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Archivio Partito radicale
Stanzani Sergio, Vigevano Paolo - 2 gennaio 1990
RELAZIONE DEL PRIMO SEGRETARIO , SERGIO STANZANI, E DEL TESORIERE, PAOLO VIGEVANO, AL CONSIGLIO FEDERALE DEL PARTITO RADICALE SVOLTOSI A ROMA, HOTEL ERGIFE, DAL 2 AL 7 GENNAIO 1990.

Care compagne e cari compagni,

è proprio in questa riunione che il Consiglio Federale è chiamato a prendere atto di un evento che pone, anche formalmente, il partito di fronte alla conclusione di un periodo della sua esistenza e, quantomeno, alla fine di un ciclo della sua storia.

Infatti, se siamo riuniti, come lo siamo, proprio in questi primissimi giorni del nuovo anno in sede di Consiglio Federale e non di Congresso - doveva essere il 36· del Partito - secondo quanto prescrive il nostro statuto, è perché sono stati assunti i "pieni poteri statutari".

Ricorderete che la mozione approvata nell'aprile scorso a Budapest, a conclusione dei lavori del 35· Congresso, con una maggioranza vincolante per gli iscritti e per gli organi del partito perché superiore ai 3/4 dei votanti, "delega ogni potere statutario al primo segretario, al tesoriere congiuntamente al presidente del partito e al presidente del consiglio federale, per tutte le decisioni relative alla vita e al patrimonio del partito ove la violenza riuscisse a prevalere contro la nostra resistenza. Ed in tal senso, con questa norma transitoria e finale, muta lo statuto del partito".

Ricorderete inoltre che il Consiglio Federale riunito qui, a Roma, nel mese di settembre, ha affrontato la questione dei "pieni poteri", entrando direttamente anche nel merito dei contenuti del dispositivo congressuale, con particolare riferimento alle condizioni poste per la loro assunzione, nonché dei termini e delle modalità relative al procedimento di attuazione. Alla conclusione dei lavori la mozione approvata dal Consiglio Federale a questo proposito prende atto che, fino a quel momento, "non era stata ancora attivata la procedura dettata dal Congresso di Budapest, pur di fronte all'evidente, rapido, compiersi del processo antidemocratico, previsto e denunciato, e delle sue conseguenze".

Si tratta - come è noto - del processo da tempo previsto e denunciato dal partito che è stato argomento certo non secondario anche del dibattito svoltosi a Budapest, ove il documento finale ha posto in tutta evidenza la stretta connessione tra l'esistenza del partito e le condizioni imposte dalla "democrazia reale" dei sistemi occidentali e, in particolare, in Italia dalla partitocrazia. A questa connessione e alla "condizione italiana" fa peraltro riferimento anche la mozione del Consiglio Federale di settembre, quando, proprio nell'impegnare il partito e i suoi organi "a privilegiare fortemente la lotta nei paesi dell'est", introduce un inciso quanto mai esplicito e significativo: "per quanto possibile e compatibile con i legami italiani, per ora fonte quasi esclusiva di risorse per il partito".

E' a questa "condizione italiana" e alla sua connessione con l'esistenza del partito che si deve se il momento dell'assunzione dei "pieni poteri" si è ancora protratto oltre il limite consentito, fino all'ultimo momento possibile.

Più volte, ripetutamente, ho manifestato la mia convinzione sull'accrescersi del divario tra la capacità di analisi, di valutazione, di individuazione e di scelta politica del partito e le risorse di cui il partito dispone per corrispondervi adeguatamente con la propria iniziativa, divario le cui conseguenze si sono via via accentuate per i condizionamenti imposti dai sistemi politici sulla praticabilità democratica in Occidente e, in particolare in Italia, per l'influenza dell'uso indiscriminato e distorto dei mezzi di informazione da parte del potere e della partitocrazia.

Ho anche ricordato come più volte nella nostra storia il riscontro quanto mai positivo avuto nei e dai fatti di questa capacità sia stato determinato dall'essere riusciti a coinvolgere con e nella nostra iniziativa "altri" e, tra questi, anche molti di coloro che ci erano stati tra i più decisi avversari. Questo coinvolgimento li ha giustamente accomunati nel successo che, per maggiore disponibilità di mezzi e di potere, ha poi loro consentito di acquisire concreti risultati che noi non abbiamo potuto, ma più spesso voluto ottenere.

Ancora oggi ritengo sia per molti difficile comprendere pienamente il valore e la forza potenziale della scelta transnazionale e transpartitica fatta dal partito radicale. D'altro canto siamo tutti comunque consapevoli che questa scelta, quanto più ritenuta necessaria, tanto più avrebbe comportato un accrescersi del divario tra la prospettiva e la sua potenzialità e l'impegno, le energie, le risorse necessarie per farvi fronte concretamente. Non è un caso che il nostro rivolgerci agli altri sia stato negli ultimi tempi più diretto, esplicito e determinato che mai. Sapevamo e sappiamo che quanto più la nostra proposta politica è corretta e rispondente alla esigenza del tempo che viviamo, tanto più inadeguate sarebbero state e sono, da sole, le nostre energie, le nostre risorse: il partito così come era e come è, impegnato nelle istituzioni in Italia e in Europa, stretto nella morsa del silenzio e della menzogna, non avrebbe potuto, non può - da solo - farcela. Dovevamo, dobbiamo riuscire a rinnovare il

nostro rapporto sia all'interno sia con l'esterno. Grande è la difficoltà, anche superiore - forse - a quanto abbiamo finora potuto valutare.

