(dall'Economist del 21 gennaio 1989)SOMMARIO: L'attuale responsabile statunitense per la "guerra alla droga" ha dichiarato in passato che si tratta di una guerra che l'America sta perdendo. Partendo da questa osservazione, The Economista illustra gli effetti nefasti del proibizionismo.
(Notizie Radicali n· 55 del 13 marzo 1989)
William Bennet, che di recente è stato nominato "zar antidroga" dal presidente Bush, una volta ha dichiarato che la campagna di cui ora è alla testa era una guerra che l'America stava perdendo. Aveva ragione: le battaglie perdute portano disastro personale a molti americani, e minacciano la pace civile in alcune delle sue grandi città. Peggio ancora, la sconfitta è una calamità per molti paesi poveri, alcuni virtualmente sotto il giogo dei baroni della droga. Una conferenza delle Nazioni Unite ha impegnato, nel mese di dicembre, tutto il suo peso morale, ma per il resto inesistente, a sostegno degli americani nella loro guerra contro le droghe. Ma anche se il peso fosse reale, la soluzione non sarebbe più vicina.
Il guaio nell'attuale guerra contro le droghe è che l'arma fondamentale ferisce proprio chi la impugna. Il proibizionismo americano sull'alcool fece fallimento fra il 1919 e il 1933, dopo aver ricompensato riccamente le gang dei fornitori. Quando il proibizionismo finì, alcuni di quei contrabbandieri diventarono produttori e distillatori rispettosi della legge. Ma la lezione del proibizionismo rese quei mafiosi, che l'avevano imparata, capaci di diventare ancora più ricchi: le droghe proibite potevano fornire profitti perfino maggiori dell'alcool proibito. I loro cartelli oggi esistenti controllano reti commerciali esenti da tasse, che moltiplicano migliaia di volte il valore di semplici materie grezze, in modo così redditizio che essi corrompere, intimidire o uccidere i funzionari dei paesi ricchi e poveri.
Il denaro della droga ha contribuito a distruggere il Libano. Mette in pericolo l'Afghanistan del dopo Urss. I governi della Colombia e di Panama esistono alla sua ombra. Gli americani, comprensibilmente, sono preoccupati più dal crack nelle loro scuole e dai fucili nelle loro strade. Questi problemi si sprigionano dalla medesima fonte inquinata. Gli Stati Uniti sono di gran lunga il maggiore mercato per le droghe. Il mercato è efficiente: l'offerta è cresciuta, la competizione (i fucili) si sta intensificando, i prezzi cadono, il consumo aumenta. Il proibizionismo fallisce perché la ricompensa per chi lo evade è così alta.
Cerchiamo il controllo, non la soppressione del mercato
Gli uomini e (meno spesso), le donne dall'inizio dei tempi si sono messi in bocca dei nemici per uscire di testa. Soprattutto due droghe sono comuni nelle società occidentali: tabacco e alcool. I legislatori saggi cercano di limitare i loro danni, non di metterle al bando. I governi insistono che i produttori dichiarino apertamente i danni alla salute che provocano, introducono limiti alla pubblicità, aumentano le tasse, regolano la vendita. Queste politiche funzionano. Avvisata, la gente sta diventando più saggia, fuma di meno, beve con maggiore prudenza. La maggior parte delle persone che si uccidono col tabacco o con le sbornie lo fanno conoscendone i rischi; un numero assai maggiore trova piacere in un uso moderato di queste droghe. L'Inghilterra del XVIII secolo era rovinata dal pessimo gin a buon prezzo nelle sue nuove grandi città. Il governo allora introdusse controlli sulla qualità delle bevande alcooliche, licenze di vendita al dettaglio, e una tassazione per orientare la domanda sugli intossicanti
meno dannosi. In Gran Bretagna l'ubriachezza è da allora un fastidio, non una piaga.
Oggi le tre principali droghe illegali sono marijuana, cocaina ed eroina. Esse sono raggruppate insieme, e messe a parte rispetto ad alcool e tabacco non perché sono simili, ma perché sono illegali. Questo le rende senza ragione attraenti per i giovani ribelli, e senza ragione terrorizzanti per chi è rispettoso della legge, e dovrebbe essere più preoccupato dei criminali che detengono il traffico che delle droghe in sé.
La marijuana e la sua forma concentrata, l'hashish, ti danno un po' di torpore. Sono sostanze tossiche come l'alcool, possono danneggiare i polmoni come il tabacco e creano meno dipendenza di entrambi, come decine di milioni di americani sanno di loro esperienza. Dichiarandole illegali gli Stati Uniti dissipano milioni di dollari, nel vano tentativo di sopprimere il mercato, e rinunciano a miliardi in tasse su una coltivazione che può oggi essere seconda in valore soltanto al frumento.
La cocaina, che fa sentire intelligenti gli stupidi, ha perso attrattiva questo è diventata meno costosa e si sono conosciuti i suoi effetti dannosi sul naso e sul cuore. Come l'alcool, essa afferra alcuni fra quanti la provano, specialmente nella cattiva ed economica forma adulterata che si chiama crack. Una politica razionale la tasserebbe più duramente, e limiterebbe i suoi punti di vendita in modo più severo, proprio come i superalcolici sono controllati e tassati più della birra.
L'eroina è molto più pericolosa. Essa dà piacere e ossessiona molti di coloro che la provano, e ne causa la dipendenza. L'attuale politica li spinge a pagare la loro sostanza o aggredendo innocenti o diventando spacciatori e perciò reclutatori di nuovi consumatori. Le vittime dell'eroina hanno bisogno di dottori, ma la legge li fa cadere nelle mani dei gangster; dichiarandoli criminali li scoraggia dal cercare un trattamento, e così diffonde il male che intendeva contenere .
Il proibizionismo aggrava crudelmente i problemi che intendeva risolvere. Perciò facciamola finita. Legalizzare, controllare, scoraggiare: sono queste le armi per la guerra di Mr Bennett.
(traduzione di Marco Taradash, dall'Economist del 21 gennaio 1989)