Sergio StanzaniXV.
GLI ALTRI DUE OBIETTIVI DI BOLOGNA. I TREMILA ISCRITTI FUORI D'ITALIA. I PROBLEMI E LE DIFFICOLTA'. ANALISI DELLE ISCRIZIONI. DA MADRID A BOHINJ A STRASBURGO. LA DECISIONE DI STRASBURGO. LA SFIDA DEL PARTITO RADICALE SULLA LINEA DI STRASBURGO.
SOMMARIO: Nel quindicesimo capitolo della relazione presentata dal Primo segretario del Partito radicale al Congresso di Budapest, Sergio Stanzani individua le difficoltà riscontrate nell'attuazione degli obiettivi della mozione approvata dal precedente congresso di Bologna. Le decisioni dei Consigli federali. L'analisi delle iscrizioni trasnazionali. Almeno diecimila iscritti entro la fine di giugno del 1989 se non si vuole procedere alla alienazione dei beni del PR e quindi alla sua chiusura.
(35· Congresso del Partito radicale - Budapest 22-26 aprile 1989)
Care compagne e cari compagni,
l'essere qui a Budapest, in Ungheria, in questa splendida città, consapevoli di vivere con e in questo 35· Congresso un momento eccezionale, di portata storica, lungo il percorso tracciato dall'esistenza del nostro partito, non mi esime dal trattare in questa relazione anche cosa è stato fatto, o non è stato fatto dagli organi del partito, durante i sedici mesi trascorsi dal Congresso, che abbiamo tenuto a Bologna, nei primi giorni del 1988.
E' per noi radicali buona norma che gli organi esecutivi rispondano ogni anno, in Congresso, agli iscritti, del mandato che è stato loro affidato con la mozione approvata prima dell'elezione; ogni anno, a data prefissata, secondo un preciso dettato statutario, che costituisce uno dei caratteri essenziali e distintivi del partito: l'essere, il nostro, un partito annuale.
Quest'anno, per la prima volta nella nostra storia, non è stata rispettata questa scadenza: ci riuniamo con un ritardo di quasi 4 mesi sulla data prestabilita. Le ragioni e le vicende che hanno determinato questo ritardo sono note: tutti noi le conosciamo. Sono ragioni e vicende che hanno come origine una decisione presa a Bologna, dal Congresso, che, nella mozione, ha prescritto agli organi del partito di tenere il 35· Congresso, questo Congresso, in "una città europea non italiana".
Venuta meno la possibilità di tenere il Congresso a Zagabria, la scelta di Budapest è subito emersa come quella più ricca di significato, più capace di rispondere all'attualità del momento politico e in grado di dare maggiore compiutezza al nostro impegno transnazionale: le incertezze, gli ostacoli, gli errori dei paesi europei dell'occidente nel procedere verso l'unità politica, il mutare del panorama dell'est europeo, la rilevanza degli avvenimenti e le indicazioni provenienti da questo paese, ponevano con chiarezza nell'Ungheria e a Budapest la meta del nostro cammino. Per quanto ambita, la scelta non era comunque facile, soprattutto dovendo tener conto della ristrettezza dei tempi disponibili per consentire alle autorità ungheresi la decisione: limiti oggettivamente ristretti per qualsiasi governo, di qualsiasi paese.
Prospettammo Vienna come sede del Congresso nell'eventualità che l'ostacolo dei tempi non fosse sormontabile. A Strasburgo, tuttavia, decidemmo di aprire pubblicamente il dialogo, peraltro già avviato, con le autorità ungheresi, avendo giudicato di poter e dover riporre in loro la nostra fiducia, forti delle nostre convinzioni e del significato della nostra iniziativa e della nostra proposta. Il rischio di questa scelta era inoltre accresciuto dalle difficoltà logistiche ed organizzative da superare per consentire agli iscritti, in particolare ai residenti italiani, di prendere parte ai lavori del Congresso a e in condizioni equivalenti a quelle per consuetudine assicurate in passato in Italia. Il rischio - da alcuni ritenuto eccessivo - assunto consapevolmente, è stato ancora una volta compensato da un risultato di rilievo eccezionale e che costituisce per il partito un momento di importanza storica.
In forza di questo risultato, ritengo si possa convenire che, se è vero, come è vero, che quest'anno ci siamo riuniti in Congresso contravvenendo per la prima volta la scadenza fissata nello statuto, è anche vero che questo ritardo, originato dalla necessità di osservare quanto disposto dall'ultimo comma della mozione di Bologna, costituisce a tutti gli effetti un evento "eccezionale", che possiamo correttamente accettare come "l'eccezione che conferma la regola": essere il partito radicale un partito che è e vuol essere annuale.
La mozione approvata a Bologna dal 34· Congresso comportava il conseguimento di un altro risultato: il duplice obiettivo di 4 miliardi di lire (circa tre milioni di dollari) di autofinanziamento e di tremila iscritti fuori d'Italia.
A Bohiny, agli inizi del 1989, dopo un anno, l'autofinanziamento dovuto alle iscrizioni, ai contributi (compresa la parte delle indennità versate dai parlamentari, eletti nelle liste radicali, alla Camera dei Deputati ed al Senato in Italia ed alla Comunità europea) e ad altre attività, non avevano superato, in totale, i tre miliardi di lire; gli iscritti non residenti in Italia erano meno di mille: risultati insoddisfacenti, obiettivo - questo - non realizzato.
Nella sua relazione, Paolo Vigevano fornirà in merito elementi più esaurienti.
A mio avviso, si tratta di risultati che, alla luce dell'esperienza di quest'anno, non sono così deludenti come le cifre possono far ritenere. Si tratta, comunque, di un insuccesso, di risultati negativi, che devono indurre ad un'attenta e profonda riflessione, perché costituiscono un indice di una situazione molto difficile, aggravata e non attenuata dalla mia considerazione che tende a sottolineare un impegno che c'è stato, un'attività che si è svolta, un'iniziativa che non è - nel complesso - certo venuta meno.L'insuccesso è ancor più significativo se posto in relazione a quanto la mozione approvata a Bologna precisava nell'enunciare l'obiettivo: i 4 miliardi e i tremila iscritti erano giudicati, congiuntamente alla "costituzione di primi significativi nuclei associativi almeno in alcuni paesi europei" come "condizioni minime indispensabili per l'esistenza del partito e di un'attività transnazionale".