E' incontestabile che gli avvenimenti succedutisi nel corso di questo anno nei paesi del centro e dell'est dell'Europa, con uno spessore, una estensione e una rapidità da tutti impensata e imprevista, se - da un lato - ci riempiono di gioia e di soddisfazione, giustificate e legittime - dall'altro - hanno oggettivamente contribuito ad accrescere il senso concreto della nostra difficoltà, non solo per l'entità delle risorse di cui dovremmo disporre, ma anche, e soprattutto, per il diversificarsi e l'estendersi dell'impegno richiesto, nonché per il mutare dei ritmi e delle modalità di impiego.

Credo non sia facile trovare riscontri all'importanza e al valore di un evento quale è stato il 35· Congresso tenuto dal partito a Budapest solo dieci mesi fa, quando l'incredulità, prima, e la meraviglia, poi, per questa nostra presenza è stata la dimostrazione più evidente che nulla faceva presagire lo sconvolgimento che stava per investire in rapida successione, uno dopo l'altro, tutti i paesi del centro e dell'est europeo a regime comunista.

Ancora una volta in questa occasione il partito è stato in grado di esprimere e rendere evidente, direttamente, con la propria iniziativa, la portata e il significato della nostra proposta politica. La forza della nonviolenza e della tolleranza per affermare il diritto alla vita e la vita del diritto ha segnato, con la sola tragica eccezione della gloriosa vicenda vissuta dal popolo romeno, il processo di rinnovamento di questi paesi.

Con i nostri pochi mezzi, con l'apporto diretto di alcuni compagni, con l'impegno degli iscritti ivi residenti, anche in questi ultimi mesi il partito ha dedicato la massima attenzione alla lotta nei paesi del centro e dell'est dell'Europa, con risultati anche significativi, ma - a mio avviso - inadeguati a quanto gli avvenimenti e le circostanze avrebbero richiesto. Una nota predisposta da Olivier Dupuis con l'apporto dei compagni che operano a e da Budapest, ove è in funzione un centro di coordinamento dell'attività del partito nei paesi del centro e dell'est europeo, e degli altri compagni che a tale attività collaborano da Zagabria e da Roma, offre un quadro sommario, ma significativo, del lavoro svolto con sacrificio e dedizione, e fornisce anche un'immagine delle difficoltà da superare e delle carenze da colmare. Olivier provvederà direttamente col suo intervento a più e meglio illustrare questa situazione e le condizioni che la caratterizzano. Desidero qui richiamare, perché ne voglio sottolinear

e il significato, la manifestazione che il 18 ottobre si è tenuta contemporaneamente a Mosca, a Praga, a Varsavia e a Budapest e che ha visto per la prima volta cittadini sovietici, cecoslovacchi, polacchi e ungheresi chiedere il rispetto del diritto non per il loro paese, ma per e in quelli dell'Europa occidentale, Spagna e Italia in particolare.

E' di questi giorni il grande successo dell'iniziativa di Radio Radicale in relazione alla rivolta in Romania, di questa radio che ancora una volta ha saputo essere il vero e solo "servizio pubblico": punto di riferimento e di informazione diretta e costante per gli italiani e i rifugiati romeni. La tempestività, l'immediatezza, la completezza dell'informazione assicurata da Radio Radicale per tutte le giornate della vicenda sono stati non solo momento di viva e partecipata mobilitazione, ma hanno fornito un esempio di come sia possibile fare di una informazione corretta un dato peculiare di iniziativa e proposta politica, raccogliendo consenso e rispetto non solo da quanti erano direttamente interessati, ma anche da parte di coloro che dell'informazione fanno un uso improprio e che, ci auguriamo, non vogliano ancora una volta dimenticare con rapidità, nei fatti, consenso e rispetto. La radio si è potuta avvalere, in questi giorni, della stupenda collaborazione di compagni e amici rumeni, dell'apporto d

el centro di coordinamento di Budapest e, in particolare, della presenza in Romania di Antonio Stango che con coraggio e determinazione si è subito recato in questo paese, dopo aver coordinato a Roma e in Italia le prime iniziative del partito nei confronti di questi avvenimenti, che - tra l'altro - hanno visto al Foro Traiano, alla Colonna Traiana, la presenza del PCI con la partecipazione diretta del suo segretario, Achille Occhetto.

Se il partito ha rivolto il proprio impegno e la propria attenzione anzitutto e soprattutto al centro e all'est dell'Europa, iniziative sono state pure rivolte a e in altri paesi. Su questo fronte è stata la proposta antiproibizionista a suggerirle e a alimentarle e saranno gli interventi dei compagni più direttamente coinvolti a fornire informazioni e valutazioni adeguate. Voglio solo ricordare che il partito oltre a seguire, fornendo per quanto possibile anche il proprio diretto apporto, l'attività della LIA in campo internazionale e del CORA in Italia, è intervenuto anche direttamente in supporto ai compagni spagnoli che a Madrid hanno presentato una lista antiproibizionista alle elezioni politiche di ottobre e, da ultimo, Marco Pannella ed Emma Bonino si sono recati in Colombia, a Bogotà, nell'intento di verificare la possibilità di tenere questa riunione del Consiglio Federale in quella città, ove le manifestazioni di sopruso e di violenza della lotta per e contro il traffico della droga sconvolgon

o nel terrore l'intero paese. L'antiproibizionismo è un tema che, sia pure con fatica e tra ostacoli spesso ancora insuperabili, si sta conquistando margini significativi e importanti di attenzione e in merito al quale il partito ritengo possa e debba sempre più dare spazio alla propria iniziativa, nella convinzione che dietro la droga si nasconda non solo l'infamia dei narcotrafficanti, della malavita organizzata, dei mercanti di morte, ma si coprono anche interessi e tendenze che, in prospettiva, possono erigere il proibizionismo a fattore portante di ben più vaste e pericolose operazioni repressive, contro il diritto e la democrazia.

