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Taradash Marco - 13 marzo 1989
Proibizionismo: la peggior minaccia alla sicurezza
Marco Taradash

SOMMARIO: Il congresso di fondazione della Lega Internazionale Antiproibizionista si tiene proprio in Italia, dov'è in corsa una nuova, dura campagna proibizionista. L'autore denuncia questo furore cieco e demagogico, che mira solo alla criminalizzazione dei consumatori invece di affrontare il problema del grande mercato della droga prodotto dal proibizionismo.

(Notizie Radicali n· 55 del 13 marzo 1989)

C'eravamo lasciati a Bruxelles, al termine del Colloquio internazionale sull'antiproibizionismo (29 settembre - 1 ottobre 1988), con un preciso impegno: ritrovarci, dopo qualche mese, dopo aver approfondito conoscenze e rapporti (dopo, fra l'altro, il congresso della Drug Policy Foundation, che si è svolto a Washington alla fine di ottobre) per dare vita, finalmente, a un'organizzazione politica. Una lega fra persone e associazioni che fosse capace di tradurre in iniziative, proposte legislative, campagne di opinione, la straordinaria ricchezza di sapere e impegno che esiste oggi nel mondo contro il proibizionismo e le sue devastanti derivazioni. Avevamo previsto in un primo momento di riunirci a Zagabria, all'inizio di gennaio, subito dopo la conclusione del congresso del Partito radicale; dopo il No in zona Cesarini del governo federale jugoslavo, la data era slittata a fine marzo, sempre in concomitanza con la conclusione del congresso radicale. Il nuovo rinvio deciso a Strasburgo, per consentire l'estrem

o tentativo di svolgere il congresso a Budapest, come difatti avverrà, ha reso impossibile, dal punto di vista organizzativo, un'ulteriore scivolamento dei tempi e ci ha in pratica costretto, per contenere i costi, a organizzare il congresso di fondazione a Roma. Ma per una volta caso e necessità sembrano coincidere: è proprio in Italia, fra tutti i paesi occidentali, che è in atto oggi la più cieca controffensiva dello "statu quo" per impedire, con l'uso spregiudicato del potere, della demagogia e dei mass media, l'affermarsi di proposte ragionevoli, concrete e umanitarie. Nel paese della mafia, camorra e 'ndrangheta, dei quarantamila narcomiliardi di fatturato all'anno, delle stragi sui treni preordinate, secondo il superprefetto Sica, da un'"agenzia " criminale che gestisce il traffico di droga e di armi, governo italiano e Partito socialista in particolare hanno aperto da qualche mese la caccia alle streghe, contro una inesistente "cultura della droga" e contro il "permissivismo" (e il primo a farne le

spese è stato proprio il numero due del Psi, Claudio Martelli, inciampato in un intrigo tipico di tale clima tossico). Governo e Psi investono prestigio politico, impegnano risorse finanziarie, caricano di pesi insostenibili amministrazione giudiziaria e forze dell'ordine per - incredibile a dirsi - riempire le preture o le carceri di qualche migliaio di piccoli consumatori di droghe leggere o pesanti. E' il miglior servizio che si può fare al mondo criminale. Non soltanto per l'effetto pratico di questa legge (che, se fosse applicata, seppellirebbe definitivamente la macchina giudiziaria) quanto perché nel frattempo non si fare quello che è assolutamente necessario fare: colpire la narcocriminalità - la più spaventosa organizzazione di potere violento mai esistita - nel suo centro nevralgico, l'accumulazione del capitale. Il proibizionismo è ormai culturalmente finito, un'epoca della politica criminale sta chiudendo i suoi conti. Ma il danno che esso procura all'intera società rischia di diventare irrevers

ibile. Se incalcolabile è il prezzo che l'intera società ha dovuto e deve pagare, in termini di milioni di atti di violenza - furti, rapine, omicidi - e di corruzione (la tassa sui non consumatori di cui parla Milton Friedman), garantire ancora per qualche anno al mercato criminale l'approvvigionamento di migliaia di miliardi di lire è assolutamente suicida. Consentire che queste enormi somme rifluiscano, dopo qualche giravolta tecnotronica fra le banche internazionali e la borsa, sul mercato legale, avrà l'effetto, impalpabile, ma non per questo meno vero, di ridurre ulteriormente la libertà economica, e quindi giuridica, dei singoli e delle aziende; renderà al tempo stesso istituzioni e ordinamenti ancora più esposti all'intimidazione, alla corruzione e, come estrema ma non inconsueta arma, alla distruzione fisica degli uomini che vi presiedono. La Lega internazionale antiproibizionista potrà svolgere una parte essenziale per invertire questo processo che dalla democrazia (o anche dall'autocrazia, o dalla

partitocrazia, comunque dalla legalità) sembra spingere inesorabilmente verso forme più o meno coperte di narcocrazia. La lunga e prestigiosa lista dei partecipanti (e molti di più avrebbero potuto essere, se il Partito radicale avesse potuto sopportarne i costi), il messaggio di augurio e riconoscenza di Milton Friedman, il numero dei paesi rappresentati, nordamericani, latino-americani ed europei, sono la conferma della "necessità" - come ci scrive Friedman - di questo congresso.

La relazione di Marco Pannella aprirà la discussione, insieme all'introduzione ai lavori di Nick Harman, caporedattore dell'Economist, il più autorevole settimanale politico-economico del mondo, che da alcuni mesi ha ingaggiato una campagna per il ritorno del controllo dello stato su un territorio abbandonato alla selvaggia liberalizzazione criminale. E la discussione potrà fondarsi sui risultati del Colloquio di Bruxelles, di cui sono ormai disponibili, in volume e in tre lingue (italiano, inglese, francese) gli atti. Da quel Colloquio, nonostante e grazie alle differenti prospettive, giuridica, medica, criminologica, economica, filosofica, è emersa una verità di fondo: il proibizionismo trasforma un problema sanitario, sociale e - voglio aggiungere - di mercato (vale a dire di regole, e di regole che devono e possono essere rispettate) in un problema di ordine pubblico. Ovvero di violenza e illegalità. Ogni proibizionismo è una sfida pericolosissima alla libertà personale, alla maturazione responsabile deg

li individui, alla crescita di consapevolezza sui rischi di certi comportamenti, e ogni liberale e libertario non può che contrastarlo. Ma questo proibizionismo, e il suo inevitabile fallimento, è oggi la peggiore, più incombente minaccia per la sicurezza interna e internazionale degli stati, per la vita, l'incolumità e la salute delle persone. Chi questo oggi sa, ha il dovere di organizzarsi per una guerra alla "guerra contro la droga" che sarà - come scrive Georg Thamm - non segno di resa ma, al contrario, l'unica arma efficace per raggiungere quegli stessi obiettivi che anche i più ciechi proibizionisti (ma, certo, non quelli al soldo delle mafie) si ripromettono.

 
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