Quali gli errori commessi, quali le insufficienze riscontrate? Sono stati questi errori, queste insufficienze, la causa dell'insuccesso? O non vi sono ragioni più generali e profonde
all'origine di questi risultati negativi?
Molti di voi ricorderanno che nell'accettare di assumere la responsabilità di essere, per il 1988, il primo segretario del partito, vi manifestai la mia intenzione di convocare in anticipo il Congresso, qualora mi fossi reso conto dell'impossibilità di ottenere questi risultati. Ricorderete anche le contrapposizioni emerse con vivacità e passione nel corso del dibattito sulla mozione, tant'è che, pur approvata da una larga maggioranza, non ottenne i 3/4 dei voti necessari per renderla vincolante, a
termini di statuto, per tutti gli iscritti.
Io ritengo che la scelta di essere partito transnazionale e transpartitico, sia stata una scelta giusta. Bene quindi abbiamo fatto a decidere la non presentazione alle elezioni in ambito nazionale, anche in Italia. Di questo ne sono oggi più convinto e consapevole di quanto non lo fossi a Bologna.
Ma non fu solo su questi temi che si verificarono importanti differenze a Bologna: vi furono compagni che sostennero autorevolmente la necessità di inserire ancora una volta nella mozione la clausola dello scioglimento automatico del partito, connessa al mancato conseguimento dell'obiettivo. Io fui, con altri compagni, contrario all'inserimento di questa clausola. Sulla base dell'esperienza maturata, devo riconoscere che gli organi esecutivi del partito avrebbero avuto da una mozione vincolante con la clausola dello scioglimento automatico un notevole aiuto nell'affrontare e svolgere il proprio compito: l'iniziativa poteva essere più finalizzata e selettiva, l'attività più determinata e semplificata, più capace - probabilmente - di coinvolgere direttamente le energie militanti disponibili. Mi permane, tuttavia, il convincimento che il gruppo dirigente e gran parte degli iscritti, a Bologna non avevano maturato sufficiente esperienza e riflessione collettiva, e - quindi - convinzione, sulla necessità pri
oritaria, irrinunciabile e indilazionabile del partito, di essere transnazionale e transpartitico e pertanto a Bologna non c'era e non poteva esserci
la disponibilità del Congresso a porre ancora una volta in giuoco la propria esistenza, apertamente, senza margini e senza riserve, puntando tutto su di un obiettivo, tra l'altro, formalmente tanto simile, ripetitivo, di quello dei 10.000 iscritti, "O lo scegli o lo sciogli", anche se vincente. Troppo recente il trauma, positivamente superato, ma in condizioni e con prospettive tanto diverse! Quanto meno a Bologna si sarebbe dovuta determinare una frattura del Congresso e, inevitabilmente, del gruppo dirigente.
Era questa la via più rispondente alle nostre esigenze, risolvente dei problemi del partito? Avremmo evitato l'insuccesso che oggi dobbiamo registrare? Il ritardo di Bologna, se vi è
stato, è oggi recuperabile?
Per quanto mi riguarda, a Bologna ho creduto che l'unità del partito e del suo gruppo dirigente fosse un presupposto indispensabile per tentare d'individuare e di porre in essere i mutamenti che la scelta transnazionale e transpartitica sembrava far credere fossero necessari. La mozione è stata quanto ha potuto o saputo esprimere quell'unità; la mia elezione il prezzo che ho ritenuto di poter e dover pagare in prima persona al mio
convincimento.
A quest'unità ho dedicato, ritengo con umiltà e con paziente costanza, le mie energie, durante questi sedici mesi, con l'apporto solidale anzitutto del Tesoriere, nonché dei primi segretari aggiunti e dei componenti della segreteria. Il risultato non è stato quello atteso; mi auguro, comunque, che l'esperienza comune e di ciascuno, ci ponga individualmente in condizioni di contribuire, più e meglio, qui in Congresso, ad affrontare i problemi e la situazione che gravano su
tutti.
D'altro canto voglio anche qui precisare che la consapevolezza dell'impossibilità di realizzare entro il 1988 l'obiettivo dei 4 miliardi e dei tremila iscritti, è stata da me, da noi, acquisita solo dopo alcuni mesi.
Nella relazione presentata alla prima riunione del Consiglio Federale a Bruxelles, anche in vista della possibilità che la mozione congressuale fosse resa vincolante con un voto del Consiglio, proponevo i termini per la verifica della praticabilità dell'obiettivo e prospettavo anche la convocazione anticipata del Congresso.
A questo punto è necessario fare presente un elemento importante, positivo, che ha caratterizzato la conduzione politica del partito durante l'intero periodo: il ruolo deliberante, di frequente determinante, assunto dal Consiglio Federale. E' un argomento sul quale mi sono soffermato nella relazione presentata al Consiglio Federale di Strasburgo e che proprio in quella circostanza ha trovato puntuale riscontro.
A determinare questo ruolo hanno contribuito due fattori, entrambi connessi con la sua composizione: il primo, l'essere il Consiglio Federale composto in maggioranza da iscritti non residenti in Italia, il secondo dovuto alla partecipazione attiva di Marco Pannella.
Tant'è che il Consiglio Federale a Bruxelles non solo non ritenne di rendere vincolante la mozione per tutti gli iscritti con il proprio voto, ma non accolse le mie proposte per le verifiche da effettuarsi nella prospettiva di una convocazione anticipata del Congresso.
Soluzione da me successivamente proposta e sostenuta in segreteria, avvalorata dall'offerta delle mie dimissioni, senza ottenere un adeguato consenso e che venne poi definitivamente respinta a Madrid, ove il Consiglio Federale prese atto della comprovata impossibilità di realizzare questo obiettivo.
L'"anno radicale" 1988, dal Congresso di Bologna ad oggi, può essere preso in considerazione suddiviso in tre periodi o, meglio, in tre fasi. ciascuna caratterizzata da momenti particolarmente significativi al fine di valutarne l'andamento.
Io mi riferirò a questi momenti, rinviando per il resto alla documentazione prodotta e disponibile.
A questo proposito voglio aprire una parentesi: sono qui, in
Congresso, disponibili le relazioni presentate da Paolo Vigevano e da me alle riunioni del Consiglio Federale; si tratta, nel complesso, di oltre 150 pagine; purtroppo è stato possibile fare la traduzione dei testi solo in francese.