Stati Uniti d'Europa, processo di unificazione e Parlamento Europeo.

Il succedersi degli avvenimenti nel centro e nell'est europeo, se da un lato pone sempre più in evidenza la validità e l'importanza degli obiettivi della nostra proposta politica, ne ha tuttavia modificato nei termini e nelle modalità il percorso: è sufficiente avere presente la problematica introdotta dalla prospettiva dell'unificazione tedesca per rendersi conto di quali ulteriori elementi e interrogativi lo rendano ancor più tortuoso e complesso. I compagni in Ungheria e in Jugoslavia stanno considerando con attenzione se e come sia praticabile la ripresa di concrete iniziative in proposito, e anche questo argomento sarà qui oggetto delle loro considerazioni. La presenza nel Parlamento Europeo di tre compagni (Pannella, Aglietta e Taradash) eletti - come sapete - in liste diverse, ha portato sostanziali mutamenti nella struttura e nei servizi di cui gli eletti radicali disponevano a Bruxelles nella legislatura precedente e, finora, non è stato possibile costituire un rapporto con quella sede che cons

enta al partito di avvalersene in misura adeguata e consistente.

Care compagne e cari compagni,

più ed oltre che dal quadro complessivo della situazione relativa agli aspetti transnazionali che qui ho succintamente richiamato, è la situazione italiana e del partito in Italia alla quale dobbiamo il rinvio "all'ultimo momento" dell'assunzione dei pieni poteri.

Quando, due anni fa, a Bologna al 34· Congresso, accettai la candidatura a segretario del partito lo feci anche nella convinzione che la scelta transnazionale e transpartitica - diversamente da quanto ritenevano altri compagni - richiedesse da parte di tutto il "gruppo dirigente" del partito l'assunzione di più precise, dirette e autonome responsabilità e in questa mia convinzione non vi era certo il proponimento di raccogliere le differenze che si erano manifestate in Congresso per alimentarle e dar corpo ad una assurda contrapposizione che ponesse in discussione la leadership di Marco Pannella. Al contrario ritenevo necessario costituire una più diretta ed esplicita responsabilità collettiva del e per il "gruppo dirigente", affinché questi fosse in grado, in condizioni di maggiore autonomia, di assicurare una direzione dell'attività del partito più coordinata ed efficiente, tale da consentire a Pannella, in una fase così importante e delicata, di sviluppare la propria iniziativa, libero da vincoli non

solo formali con gli organi esecutivi del partito e poter così meglio precisare la nuova prospettiva del partito e contribuire a delinearne con la massima efficacia le linee di attuazione.

Si tratta di un disegno che non è stato possibile realizzare, né vale qui, oggi, chiedersi se e quali più positivi sviluppi del partito si sarebbero conseguiti col proporci fin da allora il diretto coinvolgimento di Pannella nella gestione del partito.

Il percorso di questi due anni è stato fin dall'inizio segnato dalle difficoltà e dalle resistenze incontrate nel dover prendere atto della incompatibilità del partito, così come si era venuto a configurare attraverso l'insediamento nelle istituzioni, con la scelta transnazionale e transpartitica e con la decisione conseguente di non prendere più parte alle elezioni con liste proprie. Difficoltà e resistenze che sono state fattore non irrilevante nel determinarsi dell'inadeguatezza nostra, del gruppo dirigente, a risolvere questa incompatibilità, facendone un elemento portante e di governo del necessario processo di trasformazione.

Non senza fatica ed esitazioni abbiamo poi preso atto del concludersi di un periodo della nostra storia, dell'esaurirsi di quel "segmento di teoria della prassi" che aveva consentito con grandi successi, la crescita del partito.

Si è così formata e costituita l'ipotesi della "chiusura".

Ipotesi che ha avuto nelle condizioni di crisi economica e finanziaria più volte constatate e pubblicamente denunciate solo un supporto e che ha scelto e assunto, come parametro di riferimento, la disponibilità per il partito delle risorse finanziarie pubbliche e private, ponendole in relazione alla durata della legislatura in Italia e all'andamento delle attività intraprese indipendentemente dal partito, nel settore televisivo. Tutto ciò nella convinzione dell'impossibilità di far fronte, con l'assetto esistente e con l'apporto degli iscritti e del solo autofinanziamento, alle esigenze politiche essenziali del partito.

L'ipotesi della chiusura fu poi abbandonata in vista del possibile rilancio transnazionale offertoci dall'azione svolta per i diritti umani, la democratizzazione e l'unità europea nel paesi del centro e dell'est europeo che ha portato il partito a celebrare il Congresso di Budapest e, come conclusione, anche alla prospettiva dei "pieni poteri statutari".

Che la delibera del Congresso prospetti i "pieni poteri" come una eventualità, sia pure con un elevato grado di probabilità, risulta chiaro dal contesto della mozione congressuale, come pure è chiaro che le possibili condizioni alternative a questa soluzione erano affidate in gran parte all'evolversi della situazione italiana: un indice evidente lo è stato il "Congresso italiano" del partito transnazionale che si è tenuto nel maggio successivo a Rimini in vista delle elezioni europee e che già era stato annunciato proprio a Budapest, alla fine del Congresso.

