di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: La scelta transpartitica compiuta dal PR ha obiettivamente trasferito persone, energie e risorse in altri soggetti politici. Quali compiti e quali opportunità rimangono al partito radicale trasnazionale ? L'autore propone s'interroga su due possibili sbocchi: una labile confederazione di iscritti ad altri partiti o una organizzazione forte capace di assicurare valore aggiunto rispetto alla politica dei partiti nazionali ?
(Notizie Radicali n. 174 del 12 agosto 1989)
All'angoscia esistenziale che accompagna da sempre la vita di questo soggetto anomalo, di questo animale misterioso della politica che è il Partito Radicale (quella che deriva, per intenderci, dalla costante sproporzione fra risorse e ambizioni, fra obiettivi e mezzi; ma sopratutto è stata la necessaria conseguenza di una insicurezza derivante dal rifiuto di misurare e tradurre la propria lotta politica nella partecipazione ad un potere omologante al sistema che si vuole riformare), un'altra se ne aggiunge oggi più insidiosa e grave, perché interna alle scelte più recenti del Partito Radicale e proprio degli ultimi anni o addirittura mesi della vita del P.R.
Abbiamo predicato e praticato con successo la scelta transpartitica, abbiamo registrato su questa strada alcune prevedibili difficoltà ma anche grandi successi (a differenza di quanto è accaduto nel cammino della scelta transnazionale dove le difficoltà sono state molte e i successi pochi), ma ora un interrogativo insegue i nostri giorni e le nostre notti e alimenta la nostra angoscia: ed ora che abbiamo fatto il transpartitico, ora che le risorse, le energie militanti, tanta parte delle nostre stesse speranze ed iniziative si sono disperse e disseminate su diversi fronti politici, cosa rimane del Partito?
Vecchia e nuova angoscia si sommano. Certo, vien fatto di pensare, la situazione sarebbe diversa se la scelta transpartitica avesse sfondato di più verso l'esterno, coinvolgendo nel P.R. un maggior numero di comunisti e di socialdemocratici, di laici e di verdi, di socialisti e di cristiani. Ma dobbiamo fare i conti con la realtà, e la realtà oggi è fatta di radicali storici che si sono impegnati su diversi fronti politici nazionali assai più di quanto non sia fatta di militanti e dirigenti di altri partiti che si impegnano nel Partito Radicale per farne il superpartito e l'internazionale della nonviolenza, dei diritti umani, della democrazia. L'adesione di Bordon rimane per il momento una speranza, l'iscrizione del deputato verde Lanzingher una scelta tanto per noi importante quanto abbastanza isolata all'interno dei verdi del "sole che ride", quella del socialista Borgoglio una scelta coraggiosa di testimonianza contro la corrente che spinge a dividere sempre di più radicali e socialisti, mentre la pr
esenza fra noi dei compagni Pagani e Caria risentono dell'impasse post elettorale dell'iniziativa radicale all'interno del PSDI. Fuori d'Italia abbiamo avuto l'importante iscrizione di Shulamit Aloni, prestigiosa leader del RATZ israeliano (movimento per di diritti civili), e poco altro. Tutte insieme sono ancora delle potenzialità, non una realtà ricca e viva che darebbe ben altrimenti senso e valore alla contraddizione e al conflitto fra le due diverse priorità: quella derivante dall'essere contemporaneamente comunista e radicale, socialista o verde o socialdemocratico e radicale. La contraddizione rischia di essere invece tutta interna al Partito Radicale: di radicali prima impegnati nel solo Partito Radicale ed oggi impegnati anche e sopratutto in altri impegni politici.
La domanda "Scelto il transpartito, cosa rimane del partito?", si ripropone dunque anche in un'altra formulazione "scelto l'impegno su uno degli altri fronti politici, cosa rimane di impegno per il partito ?".
Gioverà ricordare che questa scelta l'abbiamo costruita e programmata insieme tutti o quasi tutti, ad esclusione di coloro che fino all'ultimo hanno invece richiesto la presentazione di liste del Partito Radicale. Quindi non può diventare motivo di colpevolizzazione per coloro che attuandola se ne sono assunti gli impegni conseguenti da parte di coloro (io per esempio) che non hanno compiuto scelte o preso iniziative politiche ed elettorali. Ma tuttavia il problema esiste. Va affrontato con chiarezza teorica, con impegno e tensione politica, con grande limpidità morale, altrimenti un elemento di novità e di rinnovamento della politica italiana diventerà per tutti noi una contraddizione lacerante.
Senza farmi quindi condizionare dalle opposte colpevolizzazioni (parli bene tu che essendoti assunto impegni, non ti corri neppure i rischi) che potrebbero gravare su di me, ho voluto assumermi il compito di aprire il dibattito su questa questione.
Lo faccio formulando un assioma e ponendo alcuni interrogativi.
Mi sembra che dovremmo tutti convenire che il Partito Radicale se continuerà a vivere e supererà i problemi che caratterizzano la sua angoscia primaria, non può essere la risultante dell'impegno prevalente di coloro che non sono iscritti ad altri partiti e impegnati in altri fronti politici e dell'impegno secondario e residuale di tutti gli altri. E neppure quindi di coloro che, avendo registrato meno successo o avendo addirittura avuto insuccesso nelle loro iniziative transpartitiche, rifluiscono nell'impegno nel P.R. E' evidente infatti che i primi (i non impegnati) se restano valide le nostre scelte, dovrebbero essere spinti a impegnarsi sul fronte transpartitico prendendo le loro iniziative e compiendo le loro scelte; e i secondi dovranno ancora di più impegnarsi perché è più costoso fronteggiare un insuccesso che un successo.
Ed ora le domande, gli interrogativi.
Dobbiamo ipotizzare il Partito Radicale come una organizzazione di secondo grado, come una labile confederazione di iscritti ad altri partiti o ad altri movimenti, o ad altre associazioni ? Oppure il Partito Radicale deve rimanere una organizzazione forte, capace di assicurare e rappresentare il valore aggiunto rispetto alla politica delle organizzazioni e dei partiti nazionali e delle internazionali ?
Questo transpartito-superpartito transnazionale e sovranazionale può essere ipotizzato solo come qualcosa di mastodontico sul piano finanziario e organizzativo, o invece è possibile ipotizzare anche un partito non minimo o piccolo ma povero e militante ? Ed è possibile che questo partito povero e francescano possa - magari rivolgendosi ad altri e tentando di coinvolgerli - costruire strumenti per la creazione e la gestione di mezzi ricchi (telematica, centri di traduzione, fondazioni, ecc.) ?
Il proprium di questo Partito Radicale, l'elemento di convergenza, il tessuto connettivo di questo transpartito riguarda solo gli aspetti transnazionali della riforma della politica, o - come credo - fra i radicali impegnati in diversi fronti politici continua ad esistere, nelle autonomie proprie delle organizzazioni in cui operano, un comune disegno strategico di riforma degli schieramenti e dei soggetti della politica partitocratica e di riforma del sistema politico ? I quattro fronti della nostra politica elettorale nacquero proprio da un dibattito e da un confronto in un Consiglio Federale (quello di Bohinj). Ora che quella strategia ha avuto successo, tanto da suscitare quelle reazioni di Craxi, dobbiamo avere paura di ricercare e costruire strategie e disegni comuni, o dobbiamo invece con forza riaffermare una delle ragioni che ci hanno spinto a compiere e portare fino in fondo la scelta transpartitica: la riforma del sistema partitocratico ?