Durante l'anno è stato anche prodotto, per la segreteria ed i componenti del Consiglio Federale, uno "scadenzario", che ha raccolto, via via, le note di lavoro sui compiti assegnati e sullo svolgimento delle attività programmate (anche questo testo è disponibile, tradotto in francese).
Durante l'anno sono stati inoltre pubblicati 21 numeri di "Notizie Radicali", giornale e 17 numeri di "Lettera Radicale".
Il giornale è stato distribuito anche in edizione francese (due numeri sono stati tradotti in sloveno e serbo-croato), mentre tutti i numeri di "Lettera Radicale" sono stati distribuiti agli iscritti non di lingua italiana, in francese, inglese, spagnolo, polacco, portoghese, serbocroato, sloveno ed ungherese. Da ultimo è stato anche predisposto un "Numero Unico", del quale è disponibile in Congresso una "bozza", tradotta in inglese, serbocroato, ungherese e, mi auguro, anche in polacco.
Si tratta di una documentazione sulla vita, sull'attività del partito, che almeno in termini quantitativi, non ritengo sia stata mai prodotta in passato, e che costituisce un sia pur piccolissimo elemento di novità, in risposta alle esigenze dell'essere, del voler essere partito transnazionale: sono e siamo consapevoli che si tratta di una risposta insufficiente e del tutto ancora inadeguata, ma sono e siamo anche consapevoli di quanto impegno, dello sforzo e del denaro che è costata.
Chiusa la parentesi, ritorniamo alle fasi che si sono succedute quest'anno.
La prima ha avuto come momento iniziale la formulazione del programma, articolato secondo i sei temi indicati nella mozione congressuale e con un obiettivo prioritario: gli Stati Generali dei Popoli europei. Si è trattato di un momento che ha impegnato tutto il partito sul fronte della Comunità europea, con l'attenzione particolarmente rivolta ai paesi dell'Europa occidentale e che avuto nel Parlamento Europeo e in quello italiano, con gli straordinari successi ottenuti in queste sedi dai nostri compagni parlamentari, i punti di maggiore impegno, momento caratterizzato anche da iniziative che hanno mobilitato i compagni in Italia e in alcuni altri paesi, impegnati, come sono stati, nella raccolta delle firme per le petizioni e le proposte di referendum.
Hannover, con l'incredibile ed offensivo comportamento dei governi dei dodici paesi e del presidente del Parlamento Europeo, ha segnato il momento culminante.
I risultati di questa esperienza, che ha comportato consistenti investimenti di energie e di denaro, hanno promosso ed alimentato un processo di riflessione sullo "stato del partito" che, con la relazione e le conclusioni del Consiglio Federale di Madrid, ha costituito un altro momento importante e significativo di questa prima fase e, credo, anche di tutto l'anno.
In sintesi, quale la conclusione di questa riflessione?
Il partito come realtà complessiva, strutturale, funzionale, operativa, economica e finanziaria costituiva un "sistema", un "assieme" organizzato che negli ultimi dieci anni, con l'inserimento nelle istituzioni in Italia, è notevolmente cambiato rispetto al partito configurato e poi costruito dallo e sullo statuto del 1967. Il parametro assunto per evidenziare il cambiamento è stato quello finanziario, parziale e quindi incompleto, ma comunque significativo: il partito nel suo complesso - tenuto conto, cioè, sia dei Gruppi Parlamentari sia di Radio Radicale - "vale" 13 miliardi e 500 milioni - precisa la relazione - di cui solo 3 miliardi non sono dovuti, direttamente o indirettamente, alla presenza nelle istituzioni, ma all'autofinanziamento.
In effetti questa può apparire più una constatazione che una conclusione; per di più una constatazione ovvia per chi ha vissuto e conosce il partito negli anni; una constatazione già fatta in ambito tecnico, considerata come dato contabile, senza avvertirne la valenza politica e, quindi, mai prospettata come elemento di giudizio importante, essenziale per le scelte sulla vita del partito.
L'importanza della relazione di Madrid consiste proprio nel fatto che la constatazione è divenuta conclusione politica, oggetto di analisi, di valutazione, di dibattito politico, per le sue implicazioni ed i riflessi sulla vita e sulle prospettive del partito, evidenziata, discussa e acquisita pubblicamente, in sede ufficiale, tale da non poter più essere rimossa o ignorata.
Si tratta di una constatazione con la quale il partito, tutti noi, abbiamo dovuto e dobbiamo "fare i conti".
Non vi è dubbio che alle riflessioni sullo "stato del partito", hanno fornito un impulso determinante la decisione di essere partito transnazionale ed i problemi e le difficoltà subito manifestatesi per attuarla.
La posizione che ha sempre accompagnato il partito, in Italia, sul finanziamento pubblico dei partiti ed il valore dell'autofinanziamento, con la decisione presa a Bologna di non partecipare alle elezioni in ambito nazionale, ha reso la contraddizione teorica e concettuale tra l'essere forza politica transnazionale e l'apporto diretto ed indiretto del denaro pubblico molto più evidente, e, rendendola in prospettiva di fatto anche impraticabile, ha favorito la percezione e poi la comprensione dell'interconnessione e dell'interdipendenza dell'essere transnazionale col dover essere transpartitico e viceversa.
A questo chiarimento hanno contribuito, in termini essenziali, le iniziative assunte nel frattempo, con successo, da Marco Pannella e da altri compagni, come cittadini, per promuovere e costruire nuove liste, al fine di concorrere alle elezioni amministrative in Italia, al di fuori ed attraverso i partiti.
Si tratta di un processo ancora in atto, che ha prodotto disorientamento, incertezze e reazioni negative da parte degli iscritti residenti in Italia, ma che, in e con questo Congresso e nella e con la prossima scadenza elettorale per il Parlamento Europeo, ritengo debba trovare riscontro ed affermazione.
Sono questi i presupposti che, nel considerare lo "stato del partito", hanno portato non solo a rilevare la portata della crisi finanziaria del partito e l'essenzialità dell'autofinanziamento, ma anche l'esigenza di mutare il rapporto del partito con le istituzioni e, di conseguenza, il recupero di quei metodi e di quelle condizioni operative che hanno caratterizzato il partito soprattutto negli anni precedenti alla sua entrata nelle istituzioni.