In una precedente occasione ho avuto modo di esprimere il mio convincimento che la condizione transpartitica sia preliminare, sia cioè un presupposto essenziale per realizzare il partito transnazionale e ciò, anzitutto, proprio in relazione a quei "legami italiani, per ora fonte quasi esclusiva di risorse per il partito": la mozione di settembre del Consiglio Federale con questo inciso non intendeva certo riferirsi solo alle risorse finanziarie, ma anche, e soprattutto, a quelle umane.

Ritengo che sia stato proprio l'impegno rivolto a determinare queste condizioni che da Budapest ad oggi ha comportato lo sforzo maggiore per il partito, con risultati importanti, forse maggiori di quanto non sia immediatamente percepibile, ma con un costo elevato, molto più elevato di quanto non si potesse ritenere, perché in Italia i "fattori esterni", la chiusura del sistema, gli ostacoli, l'insensibilità e i ritardi dovuti alla "democrazia reale" sono gravati e gravano pesantemente sulla nostra iniziativa e spesso la eludono, la distorcono, la soffocano fino ad annullarne l'impatto.

E' vero che l' iniziativa radicale assunta, nel Paese e nel Parlamento, nei confronti dei socialdemocratici, dei verdi, dei laici, dei comunisti, dei cittadini convinti del pericolo della droga e del proibizionismo e/o comunque desiderosi di uscire dal sistema è dovuta ad un impegno autonomo di iscritti al partito, liberi e liberati dal vincolo del e col "partito in quanto tale", così come peraltro è stato ribadito e sollecitato nell'appello rivolto agli iscritti dalla mozione approvata a settembre dal Consiglio Federale. Ma è altresì vero che la connessione originale nelle implicazioni strutturali ed operative col partito si è protratta ed è, in gran parte, rimasta, determinando - da un lato - l'uscita di energie tra le più valide e l'impoverimento, se non il venir meno, delle capacità di azione politica del partito "in quanto tale", riducendone il campo dell'iniziativa e - dall'altro- ha prodotto un maggior gravame di compiti operativi e di servizio su di un assetto organizzativo via via più ina

deguato.

In una tale condizione assicurare il coordinamento di questo processo, ma anche il solo collegamento si è rivelato un obiettivo sempre più difficile da realizzare.

D'altro canto è a queste iniziative, assunte nella massima parte in vista delle elezioni europee che si devono i risultati significativi e importanti di cui abbiamo preso atto con soddisfazione nella precedente riunione del Consiglio Federale e che, tra l'altro, hanno contribuito in misura determinante ad impedire quel tanto atteso "successo socialista" e la conseguente, pressoché certa, interruzione della legislatura che, con ulteriore scempio di regole democratiche e al solo fine di rinserrare sempre più il cerchio del sistema partitocratico, era volta ad impedire lo sviluppo dei processi in atto tesi a riproporre al Paese termini reali di confronto democratico.

L'occasione delle recenti elezioni comunali a Roma - evento volutamente sospinto ad una rilevanza politica di portata nazionale, quasi fosse una dovuta rivincita - ha reso evidente, nonostante i buoni risultati conseguiti dai compagni impegnati nell'area dei "verdi" o dell'iniziativa antiproibizionista, non solo la precisa volontà del sistema di soffocare nel silenzio la presenza radicale, ma - purtroppo - anche la incapacità di quei settori e forze politiche interessati a rompere gli schemi attuali, a cogliere le opportunità di grande rilievo che erano state a loro offerte dalla fantasia e dall'iniziativa radicale.

Anche in questa occasione a questi nostri compagni non è venuto meno, per quanto possibile, l'apporto del Partito e dei servizi di cui dispone.

Come per le elezioni europee, così per quelle romane la proposta radicale è stata alimentata dall'iniziativa e dalla partecipazione diretta di Marco Pannella, iniziativa e partecipazione che Pannella ha peraltro assicurato durante tutti questi mesi col preciso intento di affermare, estendere e consolidare in Italia la condizione transpartitica di cui necessita il Partito, e lo ha fatto potendo usufruire ed usufruendo del non essere coinvolto direttamente e formalmente nella responsabilità di direzione del "partito in quanto tale": e anche questa è stata una condizione che abbiamo dovuto assicurare fino all'ultimo momento.

Mi auguro che i compagni che sono stati e sono tra i protagonisti di tutte queste iniziative "italiane" e che si sono addossati con coraggio e determinazione, a volte con precipuo e consapevole senso di servizio, l'onere di una conduzione dura e stressante, conduzione che li ha posti più di una volta di fronte a momenti difficili nella gestione del rapporto con il partito, intervengano per fornire non solo più precise ed esaurienti informazioni, ma anche le loro valutazioni per alimentare la discussione su di un aspetto della situazione del partito (lo ripeto: l'esigenza di essere anzitutto transpartitico in Italia per poter essere transnazionale e, quindi, transpartitico anche in altri Paesi), che non è stato, non è, non potrà non essere irrilevante e che pertanto non può, a mio avviso, essere trascurato.

Anche a tal fine, per ordinare il nostro lavoro con modalità confacenti alle esigenze attuali, ritengo sia utile condurre questa riunione per punti e non solo in base ad una unica discussione generale.

