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Negri Giovanni - 25 marzo 1989
Tibet: Una campagna transnazionale per la vita del "Tetto del Mondo"
di Giovanni Negri

SOMMARIO: La drammatica situazione nel Tibet e l'indifferenza generale in occasione della visita del Dalai Lama al Parlamento europeo. La campagna "Vivo il Tibet".

(Notizie Radicali n· 66 del 25 marzo 1989)

Il mondo è strano. Forse anche grazie alla banalità di certo "verde", ormai ridotto a tempo libero della politica e a buona (verde) coscienza, a buon (verde) mercato, ci mobilitiamo tutti - e noi fra i tutti - per l'Amazzonia; e rimoviamo ferocemente tutti - e non noi fra tutti - la verità e la realtà di trenta milioni di bipedi umani condannati ogni anno all'Olocausto della fame.

A cosa mai rischia di ridursi una certa ideologia "verde"?

Quest'anno ci siamo giocati l'Austria. Vero. Giusto dirlo. Ma non è forse vero che anche quest'anno ci siamo giocati una nuova Buchenwald?

Sopra il tetto del mondo una fascia di ozono quasi consumata inquieta l'umanità, e già qualcuno si chiede se non sia troppo tardi.

Ma tra la fascia di ozono e una terra, un'acqua, una foresta anch'esse minacciate e inquietanti, c'è appunto il tetto del mondo. Anche lì la violenza. Violenza dell'uomo sull'uomo, violenza della "rivoluzione" sulla cultura nonviolenta, violenza dell'uomo sulla natura incontaminata. I carri armati "socialisti" della Repubblica popolare cinese hanno distrutto migliaia di monasteri, tentato di sopprimere una civiltà millenaria, libera e mite. Un milione di Tibetani sono morti sotto l'occupazione.

Il Tibet non ha mai avuto necessità di un'identità statuale. Le grandi vette e una natura dirompente con le quali vivere in armonia, la tolleranza che ha unito contadini, sherpa e monaci, la cultura e la religione buddista hanno fatto del Tibet e dei Tibetani un territorio e un popolo privo di frontiere, pacifico e disarmato prima, più propriamente nonviolento poi.

La violenza cinese e l'indifferenza del mondo stanno uccidendo il tetto del mondo.

Il Dalai Lama è giunto a Strasburgo, non invitato e indesiderato da una presidenza del Parlamento assai più sensibile agli affari con Pechino che alle umili e sagge proposte del capo spirituale del Tibet occupato e del Tibet esiliato. Il Presidente del Parlamento europeo non ha neppure voluto annunciare la sua presenza e ha diffuso una dichiarazione precisando che il Dalai Lama non era ospite ufficiale del Parlamento. Umiliato e ridotto a intrattenere qualche decina di parlamentari e giornalisti interessati in una saletta marginale del Palazzo d'Europa, il Dalai Lama ha pronunciato il discorso che pubblichiamo.

Le proposte del Dalai Lama sono due, elementari e affascinanti: l'apertura di trattative dirette con Pechino per giungere alla pacificazione e l'assegnazione di uno statuto particolare al Tibet. Quello di "Parco dell'umanità", oseremmo dire - giacché ci pare la parola più appropriata -, di "Parco transnazionale dell'umanità", nel quale umanità diverse possano convivere fra loro in un rapporto di pace, tutela e dialogo con la natura, così come accaduto dal 127 avanti Cristo sino all'occupazione cinese.

Da militanti per il diritto alla vita, senza impegnare formalmente alcuna organizzazione e alcun partito (ma auspicando che organizzazioni e partiti vogliano dedicare attenzione e aderire a quest'iniziativa) lanciamo una campagna, italiana ed europea. Grazie all'azione degli eurodeputati radicali, il Parlamento di Strasburgo ha votato una risoluzione di condanna delle repressioni e dello stato di assedio in Tibet. La diplomazia cinese ha perciò attaccato duramente i parlamentari radicali (vedi la nota della legazione diplomatica cinese presso la Cee). Ma tutto ciò, pur essendo già importante, non basta.

Vivo il Tibet. E' questo il titolo della nostra campagna. Chi può aderirvi? Chiunque: a Roma o Bonn, Londra o Parigi. Come? Compiendo i seguenti tre atti: invio di cartoline "Vivo il Tibet" presso ambasciate e consolati della Repubblica popolare cinese del proprio paese; richiesta di concessione del visto di ingresso in Cina con l'esplicita motivazione di visitare le popolazioni tibetane; invio del poster "Vivo il Tibet" ai ristoranti cinesi delle proprie città, con richiesta di pubblica affissione.

Noi stessi compiremo questi atti a partire da lunedì, quando consegneremo il nostro passaporto all'Ambasciata della Repubblica popolare cinese. Perché da nonviolenti, da radicali, non ci piace rimuovere. Non la foresta tropicale e i suoi indio, non i trenta milioni di animali-uomo che crepano di stenti, non il tetto del mondo e il popolo che non chiede altro che di abitarlo.

 
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