Si tratta di metodi e condizioni che investono direttamente il modo di essere, di vivere, del "radicale", che ripropongono la militanza e la nonviolenza come possibili fattori risolutivi.
Da tutto ciò emergono un complesso di problemi e di quesiti, certo di non facile soluzione o di immediata risposta, ma che sono drammaticamente urgenti: il tempo, care compagne e cari compagni, è la risorsa di cui siamo più carenti, è il nostro avversario peggiore, il nostro unico, vero nemico.
Si tratta di problemi e quesiti che permangono, con implicazioni importanti per ciascuno di noi e in merito ai quali questo Congresso è tenuto a fornire quanto meno indicazioni ed orientamenti.
La seconda fase si conclude al Consiglio Federale di Gerusalemme, con un altro momento, intermedio, di particolare significato: il Consiglio Federale di Grottaferrata. In questa sede, Paolo Vigevano ed io, nella nostra relazione, riproponendo quesiti già prospettati a Madrid, ponevamo in evidenza che l'andamento delle iscrizioni e dell'autofinanziamento era quanto mai insufficiente ed inadeguato e non consentiva l'attuazione del programma di attività. Di conseguenza ne proponevamo il congelamento ed il lancio di una sottoscrizione straordinaria per raccogliere almeno 1500 milioni di autofinanziamento. Condizionavamo al conseguimento di questo risultato una graduale ripresa del programma.
Il Consiglio Federale non accolse la nostra proposta e prospettò l'ipotesi della chiusura del partito, demandando agli organi esecutivi anche il compito di prevederne e predisporne i termini di attuazione.
E'mia personale convinzione che gli iscritti, i militanti, i simpatizzanti, tenuto conto della situazione reale vissuta in Italia e dell'impatto con la prospettiva transnazionale, hanno dato una risposta che non dobbiamo sottovalutare, anche se è stata inferiore al fabbisogno.
D'altro canto, il non aver accolto la proposta d'interrompere il programma in un momento così difficile, ha prodotto anche incertezze ed esitazioni e noi non abbiamo avuto la possibilità o la capacità di sfruttare compiutamente l'ipotesi della chiusura, con iniziative più puntuali e dirette, in grado di rendere più immediata e percettibile la drammaticità della condizione reale del partito. Non siamo stati in grado, tral'altro, d'individuare e concentrare tutte le energie del partito in iniziative che ci portassero all'impiego della lotta politica nonviolenta.
E'stata solo incapacità nostra o il prodotto dell'ulteriore irrigidirsi del sistema politico in Italia e dei margini sempre più ristretti tra cui è costretta la lotta politica in questo paese? Quanto le risorse di cui disponiamo, l'assetto strutturale ed organizzativo, ma soprattutto le condizioni (individuali e collettive) ne sono state l'ostacolo principale?
Nel frattempo la crisi finanziaria si era ancor più accentuata e, posti di fronte a risultati così deludenti, Paolo ed io ritenemmo nostro preciso dovere rassegnare le dimissioni per sciogliere tutti, anche i compagni di segreteria, dal vincolo di solidarietà, sempre rispettato, e porre così il Consiglio Federale nelle condizioni di valutare la situazione e prendere le decisioni necessarie con assoluta libertà a Gerusalemme, ove nel frattempo era stato convocato, con una scelta non da tutti ritenuta opportuna in quel momento.
Ritengo che la scelta sia stata felice e l'essere riusciti a riunire il Consiglio Federale a Gerusalemme un successo e un momento politico importante, che ha contribuito al rilancio dell'iniziativa transnazionale.
Come ricorderete, il Consiglio Federale, a conclusione di un vivace dibattito - respinte per due volte le dimissioni - approvò nei termini da noi proposti le modalità per la chiusura del partito, qualora il Congresso si fosse pronunciato in tal senso.
A Gerusalemme il Consiglio Federale ci affidò anche il compito di organizzare il 35· Congresso a Zagabria. La convocazione del Congresso e le iniziative a questa collegate, che ho già richiamato all'inizio di questa relazione, hanno caratterizzato la terza fase di quest'"anno radicale".
Per completare il quadro restano altri due momenti: Bohinj e Strasburgo.
Si tratta, a mio parere, di due momenti politici importanti e illuminanti, fra loro connessi. Trieste e l'inizio di quel Consiglio Federale conclusosi felicemente a Bohinj, mi ricordano circostanze vissute con angoscia; un momento amaro, molto difficile, anche se non è stato il solo.
Ritengo, invece, che collettivamente questo momento abbia fornito importanti elementi di chiarimento nel processo di comprensione e valutazione della situazione complessiva del partito, sul ruolo, limiti e prospettive del "partito in quanto tale", nonché sulle responsabilità direttamente affidate al cittadino-radicale in ambito nazionale, anche in campo elettorale.
Gli interventi di Marco Pannella, ancora una volta, hanno inciso in misura determinante nel dibattito. La funzione del Partito Radicale, così come si è sviluppata ed affermata in Italia (nel paese di quanti, tra noi, sono ancora qui a Budapest presenti in maggioranza), di questo partito che è stato capace di realizzare nei fatti "un segmento di teoria della prassi", ha concluso una parte significativa, straordinaria, esaltante della propria storia: così come è - il partito radicale - non è più in condizioni di proseguire, con rigore e coerenza, il proprio cammino: procedere nel proprio passato non è possibile.
Per riprendere il cammino sono necessari altri percorsi, altre realtà, altre forze.
Il partito transnazionale e transpartitico può essere l'origine di un nuovo percorso di vita e di speranza: può essere il "partito nuovo".
Ma l'essere, il poter di nuovo essere quello che siamo stati e siamo, come radicali, come iscritti, non è più, non può più essere affidato solo a noi - quanti siamo, come siamo - alle nostre forze, alle nostre risorse, alle nostre capacità: c'è la necessità di altri, molti altri, che radicali, iscritti non sono e non lo sono mai stati, che devono unirsi a noi per affiancarci, sostenerci ed anche sostituirci e, tra questi, molti devono essere quelli nati e cresciuti in paesi diversi.
In Italia, come in ciascun altro paese, la lotta politica prosegue comunque e non può non proseguire anche in ambito nazionale; è un impegno che spetta al cittadino, in particolare a quello che è iscritto radicale, il quale può e deve operare con e nelle forze politiche esistenti o promovendo iniziative diverse, anche elettorali, per contribuire ad acquisire margini sempre più consistenti di praticabilità e di conquista della democrazia nel proprio paese, nella consapevolezza che solo la dimensione transnazionale, se ed in quanto realizzata, potrà consentire conquiste ed acquisizioni per tutti risolutive.