Care compagne e cari compagni,

se è vero, come è vero, che il dispositivo approvato a Budapest per "i pieni poteri statutari" non ne rendeva vincolante l'assunzione e lasciava aperta la possibilità di una prosecuzione dell'attività del partito secondo il regime statutario ordinario, è altrettanto vero che già a settembre il Consiglio Federale, tenuto conto delle relazioni presentate e del dibattito che si è svolto, con le sue decisioni (non solo quelle prese con le mozioni approvate, ma anche quelle dovute alle mozioni respinte; è bene ricordarlo) ha escluso che vi fossero condizioni atte a convocare, proprio in questi giorni, il 36· Congresso del partito. Non solo, ma il Consiglio Federale ha anche manifestato con chiarezza di ritenere assai improbabile che tali condizioni si potessero determinare in tempo utile e, di conseguenza, ha suggerito (imporlo non gli è dato) l'assunzione dei pieni poteri, pronunciandosi di fatto per una linea favorevole alla terza delle ipotesi sottoposte all'esame del Consiglio dal Segretario e dal Tesori

ere con le note aggiuntive alle loro relazioni.

Secondo questa ipotesi l'assunzione dei pieni poteri sancisce anzitutto la conclusione di un periodo dell'esistenza del partito, la fine di un ciclo della sua storia e comporta l'annullamento dell'assetto preesistente e l'inizio di una fase che può portare alla rifondazione e alla costituzione del "partito nuovo" o alla sua liquidazione.

Da settembre ad oggi il nostro comportamento, la nostra scelta è stata anzitutto quella di non precludere comunque, fino al limite del possibile, l'eventualità di evitare il ricorso ai "pieni poteri".

E' stata una scelta che ha accresciuto la nostra solitudine e determinato anche isolamento in attesa di una iniziativa che sapevamo dover lasciare - e abbiamo lasciata - essenzialmente ad altri, ai compagni che dall'esterno erano impegnati nel determinare condizioni che portassero al partito anche quel contributo concreto di iscrizioni di "altri", e per primi di esponenti qualificati di quei partiti, di quelle forze politiche, ai quali era stato ed è stato ripetutamente rivolto l'invito e l'appello.

Eravamo consapevoli che questo era indispensabile perché avrebbe assicurato al partito quella condizione (transpartitica), necessaria non solo per far confluire le iscrizioni militanti, ma che ci avrebbe anche consentito di riproporci - da subito - con forza rinnovata negli altri paesi.

Le iscrizioni, le adesioni non vi sono state, salvo le eccezioni di quei compagni, che iscritti ad altri partiti, hanno tempestivamente, da tempo raccolto il nostro invito e ai quali rinnoviamo la nostra stima e gratitudine; la condizione attesa, e che forse avrebbe potuto consentirci di non dover ricorrere all'assunzione dei pieni poteri, non si è determinata.

Il Segretario del Partito Comunista, Achille Occhetto, ha preannunciato che domani interverrà alla nostra riunione: ci auguriamo che il processo di ricostituzione del suo partito, da lui avviato con coraggio e determinazione e da noi auspicato e sostenuto con comportamenti e atti concreti in momenti certo non sospetti, gli consentano un più preciso e coerente riscontro con le nostre proposte e il nostro appello.

E' trascorso così, per noi, con questi ultimi quattro mesi, un periodo dei più difficili, impegnati giorno per giorno - alle volte con pressione e ritmi ossessivi, altre con pause e assenze angoscianti - nell'adempiere al compito che, se pur sostanziale, sapevamo non poter essere che marginale, in condizioni di fatto che possono anche aver contribuito ad accrescere carenze ed inadeguatezze personali.

Nell'assolvere a questo compito non potevamo tuttavia ignorare l'approssimarsi del termine che avrebbe reso comunque inevitabile l'assunzione dei "pieni poteri statutari" e abbiamo così ritenuto di dover anche predisporre, per quanto possibile, le premesse per l'annullamento dell'assetto preesistente che dei "pieni poteri" è una conseguenza pur essa inevitabile. Con l'assunzione dei "pieni poteri" i primi vicesegretari aggiunti, i membri della segreteria e quanti altri erano stati investiti di responsabilità politica, e che permanevano nella loro funzione in proroga del precedente mandato, perché non sostituiti al Congresso di Budapest, cessano dall'incarico e dalla loro funzione.

Dal primo di gennaio è stato interrotto anche ogni altro rapporto col partito a qualsiasi titolo istituito, salvo che per sei persone la cui attività è resa indispensabile per l'osservanza degli obblighi di legge nel campo amministrativo e di quelli dovuti a vincoli statutari (le iscrizioni, le riunioni del Consiglio Federale), inoltre il Centro di Ascolto televisivo utilizzerà tutti i locali della sede di Corso Rinascimento e l'attività del partito avrà come unico recapito Via di Torre Argentina.

Care compagne e cari compagni,

alla luce di quanto finora premesso quale è la situazione, lo stato del partito? Quali sono le condizioni e i termini concreti dai quali parte il "regime dei pieni poteri statutari?".

Devo subito dirvi che una risposta esauriente ed adeguata a questi interrogativi è stata già configurata e preannunciata nel tempo dalle molte pagine scritte e a voi di volta in volta sottoposte nelle riunioni del Consiglio Federale e al Congresso e che qui, oggi, non ci sarà possibile riproporvela, aggiornata, in termini completi ed esaurienti, ma solo in estrema sintesi, con pochi richiami e precisazioni essenziali.

Carenza di tempo e di risorse, o di volontà e determinazione?

Il dubbio e l'incertezza insiti in questa domanda sono pur essi indice di verità. E' necessario prenderne atto per sottoporli a valutazione e giudizio politico e trarne le diverse, ma possibili e dovute conclusioni.

In sintesi, ecco gli aspetti essenziali della situazione attuale.

