Intervista di Laura Cesaretti a Marco TaradashSOMMARIO: Taradash commenta il risultato della Lista antiproibizionista alle elezioni comunali di Roma e alle elezioni politiche spagnole; le ragioni della presenza di quella lista in un'elezione amministrativa; i programmi degli antiproibizionisti per le prossime elezioni amministrative italiane; i contributi della LIA e del CORA al dibattito internazionale sull'antiproibizionismo.
(Notizie Radicali n.248 del 14 novembre 1989)
D: La lista antiproibizionista a Roma ha raccolto l'1,9% dei consensi, eleggendo un consigliere comunale. Marco Pannella, che pure ha ottenuto una notevole affermazione in termini di preferenze, ha commentato il risultato dicendo: "mi ritengo seccamente sconfitto". Tu come valuti quest'esito elettorale?
R: La lista antiproibizionista ha ottenuto un risultato di "resistenza democratica". Non è un successo, ma neppure una sconfitta. Abbiamo mantenuto il risultato raggiunto alle elezioni europee - molto più libere da condizionamenti e più aperte al confronto di opinioni - in una competizione amministrativa spaventosamente dominata dal clientelismo più sfrenato e dai potentati locali. Questo in realtà significa che siamo cresciuti in termini di consapevolezza e di sostegno dell'opinione pubblica. Per quanto riguarda Marco Pannella, il discorso è diverso: la sua presenza nella lista era un "di più" che poteva scattare solo in determinate condizioni politiche e di informazione. Le condizioni politiche non si sono determinate per responsabilità, come ricordava lo stesso Pannella in quella dichiarazione, del Pci e dei partiti laici, che hanno rifiutato la Lista Nathan. Sul fronte dell'informazione poi la campagna elettorale romana è stata addirittura sciagurata, le liste che disturbavano il regime partitocratico lo
cale non hanno avuto alcuno spazio. La presenza di Pannella nella lista è stata conosciuta solo nel momento in cui è stato di fatto espulso dalla Camera...
D: L'obiezione che più spesso è stata avanzata durante la campagna elettorale, anche da antiproibizionisti convinti, era questa: che senso ha una lista solo "antiproibizionista" in un'elezione amministrativa, cosa possono fare uno o due consiglieri antiproibizionisti a Roma?
R: Credo che la presenza anche di un solo eletto antiproinizionista possa essere preziosa, in qualsiasi organismo elettivo, per introdurre il germe della riflessione razionale e per suggerire all'opinione pubblica vie d'uscita alternative dagli assillanti problemi legati alla droga. Costituisce un importante elemento di rottura del conformismo burocratico che copre con una retorica guerriera una situazione di paralisi e di inefficienza della pubblica amministrazione.
D: L'antiproibizionismo è però un tema di grande respiro, che implica il confronto tra due diverse concezioni non solo del problema droga ma anche dei rapporti tra lo stato e l'individuo. Non ti sembra rischioso e limitativo farne la bandiera di liste elettorali minoritarie?
R: Il rischio di strumentalizzazioni ed equivoci esiste per qualsiasi iniziativa politica nel momento in cui inizia ad affermarsi. Non credo però che sia limitativo, perchè sono molti i tavoli su cui si gioca la partita tra liberalismo e autoritarismo. C'è quello intellettuale e filosofico, quello dell'informazione e quello politico, ed è soprattutto questo che va costruito. In tutto il mondo si sta incardinando un grande dibattito teorico su questo tema, mentre manca il momento dell'iniziativa politica. Dobbiamo scontare la difficoltà della rottura del monopolio proibizionista sulla decisione politica, che fa il paio con il monopolio criminale del mercato della droga. Insieme vanno affrontati e sconfitti.
D: La lista antiproibizionista presentata nella circoscrizione di Madrid alle elezioni politiche spagnole ha ottenuto solo lo 0,15%. Come valuti questa esperienza?
R: E' stata una catastrofe dal punto di vista elettorale, che però non ha coinvolto solo gli antiproibizionisti, ma tutte le liste di opinione, compresi i verdi. Evidentemente in Spagna c'è ancora una forte attrazione dei partiti tradizionali sull'elettorato, e chi non crede nei partiti tradizionali si rifugia nell'astensionismo. In termini di adesioni e di consenso abbiamo raccolto attorno alla proposta antiproibizionista il sostegno delle migliori intelligenze spagnole, che però non ha avuto seguito in termini elettorali. In questo caso, il terreno elettorale era sbagliato, e su questo bisogna riflettere, anche per quel che riguarda le nostre iniziative future nel resto d'Europa.
D: A primavera si terranno in Italia le elezioni amministrative generali. Che faranno gli antiproibizionisti?
R: Il risultato di Roma ci ha dimostrato quanto le elezioni comunali siano condizionate dai potentati e dalle clientele locali. Probabilmente quindi non sono il terreno adatto alla proposta antiproibizionista. Personalmente ritengo che a primavera dovremo concentrarci sulle elezioni regionali, ed eventualmente provinciali, selezionando quelli che sono gli spazi di agibilità politica per una campagna che è di opinione prima ancora che elettorale.
D: Intanto, come ricordavi, a livello internazionale si sta aprendo un vasto dibattito sull'antiproibizionismo, che registra interventi di grande prestigio, come quello recente dell'ex Segretario di stato Usa Shultz. In che modo la Lia e gli antiproibizionisti radicali possono contribuire a questo dibattito e ad un suo sbocco politico?
R: Le cose si stanno muovendo. Siamo stati a Washington, con Pannella, Del Gatto e Arnao, per partecipare al congresso della Drug Policy Foundation, e abbiamo avuto modo di riunirci anche come Lia. Abbiamo constatato che c'è una reazione crescente dell'opinione pubblica e dei media alla "war on drugs" di Bush e Bennett, che si sta dimostrando pericolosa e fallimentare. Le voci dissonanti, come quella di Shultz, sono sempre più frequenti.
Ho però due preoccupazioni: la prima è quella che anche Marco Pannella ha messo in risalto intervenendo a Washington: il ruolo dei mass-media, e in particolare delle televisioni, che sempre più divengono cassa di risonanza e strumento di propaganda della "war on drugs". Le immagini che vediamo, in Usa come in Italia o in Spagna, propongono un'iconografia alla telefilm americano tipo Miami Vice, con il poliziotto eroico che vince sempre sul cattivo trafficante. Il secondo problema è quello della crescente e spesso inconsapevole commistione tra gli interessi dei narcotrafficanti e quelli degli organismi preposti alla lotta alla droga, sempre più ricchi e potenti. Rischiamo di rimanere schiacciati in una morsa perversa tra l'autoritarismo dello stato da un lato e la violenza delle organizzazioni criminali dall'altro. Il pericolo è grave, e il tempo è prezioso: questa spirale va spezzata prima di arrivare ad un punto di non ritorno.
D: E in Italia?
R: Tutto quello che verifichiamo a livello internazionale dimostra come in Italia si stia facendo, grazie a Craxi, Andreotti zzz C., la caricatura della guerra alla droga: una guerra da operetta. Nel mondo è aperto il confronto tra autoritarismo e liberalismo, e in Italia si discute di punibilità del tossicodipendente o di modica quantità; e alla fine tutto viene ricondotto ai meschini interessi elettorali dello 0,5% in più per l'uno o per l'altro. Questo è l'aspetto più sconfortante...