Questo momento "interno" sul partito vissuto a Bohinj trova, a mio avviso, nonostante l'apparente contraddizione, un conseguente compimento nelle conclusioni del Consiglio Federale di Strasburgo.
E' vero che a Strasburgo il Consiglio Federale ha respinto, con le proprie conclusioni, il progetto per la chiusura del partito (progetto che il primo segretario ed il tesoriere avevano presentato al Consiglio, predisposto sulla base delle indicazioni fornite dallo stesso con le precedenti decisioni), approvando una deliberazione nella quale si afferma invece che "il partito radicale decide d'impegnare ogni sua forza, senza riserve, nemmeno patrimoniali, nella proposizione del partito come mezzo utile e necessario".
Ritengo però che sarebbe un grossolano errore dedurre da questa conclusione che il Consiglio Federale, con questa decisione, abbia inteso rimuovere quanto acquisito nel corso dell'anno, con le analisi e le valutazioni sullo "stato del partito", sulla drammatica consistenza della crisi finanziaria e sull'attuale nostra inadeguatezza.
Al contrario, tutto ciò è ben presente nella mozione di Strasburgo, come sono vive e presenti le considerazioni ed i chiarimenti sul "partito in quanto tale" acquisiti dal dibattito di Bohinj.
Proprio quelle considerazioni e quei chiarimenti, uniti agli elementi di novità introdotti dall'analisi e dalla valutazione della situazione politica svolte dalla relazione presentata al Consiglio Federale, hanno contribuito a comporre il quadro delineato nella mozione approvata alla fine dei lavori.
Dicevo nella relazione: "da quello che è accaduto nel corso dell'anno, o che è stato fatto da noi o da altri, da quello che ho ascoltato, dalle riflessioni che faccio, per la prima volta riesco ad individuare, forse, il delinearsi di un ragionamento che potrebbe costituire lo specifico della proposta politica del partito transnazionale, sia a partire dal contesto dei diversi regimi a partito unico (dell'Europa dell'Est, come dei paesi africani e del terzo mondo) sia, quanto meno, dei regimi pluripartitici e proporzionalistici insediati soprattutto in Europa e nella Comunità europea, ad eccezione della Gran Bretagna".
E' quindi il delinearsi di questo ragionamento, puntualmente raccolto e poi sviluppato da Marco Pannella nei suoi interventi, che ha indotto il Consiglio Federale a porre nella mozione come base del suo 35· Congresso, di questo Congresso, "la proposta del modello del partito radicale (transnazionale e transpartitico) come proposta del partito nuovo, della nuova Resistenza nonviolenta, ambientalista, garantista, laica, per la difesa e la conquista del diritto alla vita e della vita del diritto, ovunque nel mondo".
Proposta quanto mai ambiziosa ed impegnativa, ma proprio per questo, forse, capace di suscitare ed alimentare una grande speranza, tale da fornire la forza necessaria per superare le condizioni che ci avevano portato a predisporre la chiusura.
E' la mozione stessa che non consente errate interpretazioni, se da un lato rileva essere "sempre più manifesta la forza - che appare insostituibile - delle idee, degli obiettivi, dei metodi, del contributo del partito radicale per far fronte ai problemi del nostro tempo e della nostra società", dall'altro rammenta "che l'esistenza o no del partito radicale può solamente essere determinata dalla scelta delle donne e degli uomini, dei cittadini, di decretarne, con l'iscrizione, il rafforzamento, il rilancio o - altrimenti - la sua fine per mancanza delle risorse necessarie".
Care compagne e cari compagni,
più e meglio di quanto io sia stato in grado di dire, è la vostra presenza qui a Budapest, la presenza di quanti non iscritti, non radicali, sono qui con noi, giunti anch'essi da tanti diversi paesi, espressione concreta di storie, di culture, di esigenze, di posizioni diverse, che può dar corpo e consistenza al significato ed al valore di questa proposta. Care compagne, cari compagni,
il mezzo di cui disponiamo per realizzare le nostre speranze è questo partito, di cui conosciamo la straordinaria potenzialità, di cui conosciamo i limiti e le costrizioni, da tutti noi vissuti durante questo lungo anno, con impegno e dedizione costante, pur se, in alcuni momenti, con disagio ed angoscia profondi.
Con la decisione di porre tutta la nostra forza, tutte le nostre risorse, senza riserve alcuna, nell'estremo tentativo d'impedire che questo mezzo di lotta e d'iniziativa politica venga sottratto a noi e agli altri, convinti come siamo che costituisce tuttora un elemento necessario ed insostituibile per costruire una prospettiva di convivenza civile, economica e sociale che, oltre i confini, assicuri per tutti, nella democrazia, il diritto alla vita e la vita del diritto, dobbiamo ora, qui, affrontare il problema di cosa fare, di come proseguire.
A tal fine ritengo che il Congresso debba concentrare la propria attenzione su due aspetti:- obiettivi e tempi entro i quali realizzarli;- risorse disponibili ed acquisibili: persone, mezzi, denaro.
Il tempo è il nostro avversario peggiore, il più implacabile: dobbiamo quindi individuare e scegliere obiettivi da realizzare in tempi molto brevi - alcuni mesi, pochi mesi - perché questo è il solo margine di cui disponiamo per conquistare le condizioni minime, necessarie per poter proseguire.
Dobbiamo, inoltre, individuare e scegliere obiettivi capaci di motivare, coinvolgere e mobilitare il partito - così com'è, quanti e quelli che siamo - per disporre subito dell'apporto diretto di tutti i compagni; dobbiamo effettuare una scelta che consenta la trasmissione e la percezione immediata degli obiettivi per sollecitare e suscitare una vasta e tempestiva reazione da parte di chi non è o non è mai stato radicale, una scelta che permetta di coordinare e concentrare al massimo le nostre energie e le nostre risorse.
La scelta transnazionale ci ha indotto, durante quest'anno, ad estendere ed ampliare l'azione del partito, nel tentativo di coprire a tutto campo un vasto orizzonte, con la conseguenza di una forte dispersione del nostro impegno.