Al 31 di dicembre del 1989, secondo le previsioni fatte a settembre e presentate al Consiglio Federale, la situazione economica del partito doveva chiudersi con un disavanzo effettivo di 1.600 milioni. Questo risultato è oggi confermato dal consuntivo poiché ai minori costi dovuti al non aver tenuto il 36· Congresso si sono aggiunti maggiori costi per importanti lavori di ristrutturazione della nuova sede - imprevedibili al momento dell'acquisto - nonché le spese sostenute per questa riunione del Consiglio Federale, i cui importi equivalgono nel complesso ai minori costi.

Il formulare una ipotesi di previsione dell'andamento economico del partito per il 1990 non può prescindere dal sottolineare anzitutto che responsabilità precipua del regime dei "pieni poteri statutari" è quella di garantire concretamente e costantemente una situazione economica e patrimoniale che consenta la liquidazione del partito, senza incorrere nel fallimento e nella bancarotta e, a tale proposito, dobbiamo ricordare che, al rispetto di queste condizioni, sono connesse precise responsabilità personali, prime tra tutte - ma non sono le sole- quelle del segretario e del tesoriere congiuntamente al presidente del partito e al presidente del Consiglio Federale.

D'altra parte, la gravità e l'entità della crisi economica del partito non è di oggi, ma è stata puntualmente denunciata e documentata e sottoposta all'esame ed alla valutazione del Consiglio Federale (che ha approvato le relazioni) dall'aprile del 1988 e, successivamente, fino al Congresso di Budapest, con cadenza bimestrale. In ciascuna riunione sono state via via illustrate le eccezionali difficoltà che il partito ha dovuto affrontare e superare in questo campo e, a settembre di quest'anno, il Consiglio Federale è stato ancora una volta informato compiutamente della situazione e anche queste relazioni sono state approvate.

Per questa riunione il tesoriere ha elaborato - e sono stati rappresentati graficamente - gli andamenti dal 1973 relativi ai principali elementi costitutivi della situazione economica del partito. Le tabelle e i grafici relativi, correlati da brevi illustrazioni sono a vostra disposizione, e sono allegati al bilancio del 1989, che vi viene sottoposto con la relazione dei revisori dei conti per l'esame e l'approvazione.

Non è possibile, in questa sede, addentrarci in una esposizione delle interpretazioni del significato di queste elaborazioni, è comunque interessante osservare che in questi ultimi anni la carenza di informazione fornita dal servizio pubblico radiotelevisivo in Italia (gli ascoltatori delle "Tribune politiche" sono passati da 20 milioni a 2, riducendosi ad un decimo) ha indotto il partito a sostenere una spesa importante per tentare di sopperire a questa carenza, il cui importo si è accentuato nel tempo e ciò ha portato il partito anche ad utilizzare a tal fine, direttamente ed in misura sempre più consistente, il finanziamento pubblico, prima totalmente destinato ai soli "soggetti autonomi" (Radio radicale e Teleroma 56 anzitutto).

Un'altra osservazione interessante che emerge da queste elaborazioni è la crescita quanto mai consistente della spesa complessiva del partito nel biennio 1986-87, solo parzialmente compensata dall'incremento - indubbiamente molto importante - che ha fatto registrare in questi due anni l'autofinanziamento come conseguenza dei risultati della campagna dei "diecimila iscritti". Tale aumento di spesa che si è ripercosso - inevitabilmente - sull'anno successivo - il 1988 - quando, il venir meno dell'effetto sull'autofinanziamento della campagna dei "diecimila", col permanere di costi così elevati, ha contribuito in termini sostanziali alla crisi economica e finanziaria che ha coinvolto il partito in questi due ultimi anni: a noi, infatti, è stato solo possibile bloccare la tendenza in aumento della spesa complessiva, contenendola nel 1988 e limitandola nel 1989, senza con ciò, purtroppo, risolverla.

Di conseguenza, per fare una previsione economica per il 1990, è indispensabile partire tenendo conto solo dei dati certi, senza considerare acquisiti elementi che certi non sono e, tra questi, innanzitutto il protrarsi della legislatura del Parlamento italiano per tutto l'anno. Infatti, su tale base, l'inserire nella previsione l'uso - anticipandone l'importo dalle banche - del finanziamento pubblico del 1991 può compromettere irrimediabilmente le condizioni per una corretta liquidazione del partito. Altro elemento, che per la stessa ragione non può essere incluso nella previsione, è dato dalla quota delle indennità parlamentari che versano gli eletti nelle liste del partito al Parlamento italiano e gli iscritti eletti al Parlamento europeo. In questo secondo caso però, poiché le quote non sono anticipate, ma corrisposte mensilmente, è ragionevole inserire in preventivo la metà dell'importo complessivo annuale (450 milioni).

Altra componente che può inserirsi nella previsione delle entrate con ragionevole margine di certezza é quella relativa all'apporto delle attività connesse al settore televisivo, il cui importo (1.000 milioni di lire) è stato di recente confermato.

La situazione patrimoniale infine consente di far fronte ad un disavanzo complessivo che non può superare i due miliardi; poiché quello esistente alla fine del 1989 è confermato in 1.600 milioni, è disponibile un residuo di altri 400 milioni.

In totale la base ragionevolmente attendibile di entrate per il 1990 (più che entrate, di disponibilità) è di 1.850 milioni.

