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Poli Ugo - 3 agosto 1989
Nuovo corso del Pci e vecchi metodi: il caso Bordon
di Ugo Poli (Consigliere Regionale Pci del Friuli-Venezia Giulia)

SOMMARIO: Difende la scelta del deputato comunista Willer Bordon di chiedere la tessera del partito radicale. Questo atto, fondato sulla "convinzione profonda" della possibilità e dell'urgenza di un esplicito incontro fra la cultura della sinistra di ispirazione marxista e quella "di formazione liberal-democratica", si inquadra bene nelle scelte del Partito Comunista al suo XVIII congresso, che hanno come fine "il futuro della sinistra e la costruzione della sua capacità di essere alternativa progressista per il governo del paese."

Il PCI deve invece ancora fare parecchia strada per passare da partito "autocentrato" a "partito di servizio" partendo dal cambiamento di nome, oggi non ancora attuale. Si tratta di realizzare un "fatto nuovo", insomma, concepito non come un "accidente" ma come "obiettivo politico".

Il gesto di Bordon è apparso ad alcuni "dirigenti della periferia" come iniziativa "priva di fondamento etico e politico". Questa accusa, come la "squalificazione morale della posizione non condivisa",però, fanno parte di un "metodo di vecchio stampo": così si alimentano solo "mentalità clericali" fino all'intolleranza e si "frena" il nuovo corso.

(L'UNITA', 31 agosto 1989)

Troppi sono i tentativi di leggere la risposta elettorale alla strumentalizzazione della repressione in Cina come il segnale di orgoglio di un sedicente "popolo comunista". E' questa una negazione del carattere, ben più ricco, di un voto che è stato cosciente scelta di fiducia verso la forza decisiva dell'opposizione democratica da una parte grande di italiani, che hanno dimostrato quanto conoscano la peculiare identità politica e come abbiano percepito la vitalità della nuova guida politica del Pci.

Al di là del peso delle clientele, dei ricatti e delle politiche di scambio, non solo al Sud, è qui, nel modo in cui stiamo ogni giorno nella vita civile del paese, l'occasione per superare lo scarto fra il nostro voto in elezioni di rilievo politico generale e quello nelle amministrative.

Lo spostamento delle priorità dei comunisti dall'impegno per un partito "autocentrato" a quello in un "partito di servizio" è però ancora lontano. Una effettiva, e cioè diffusiva, valorizzazione delle competenze; un rapporto democratico con le domande presenti nella società; una piena sinergia fra i livelli di intervento possibili, che utilizzi un ruolo "propulsivo" e non solo "rappresentativo" degli eletti nelle istituzioni pubbliche: tutto ciò richiede il superamento di una struttura piramidale, che ancora frena un pieno dispiegamento delle energie esistenti.

La costruzione di un nuovo Pci siffatto richiede altresì che il cuore del nuovo corso non sia concepito solo come il superamento della crisi elettorale degli anni '80. La finalità, che ci siamo assunti con il XVIII congresso, è di ben altro respiro, è il futuro della sinistra e la costruzione della sua capacità di essere alternativa progressista per il governo del paese, egemonia di civiltà democratica nello sviluppo europeo.

Diversamente c'è anche il rischio di un neointegralismo sull'identità politica del Pci del nuovo corso. Il Congresso non ha chiuso la discussione sul nome del partito. Il giudizio di "inattualità" del problema è legato alla valutazione che solo un fatto nuovo, e di grande portata storica, nella struttura della sinistra italiana, potrebbe giustificare un cambiamento.

Ma questo fatto nuovo, noi lo concepiamo come un accidente poco auspicabile o come l'obiettivo politico, di lungo periodo forse, ma obiettivo politico, del nostro lavoro? Dalla risposta a questa domanda derivano conseguenze molteplici sulle modalità con cui assolviamo il ruolo nostro nella costruzione dello schieramento dell'alternativa progressista.

Lo sviluppo delle relazioni con i nuovi soggetti di progresso; la costruzione di rapporti trasversali con individualità o movimenti, oltre la logica dell'appartenenza; un nuovo fare politica, che si misuri sullo stato dei diritti dei cittadini e non più solo sulla solidità quantitativa dello sviluppo; come tutto ciò si fa "divenire politico", senza egemonismi? Come assurge a "forma" di tutta la nostra iniziativa? Grandi aspettative urgono all'esterno e dentro il Pci.

La vera grande attenzione che dobbiamo mantenere è quella rivolta a garantire la dislocazione nuova del radicamento di massa, che nella società italiana ha il "valore Pci" quale soggetto forte di progresso civile e garante del sistema democratico.

Questo ultimo problema non mi pare debba determinare una chiusura difensiva, tale da inardire il processo o da spingere ad una sua gestione diplomatica e di vertice.

Per questo considero la vicenda del compagno Willer Bordon, deputato di Trieste, una vicenda emblematica.

Bordon in maggio ha annunciato al congresso radicale di aver chiesto la tessera del Pr. Questo atto, fondato sulla convinzione profonda, e certo non solo sua, della possibilità teorica e dell'urgenza politica di un nuovo esplicito incontro "per il futuro" fra la cultura della sinistra di ispirazione marxista e quella di formazione liberal-democratica, ha avuto riscontri positivi, anche nella fase elettorale e costituisce tuttora una presenza comunista ricca di potenzialità nel dibattito sul futuro transnazionale del radicalismo e sulle finora velleitarie aspirazioni alternativiste di una "coalizione laica".

Eppure il gesto di Bordon, al quale non è mai mancato il coraggio politico ed un certo gusto per la provocazione intellettuale, viene indicato da certi dirigenti della periferia del Pci come una iniziativa "priva di fondamento etico e politico", "tale da ingenerare confusione" e da richiamare un'incompatibilità statutaria, che solleciterebbe l'intervento disciplinare degli organismi dirigenti nazionali.

Si tratta di un metodo di vecchio stampo. La squalificazione morale della posizione non condivisa evoca implicitamente l'accusa dell'opportunismo individuale o il sospetto del tradimento. La condanna del presunto errore politico non ha bisogno di argomentazione, poiché proviene dall'autorità costituita all'interno del Partito e fa appello alle "regole". La politica nel suo divenire imprevedibile e creatore, la tensione ideale dell'impegno a costituire la nuova sinistra, anche a rischio dell'incomprensione, sono escluse dalle ragioni a confronto. Al di là del caso, la conseguenza di queste concezioni della funzione dirigente, irrigidisce a cascata la vita e la cultura diffusa nel Partito, alimenta mentalità "clericali" fino all'intolleranza e frena il nuovo corso.

Gli interrogativi sulle condizioni reali offerte ad un proprio impegno organizzato, ma non totalizzante, vengono rialimentati legittimamente fra i tanti che "al nuovo corso" del Pci stanno pensando di contribuire da iscritti, ma solo se il nuovo corso è nuovo sul serio per tutto il Partito.

Lo sviluppo del nuovo corso nella periferia del Pci ed il ruolo che a questo fine dovranno assolvere i congressi regionali, ormai prossimi, mi appare più che mai perciò il "qui è rodi e qui salta" del prossimo Comitato Centrale.

 
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