Mi auguro, tuttavia, che lo sforzo compiuto abbia prodotto l'affermarsi ed il consolidarsi nel partito della consapevolezza dell'essere e del dover essere transnazionale e che tale consapevolezza possa facilitare oggi la scelta di obiettivi più circoscritti e determinati, più direttamente finalizzati.
La scelta degli obiettivi può effettuarsi secondo due diversi orientamenti: l'uno più "interno", con al centro il "partito in quanto tale", caratterizzato da traguardi quantitativi (ad esempio, numero di iscritti, importi di denaro da acquisire), l'altro più "esterno", rivolto alle istituzioni ed ai loro ordinamenti, ai governi ed alle loro decisioni, alle forze politiche ed ai loro comportamenti, per ottenere modifiche od altri provvedimenti che rispondano positivamente a nostre precise richieste (ad esempio, relative al processo di unificazione dell'Europa od all'affermazione dei diritti umani).
L'esigenza di nuovi iscritti, di nuove adesioni, di contributi e di finanziamenti, è comunque una componente che non può essere trascurata.
In merito alle risorse disponibili o da acquisire, ritengo di dover premettere alcune considerazioni sul "gruppo dirigente".
Compagne e compagni,
noi ci stiamo proponendo di tentare ancora una volta di assicurare l'esistenza del partito, del partito transnazionale: le responsabilità di direzione, di gestione di questo partito, sono state rette finora, pressoché esclusivamente, da compagni nati e cresciuti in Italia e che si sono formati nell'esperienza consumata dal partito in questo paese.
Si tratta di compagni con doti e requisiti personali eccezionali - l'età, la mia età, mi pone già a margine e mi consente questa valutazione - doti e requisiti che si sono affinati ed accentuati per una lunga consuetudine di lavoro nel partito e col partito, compagni che nel loro insieme costituiscono un patrimonio di grande valore, riconosciuto ed ambito da molti.
Ma si tratta anche di compagni che si sono impegnati spesso al limite delle forze, senza sosta alcuna, per molti anni.
In questa situazione, di fronte al compito che attende il partito, l'esigenza d'integrare, arricchire con altri compagni, in particolare di altri paesi, il "gruppo dirigente", i quadri del partito, mi pare s'imponga alla nostra attenzione.
Anzitutto vi è un aspetto quantitativo: le risorse attuali sono insufficienti, la dimensione transnazionale richiede di per sè una maggiore estensione e una più ampia articolazione del campo delle responsabilità. E' inoltre indispensabile comporre sensibilità, attitudini, esperienze diverse, per costruire una capacità di governo del partito più rispondente ed adeguata a questa nostra nuova dimensione.
Tutto ciò comporta non solo l'assunzione di responsabilità dirette, d'iniziativa e di lavoro da parte di un numero maggiore di compagni, ma anche la necessità di una presenza consistente, attiva e continuativa di compagni di altri paesi.
Quest'anno abbiamo avuto il Consiglio Federale composto in maggioranza da iscritti non residenti in Italia e della segreteria hanno fatto parte alcuni compagni di altri paesi: il periodo attraversato dal partito ritengo non abbia offerto a questi compagni condizioni molto favorevoli per utilizzare quest'esperienza, anche se, in diverse circostanze, essi hanno fornito contributi importanti e significativi.
In particolare, alcuni possiamo già considerarli un'acquisizione sicura, ma non è certo quanto basta al partito: mi riferisco a quei compagni che a Bruxelles, anziché a Lisbona o in Jugoslavia e in qualche altro paese stanno operando con capacità, dedizione e costanza.
Il problema delle risorse umane non si limita comunque a questi aspetti e, più in generale, alla formazione dei quadri politici del partito, ma investe anche, a mio parere, il rapporto con i gruppi dirigenti delle altre forze politiche, culturali e sociali: la presenza nella vita del partito di un numero significativo di componenti di questi gruppi, la loro iscrizione ed anche la partecipazione alla guida del partito, è una condizione importante per realizzare ed affermare concretamente la qualità transpartitica che abbiamo visto essere un presupposto essenziale dell'essere transnazionale, un solo esempio fra i tanti possibili.
Siamo alla vigilia delle elezioni europee; a chi affiderà il partito la propria iniziativa nel Parlamento europeo? Solo ai pochi compagni che, forse, potranno accedervi, eletti in Italia, in virtù delle opportunità da loro stessi promosse? Infine, vi è un altro argomento da considerare, annesso a quello delle risorse umane, quello dei quadri politici di cui deve disporre il partito: riguarda l'insediamento del partito in Italia e negli altri paesi, ove si registrano le prime, significative presenze di iscritti, il costituirsi di piccoli gruppi, il manifestarsi di volontà d'iniziativa e di lotta politica.
Si tratta di un argomento, allo stato, dovuto essenzialmente a situazioni di fatto, ma che investe il tema più generale dell'assetto strutturale ed organizzativo del partito, con possibili riflessi statutari. Sono i compagni residenti in Italia che manifestano oggi il loro disagio e si chiedono in quali termini, con quale modalità, sia possibile assicurare attivamente la loro presenza anche nei confronti della realtà "nazionale" che li circonda e con la quale si confrontano giorno per giorno, senza perdere da un lato la propria identità e senza venir meno, dall'altro, al dover essere, al voler essere radicali, iscritti al partito transnazionale. Richieste analoghe si preannunciano da altri paesi, dai compagni che vi risiedono e, sempre più, ci perverranno, via via che gli iscritti, la loro presenza, la presenza del partito, come auspichiamo, acquisterà consistenza, volontà e capacità d'iniziativa nei luoghi, nelle regioni in cui vivono e possono operare.
Dobbiamo quindi riflettere per individuare se e quali connotazioni di novità siano da proporre e da introdurre nell'assetto attuale del partito, per rispondere ad esigenze diverse che l'essere parte, il fare politica transnazionale, può comportare.
Per quanto mi riguarda io avverto un'esigenza che ritengo essenziale: quella di pensare a soluzioni, quanto meno funzionali, più articolate e differenziate. Quest'esigenza è relativa anzitutto alle realtà "locali", per le quali si possono costituire riferimenti non certo a livello "nazionale", ma a carattere regionale, più confacenti al superamento di vincoli e di limiti posti dalla pressione, dall'ingerenza dell'organizzazione "statuale" dei singoli paesi e anche più atta a percepire i dati più "veri" e significativi dell'"ambiente in cui si vive", di quello naturale come di quello politico, di quello civile come di quello sociale, di quello tradizionale come di quello economico.