Allo stato questi sono gli impegni ai quali il partito deve necessariamente fare fronte:

- le rate di mutuo relative all'acquisto della nuova sede e le spese connesse con la manutenzione, l'esercizio e l'uso degli impianti e servizi che vi sono installati, per un importo complessivo di 350 milioni;

- la spesa relativa alle sei persone con le quali il partito deve fare fronte ai compiti amministrativi, alla gestione tecnica delle iscrizioni e degli indirizzari e alle funzioni logistiche essenziali, numero al quale, coi provvedimenti già adottati e di cui già si è detto, si sono ridotte le 36 persone che hanno operato nel e per il partito fino a tutto il mese di dicembre 1989, percependo a diverso titolo un compenso o un rimborso. L'importo complessivo previsto per questa voce è di 150 milioni di lire;

- il costo necessario per assicurare il completamento della fase sperimentale del progetto " AGORA'", che deve assicurare la possibilità di trasmettere e ricevere per via telematica gli scritti radicali, tradotti in più lingue, all'interno del partito e di comunicarli anche all'esterno, per un importo di 300 milioni;

- la prosecuzione dell'attività del centro di comunicazione e coordinamento per il centro e l'est europeo a Budapest, per un importo di 350 milioni;

- la pubblicazione e la diffusione di "Lettera Radicale" tradotta in nove lingue con periodicità trisettimanale (una volta ogni tre settimane), per un importo di 200 milioni.

L'importo complessivo dovuto a questi impegni è di 1.350 milioni.

Oltre a ciò è necessario prevedere di dover tenere almeno un'altra riunione del Consiglio Federale ed un secondo "Congresso italiano" del partito, analogo a quello che si è tenuto a Rimini alla fine di maggio poco dopo il congresso di Budapest, per un importo complessivo di non meno di 400 milioni. Con questo ulteriore importo il totale sale a 1750 milioni, con un residuo attivo - rispetto alla previsione delle entrate - di soli 100 milioni.

Da tutto ciò emerge con grande evidenza che solo con il sostanziale apporto dell'autofinanziamento è possibile prendere in considerazione un programma di attività, per un minimo significativo e consistente, e ciò richiede la ripresa ed il rilancio delle iscrizioni e del lavoro militante.

Col riferirci ad un programma per un minimo significativo e consistente, ci riferiamo peraltro solo a quelle altre attività altrettanto essenziali che sono state qui da noi escluse unicamente per un preciso e rigoroso senso di responsabilità nei confronti di ciascuno e di tutti noi: si tratta della stampa e della diffusione del giornale Notizie Radicali - in italiano e nelle altre lingue-, della pubblicazione di Notizie Radicali - agenzia quotidiana di informazione -, nonché della possibilità di tenere altre riunioni del Consiglio Federale o comunque di incontrarci con frequenza più adeguata. Ancor più si tratta di quelle attività che comportano costi e che sono strettamente connesse con l'iniziativa politica.

Non possiamo considerare la situazione economica relativa al 1990 senza tener conto, oltre che del partito, anche di Radio Radicale.

All'inizio della relazione abbiamo già sottolineato l'essenziale ruolo svolto in Italia da Radio Radicale in occasione dei fatti di Romania, prendendo atto con soddisfazione che l'informazione assicurata dalla radio è stata, non solo momento eccezionale di mobilitazione, ma - ancora una volta - esempio di come sia possibile fare dell'informazione corretta un dato peculiare di iniziativa e proposta politica. Dal 1986, da quando il partito non è stato più in grado di devolvere a Radio Radicale l'intero importo del finanziamento pubblico, sono falliti tutti i tentativi posti in atto per garantirne l' autosufficienza mediante il riconoscimento della sua natura di "servizio pubblico" e la conseguente acquisizione di contratti e convenzioni con la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il Parlamento e con le Regioni, come peraltro avviene per la RAI-TV e per l'ANSA (la principale agenzia di stampa italiana). Tra l'altro la decisione adottata di assicurare per legge a Radio Radicale un contributo in quanto o

rgano di partito come avviene per i giornali delle altre forze politiche rappresentate in Parlamento, se ha in parte risolto i problemi economici più immediati della Radio Radicale, ne ha vieppiù ostacolato il procedere verso il riconoscimento della sua funzione pubblica che è il più naturale e corretto.

Come già ricordato ripetutamente al Consiglio Federale, Radio Radicale - stante la carenza normativa del settore radiofonico e televisivo in Italia - necessita di un costoso e costante adeguamento tecnico dei propri impianti che porta il suo costo annuale a non meno dei 5.500 milioni, il che oltrettutto rende il contributo percepito dalla radio, quale organo di partito (2.000 milioni di lire), ampiamente inadeguato ad assicurarne l'attività.

Ogni volta, in questi due anni, la situazione di Radio radicale è stata evocata senza riuscire peraltro a suscitare un interesse e un'iniziativa adeguata. A settembre, tenuto anche conto che col 1990 avrà termine la corresponsione a Radio Radicale del contributo previsto dalla legge come organo di partito, abbiamo sottolineato la necessità assoluta di dover affrontare il problema entro quest'anno, consapevoli che solo il riconoscimento della natura di "servizio pubblico" può adeguatamente risolverlo e in tal senso stiamo operando.

Per il 1990, con ragionevole certezza, è possibile prevedere per Radio Radicale un'entrata non superiore a 3.000 milioni di lire (2.000 di contributo pubblico e 1.000 da proventi pubblicitari e da servizi). Tenuto conto che, con la fine del 1989, la situazione economica di Radio Radicale dovrebbe far registrare un disavanzo di 1.000 milioni di lire, per far fronte al fabbisogno complessivo dell'esercizio 1990 sono necessari altri 3.500 milioni. E' un importo la cui entità rende ancor più evidente come la risposta adeguata non può essere diversa da quella sopra indicata.

