.

Tutte le ricerche in questi anni, anche quelle dei più feroci nemici dell'antiproibizionismo, sono concordi nel ritenere che oggi la forza, ovvero la ricchezza di cui dispone e che in qualche misura distribuisce la criminalità organizzata, si alimenta dai proventi del traffico internazionale della droga. Allora, sottrarre alla mafia questa fonte decisiva di ricchezza che, come dicevamo, è insieme distribuzione di risorse, di consenso, esercizio di ruolo politico, attraverso l'eliminazione del proibizionismo e la legalizzazione controllata della circolazione della droga, è se non altro, a mio avviso, un importante argomento da discutere e da affrontare.

Da questo punto di vista, un po' mi ha stupito la frettolosità con cui Violante, forse anche lui pressato dai tempi, ha rimosso la questione, anche perché all'interno del Partito Comunista, tale questione è tutt'altro che tabù, è tutt'altro che questione rimossa, la si affronta e la si discute. Quello che però mi ha colpito nel suo ragionamento è il fatto che lui dicesse che questo programma di legalizzazione, quindi questa ipotesi antiproibizionista, è un'ipotesi che rischia di inseguire il mercato; in opposizione a questo che cosa ha proposto Violante?

Non ho nessuna intenzione di ridicolizzare le sue parole, perché su questa questione ciascuno di noi va con grande prudenza e giustamente con molte incertezze, però mi sembra che abbia proposto, sostanzialmente, una grande battaglia ideale insieme a una lotta contro i trafficanti, una mobilitazione per sottrarre i giovani alla tentazione della droga. Questa impostazione, in astratto, assolutamente dignitosa e accettabile, è viziata, ai miei occhi, da un inguaribile e pernicioso ottimismo: Violante parla come se fossimo a bocce ferme, come se fossimo a vent'anni fa.

Credo che l'ipotesi antiproibizionista parta da un assunto ineludibile, e l'assunto ineludibile è, a mio avviso, esprimibile in queste banali parole: la guerra con la droga è stata persa, si tratta ora di limitare il numero delle vittime.

L'acquisizione di questa consapevolezza può indurci ad esaminare con scientificità, con prudenza, con attenzione, con tremori - perché a mio avviso l'ipotesi antiproibizionista giustamente sollecita paure e incubi, giustamente la prudenza delle benemerite associazioni cattoliche hanno dietro questa motivazione, tutt'altro che disprezzabile - questa tematica come una tematica che parte dalla constatazione di una sconfitta interamente consumata.

Da questo punto di vista non dobbiamo avere paura di osare l'inosabile, ovvero di sporcarci le mani con proposte, programmi, ipotesi di legge che sicuramente sono tutt'altro che allettanti, tutt'altro che gratificanti per chi crede comunque che forme di tossicodipendenza come quelle indotte dal consumo delle droghe pesanti, siano ovviamente fonte di disgregazione e di infelicità sociale.

Questa è la cosa che mi sembrava utile sottolineare come piccolo contributo; avevo preparato, perché sono diligente, tutta una parte molto ampia sul senso ideologico della campagna in corso che, a mio avviso, è sicuramente la cosa per un verso più inquietante, e per l'altro più istruttiva; su questo dirò solo due cose, una perché è stata citata e mi sembra importante riprenderla, e una perché mi ha colpito nella percezione visiva mentre venivo a Roma dall'aereoporto.

La prima è la seguente: non abbiamo a sufficienza notato, a sufficienza contestato, a sufficienza criticato un passaggio di questa campagna: il fatto che rientrata la minaccia sappiamo che nei fatti non rientra - nel corso della campagna del carcere per i tossicodipendenti, è rimasta inalterata nella coscienza di coloro che questa campagna portavano avanti, e soprattutto dalla loro platea - una semplice affermazione: ergastolo per i grandi spacciatori. Credo che questo segni in maniera veramente drammatica il grado di regressione culturale che questa campagna può portare avanti; il fatto che alla figura più ripugnante per il consesso sociale del grande spacciatore, con tanta leggiadria si sia unito il termine "ergastolo", sapendo che siccome la figura che evocava questa pena era giustamente ripugnante alla coscienza collettiva, io credo che sia stato proprio il segno inequivocabile del fatto che a questo questa campagna mirasse, vale a dire alla regressione nella coscienza della gente della percezione di che

cosa è una società equa e di come si amministra equamente la giustizia, perché tutti sappiamo quanto l'evocazione dell'ergastolo abbia una esclusiva funzione ideologico- simbolica.

Seconda cosa: oggi le edicole di Roma sono tappezzate da una locandina del giornale quotidiano "Il Tempo", che recita così: "Una ragazza ruba per tornare in carcere e disintossicarsi": non dobbiamo essere troppo indifferenti a questi messaggi; questi messaggi passano, il fatto che sia triviale e osceno non limita l'impatto che questo messaggio ha.

Si è parlato in questi mesi della campagna contro la liceità del drogarsi, come una campagna contro il permissivismo degli anni '70. Gli anni '70 sono stati il decennio in cui è stato riconosciuto al soggetto debole un sistema di diritti: il soggetto fragile, il soggetto esposto ha avuto negli anni '70 un riconoscimento, non solo sociale e politico, ma anche giuridico e istituzionale, del fatto che poteva godere di diritti e che esisteva una possibile solidarietà organizzata che lo aiutasse a poter godere di questi diritti.

Non voglio fare veloci assemblamenti ma credo che, con tutte le enormi differenze, ci siano dei sottili collegamenti tra la campagna per l'aborto e la campagna sulla droga: in entrambi i casi si nega, si vuole negare ai soggetti fragili, nel caso della donna fragile nel momento, in quel momento, così come il tossicodipendente, il fatto che il soggetto debole possa godere di diritti.

Nel momento in cui si parla di espansione dei diritti di cittadinanza, questo non è nient'altro che un'offensiva per la riduzione dei diritti di cittadinanza.

 
Argomenti correlati:
droga
antiproibizionismo
mafia
diritti civili
disegno di legge
stampa questo documento invia questa pagina per mail