La stessa esigenza riguarda anche l'assetto "centrale" del partito, che, a mio parere, deve rafforzare la propria capacità complessiva di governo e di gestione politica, affidando sempre più all'autonoma iniziativa di momenti federati, sia a livello centrale che in ambito regionale, l'individuazione, la scelta ed il confronto delle singole iniziative, riservando al Congresso (da convocare - forse - con scadenza biennale) la prerogativa delle decisioni vincolanti per tutti gli iscritti.
L'esigenza di una maggiore articolazione e differenziazione dell'assetto del partito è da porre inoltre in rapporto con una contraddizione nella quale già ci troviamo e nella quale ancor più verremo a trovarci. Questa contraddizione è dovuta alla necessità di mantenere al partito il proprio carattere di forza politica nonviolenta e militante, alla quale si contrappone la necessità di disporre di mezzi sempre più sofisticati e di costo elevato, che richiedono strutture, organizzazioni, capacità ed attitudini a livello di qualità professionali.
L'importanza dell'impiego di questi mezzi è posto in evidenza dalle difficoltà che s'incontrano per risolvere il problema della "comunicazione". E si tratta solo di un esempio.
Nella storia, nella tradizione del partito, la comunicazione è stata alimentata da una produzione essenzialmente "orale": riunioni, assemblee, la radio, i congressi. La produzione scritta ha trovato riscontro solo in alcuni momenti, importanti, ma che sono stati e rimangono degli episodi.
Credo sia evidente che il partito transnazionale non può invece prescindere dalla comunicazione scritta.
Credo siano a tutti evidenti quali ostacoli si devono affrontare solo per superare la diversità delle lingue e le distanze.
Ma oltre a questi aspetti, che potremmo definire quantitativi, ve ne sono stati altri che chiamerei "di qualità" e che si riferiscono ai contenuti del messaggio, che per rispondere adeguatamente alla dimensione transnazionale, dovrebbero anzitutto poter usufruire di un sistema che non sia, com'è tuttora il nostro, unidirezionale; per intenderci, il processo di comunicazione si origina ed è prevalentemente orientato dall'Italia, con una sola preziosa eccezione, costituita dai compagni che operano a Bruxelles.
L'importanza del sistema di comunicazione è "centrale" ed è quanto mai significativo dei mutamenti da apportare al partito, non solo per renderlo una realtà rispondente in termini funzionali ed operativi, ma anche capace di stabilire e mantenere "rapporti" e, quindi, dotata di una mentalità, di una cultura diversa, qual è necessaria ad una forza politica che sia, e non solo voglia essere, transnazionale.
Si tratta di un problema che, dalla composizione dei testi, alla traduzione, alla stampa, alla distribuzione, si colloca ad un livello di complessità che ritengo insuperabile senza l'impiego dei mezzi avanzati di elaborazione e trasmissione dei dati, mezzi che richiedono soluzioni insolite per il partito e non facilmente compatibili con una struttura militante.
Il problema della comunicazione si collega a quello più generale dell'informazione e, in particolare, al rapporto del partito con i grandi mezzi di informazione, pubblici e privati: la televisione e la stampa.
Si tratta di un problema che ha distinto e caratterizzato la storia del nostro partito con momenti vincenti di iniziativa e di lotta politica nonviolenta di esemplare ed esaltante significato.
E' un problema che ha assunto proporzioni sempre maggiori e una connotazione di gravità eccezionale: come già ho ricordato, non solo in ambito nazionale, ma nella prospettiva internazionale si stanno delineando nell'uso dei mass media condizioni che rischiano di essere sempre più incontrollate e incontrollabili, tali da costituire un pericolo esiziale per l'affermazione il mantenimento, lo sviluppo della democrazia.
Gli effetti dell'uso dei grandi mezzi di comunicazione senza effettive garanzie di controllo democratico li stiamo sperimentando e vivendo in Italia ove il regime partitocratico non solo consente, ma può anche esigere un uso dei mass media che non solo ostacola o impedisce l'informazione sul partito, sulle sue proposte e sulle sue iniziative, ma ancor più e peggio la distorce e la falsifica fino ad annullare la nostra identità, negando alla gente ogni reale possibilità di scelta.
Purtroppo devo ammettere che negli ultimi tempi il partito non ha saputo o potuto reagire a questa situazione con interventi adeguati e efficaci. E' questo uno degli aspetti in cui - forse - siamo stati e siamo più carenti. Dobbiamo ancora una volta chiederci se e cosa sia possibile fare, consapevoli che la democrazia è, anzitutto, conoscenza per poter scegliere e decidere, decidere per il cittadino anche, di iscriversi al partito e renderne così praticabile il diritto di esistere.
Mi rimangono solo alcune considerazioni sulle risorse finanziarie, quelle di cui disponiamo e quelle che dobbiamo acquisire per poter andare aventi.
Questo è argomento che affronterà compiutamente il tesoriere.
Io posso solo ripetere che le nostre risorse finanziarie, comprese quelle provenienti dalla liquidazione del patrimonio, assicurano l'iniziativa e l'attività del partito solo per alcuni, pochi mesi: è azzardato ritenere di poter arrivare alla fine dell'anno. Entro settembre dobbiamo acquisire altre risorse, conquistarci altro denaro.
L'autofinanziamento, tenuto conto dell'andamento in atto delle iscrizioni, è del tutto insufficiente, i proventi sono assolutamente inadeguati. Espresso in quote di iscrizione il fabbisogno finanziario che è necessario, ripropone il traguardo dei 20-30.000 iscritti.
Personalmente sono convinto che l'assetto del partito, il suo ordinamento, la struttura, il suo funzionamento debbano, comunque, garantire il carattere, essenziale, di forza politica nonviolenta, di partito di militanti. Sono però altresì convinto che il partito transnazionale non possa esimersi dal porsi il problema di acquisire altre fonti di finanziamento oltre le quote e i contributi degli iscritti e dei simpatizzanti. Questa convinzione porta a formulare delle ipotesi che possono non solo essere discutibili, ma anche - secondo alcuni - da respingere. E' tuttavia una convinzione che io ritengo fondata su elementi di valutazione oggettivi.
L'azione nonviolenta, militante, trasferita nella dimensione transnazionale non può non essere sorretta e supportata da "servizi" che richiedono esperienza, competenze, riferimenti strutturali e organizzativi, investimenti e costi non compatibili con l'assetto del "partito in quanto tale", senza costituire nocumento e pregiudizio per quell'articolazione, quella differenziazione, quella essenzialità e quella flessibilità indispensabili per un corretto ed efficace funzionamento.
E' quindi necessario considerare se e come si possa provvedere ai "servizi" mediante la costituzione di un centro di attività distinto dal partito, non solo autonomo, ma con carattere e ordinamento diverso, con finalità e compiti che lo rendano atto a percepire direttamente anche finanziamenti da privati. L'eventuale soluzione dovrebbe essere adottata pubblicamente, forte della propria specificità e delle proprie finalità.
Si tratta pur sempre di ipotesi con tempi di riflessione e di attuazione che non rientrano in quelli di cui disponiamo per le decisioni che dobbiamo qui adottare, ma che se avviate a soluzione potrebbero consentire una più sicura prospettiva di continuità per l'esistenza del partito.
Care compagne e cari compagni,
nel concludere non posso sfuggire ad un confronto diretto e
impietoso col nostro peggiore avversario: il tempo.
Nell'individuare e scegliere i nostri obiettivi non possiamo ignorare che se vogliamo assicurare al partito di esistere con coerenza alla propria identità e alla propria storia e secondo la finalità e gli orientamenti espressi nella mozione approvata dal Consiglio Federale di Strasburgo, sarà indispensabile concentrare il massimo impegno e tutte le energie disponibili nei prossimi mesi.
Sulla base dell'esperienza acquisita dal partito negli ultimi anni, per sostenere ed alimentare le iniziative e le attività richieste da tale impegno sarà necessario reperire oltre due miliardi entro la fine del mese di giugno, corrispondenti ad almeno 10.000 iscritti. Altri due miliardi sarebbero poi necessari per proseguire nei mesi successivi.
Con tali premesse, gli organi del partito che saranno eletti alla fine dei nostri lavori saranno comunque posti di fronte alla necessità di iniziare ad alienare il patrimonio del partito, poiché per quanto possa essere tempestiva ed adeguata la risposta di quanti in Italia, in Ungheria e negli altri paesi vorranno e sapranno accogliere il nostro appello, le scadenze del fabbisogno di denaro saranno più immediate.
Si verrà così ad incidere sulla riserva patrimoniale che costituisce l'ultima risorsa del conto economico e a rompere l'equilibrio del bilancio del partito, obiettivo da noi rispettato fino al Consiglio Federale di Strasburgo. Fin dai prossimi giorni, senza l'apporto tempestivo ed adeguato di nuove risorse, la situazione del nostro bilancio subirà un deterioramento che comporterà un disavanzo non più garantito da risorse patrimoniali, con un rischio molto elevato di pervenire rapidamente al fallimento.
Si prospetta pertanto, dinanzi a noi, lo stadio terminale di quella situazione di emergenza che ha marcato drammaticamente la nostra esistenza durante questo ultimo anno. Si tratta di un momento che non abbiamo potuto o saputo evitare e superare, anche se contrastato con tenacia e dolorosa fatica: non sottoporne l'imminenza, qui in Congresso, alla vostra attenzione e valutazione, rendendolo anche di pubblica ragione, sarebbe un atto irresponsabile, dolosamente colpevole.
Compagne e compagni,
ho tentato di presentarvi un quadro il più possibile completo della situazione del partito, tracciandone anche i momenti più significativi che hanno contribuito a delinearlo nel corso dell'anno.
E' un quadro quanto mai ricco di prospettive e dotato di una eccezionale potenzialità. Purtroppo sono molti i vincoli e i limiti che ne condizionano la realizzazione e lo sviluppo.
Ho fornito anche alcune miei considerazioni sul partito e su come, col risolversi della situazione, dovrebbe proporsi di essere per adeguarsi alle nuove, complesse esigenze di essere e voler essere forza politica transnazionale e transpartitica.
Ma non ho inteso con ciò, nè d'altra parte mi compete, proporre soluzioni, ma solo fornire indicazioni ed elementi di valutazione al dibattito, per sollecitare e favorire riflessione di ciascuno, indispensabile perché assieme si pervenga alla scelta e alla decisione.
Al termine di questo mio mandato in me prevalgono due sentimenti tra loro contrastanti: l'uno di grande fierezza, per questo 35· Congresso che si tiene qui a Budapest, in Ungheria, l'altro di dolore, esserci con un partito che in quattro mesi conta solo 1500 iscritti.
Voglio, qui ringraziare i compagni che con grande dedizione, col loro sacrificio e la loro operosità, sottraendo al riposo notti intere, hanno consentito l'organizzazione del Congresso: è un grazie sincero, pienamente dovuto. Vi saranno certamente disguidi, inesattezze e imprecisioni, forse anche disagi che non è stato possibile evitare: non dimentichiamo che un mese e mezzo è il tempo intercorso da quando ci è pervenuto l'assenso delle autorità ungheresi ad oggi. Non so chi altro con un margine di tempo così ridotto, con i mezzi di cui disponiamo, avrebbe avuto il coraggio non dico di provarci, ma di pensarci! Vi prego quindi di avere comprensione, pazienza e sopportazione se tutto non sarà perfetto o andrà via liscio come l'olio.
Ringrazio inoltre tutti i compagni che hanno con me condiviso la gestione di questo "anno radicale": dal Presidente al Tesoriere, dai primi vicesegretari ai segretari federali, ai membri aggiunti della segreteria e a tutti coloro che hanno lavorato per il partito.
E' stato un periodo faticoso per tutti, certo non privo di contrasti e divergenze, che ha trovato ciascuno spesso impegnato su fronti diversi, con impegno e comportamenti che hanno risentito di volta in volta di differenze anche marcate di abitudini e caratteri: tutti hanno comunque fornito il loro contributo in una situazione che per difficoltà, complessità, incertezza e tensione non credo sia stata inferiore a nessun'altra del passato.
Per quanto mi riguarda so di avere commesso errori, so però anche di aver dato tutto quello che potevo e sapevo, di più non mi sarebbe stato comunque possibile, nè - ritengo - mi si poteva chiedere.