Quali considerazioni suggeriscono queste cifre? Con quale valore e significato politico?

Agli inizi del 1988, al Consiglio Federale che si tenne a Madrid, lo "stato del partito" rivelava a tutti noi un partito il cui "valore" annuo complessivo era pari a 13.500 milioni (corrispondenti oggi, a valori attuali, a circa 15.000 milioni, se consideriamo una svalutazione della lira in due anni del 10%) incardinato nelle istituzioni che lo sostenevano contribuendo a vario titolo (finanziamento pubblico ai partiti, finanziamento dei parlamentari e dei relativi gruppi, contributi per l'editoria) per quasi l'80% del valore complessivo. Il costo del partito "in quanto tale" era allora previsto in 4.750 milioni (più di 5.000 milioni a valori attuali) un costo analogo era quello previsto per la Radio Radicale, mentre il valore residuo era assorbito dai costi previsti per i parlamentari e l'attività dei gruppi. Questo partito si avvaleva dell'apporto di 129 persone, impegnate in responsabilità politiche o in compiti organizzativi ed operativi. Di queste persone 38 erano quelle impegnate nell'attività del parti

to "in quanto tale". Nel biennio 1988-89, mentre i costi della Radio Radicale hanno superato i 5.000 milioni, portandosi verso i 5.500, che abbiamo visto essere l'importo previsto per il 1990, la struttura complessiva del partito e il suo assetto non si sono sostanzialmente modificati e i costi del partito "in quanto tale" si sono invece ridotti a scapito di un significativo contenimento dell'attività. E' infatti a tutti noto quanto le risorse e le disponibilità sulle quali abbiamo potuto contare si siano dimostrate inadeguate e insufficienti a far fronte alle esigenze del partito impegnato nello sforzo di realizzarsi come forza transnazionale e transpartitica, pur essendoci potuti ancora avvalere nel corso del biennio dell'apporto dovuto alla presenza nelle istituzioni.

Dagli elementi da noi forniti in relazione alla costituzione di una base realistica per la formazione di un preventivo per il 1990, si evidenzia una situazione che - sia per gli aspetti economici e le conseguenti disponibilità finanziarie, sia per quanto concerne la struttura e il relativo assetto - si distingue e si contrappone in termini molto netti a quella preesistente.

Il regime dei "pieni poteri", infatti, prende atto proprio dalla concretezza delle cifre, che - come abbiamo affermato all'inizio di questa relazione - si è concluso un periodo dell'esistenza del partito ed è finito un ciclo della sua storia. In coerenza con questa "rottura" la base di partenza verso la costituzione del "partito nuovo" (o per giungere alla sua liquidazione) prescinde pressoché totalmente dall'apporto avuto finora dalle istituzioni e annulla la struttura e l'assetto preesistente.

Abbiamo visto infatti che le disponibilità finanziarie relative al 1990 non raggiungono i 2.000 milioni nel complesso e che è previsto l'apporto di solo sei persone. Si tratta di risorse finanziarie inferiori alla metà di quelle di cui il partito ha mediamente usufruito nel corso del precedente biennio, mentre le risorse umane sono sì e no un sesto di quelle che hanno operato nello stesso periodo; e noi sappiamo quanto le une e le altre siano state inadeguate e insufficienti.

Il "nuovo regime" si pone pertanto e anzitutto, con drammatica urgenza, di fronte al problema delle iscrizioni, dell'autofinanziamento, dell'apporto militante, con la consapevolezza che non può essere solo la "gente", le donne e gli uomini "qualunque" che possono risolverlo, ma con loro, e prima di loro, sono esponenti qualificati di altri gruppi o forze politiche, di altri partiti che con l'iscrizione al partito e la loro autorevolezza possono e devono colmare - tra l'altro - la carenza di informazione che ha finora impedito una più generale comprensione del valore, della rispondenza, dell'urgenza della scelta transnazionale e transpartitica fatta dal Partito radicale.

Sono queste iscrizioni che col loro peso possono fornire al partito, non solo in termini quantitativi, quel supporto che, unito all'impegno dei militanti ne può in parte contenere il fabbisogno finanziario, ponendolo egualmente in condizione di operare con efficacia e determinazione, forte della propria identità e di un'immagine a questa più adeguata.

Per concludere, un brevissimo accenno alle iscrizioni sulle quali informazioni più dettagliate sono fornite negli allegati al bilancio.

Nel 1989, in dodici mesi, gli iscritti sono stati 3.179, un numero pressoché identico a quello degli iscritti che si sono avuti, corrispondentemente, in dodici mesi nel 1988. E' da tenere presente tuttavia che per il 1988 le iscrizioni al partito furono aperte con tre mesi di anticipo, in ottobre del 1987, e di conseguenza le iscrizioni raccolte per questo "anno radicale", in quindici mesi, sono state 5.843.

Sempre nel 1989 si sono iscritte al partito 733 persone non residenti in Italia, un numero ancora molto inferiore a quello di 3.000 che fu posto come obiettivo a Bologna, all'inizio del 1988, per la costituzione del partito transnazionale.

Le iscrizioni dei non residenti in Italia nel biennio '88-'89 mutano sostanzialmente la loro composizione se si pongono in relazione ai paesi da cui provengono: nel 1988 la metà era di residenti nei paesi della CEE, per due terzi in Spagna, Portogallo e Belgio, mentre nel 1989 i tre quarti dei non residenti in Italia iscritti al partito provengono da paesi dl centro e dell'est europeo (Yugoslavia, Ungheria, Polonia, Unione Sovietica e Cecoslovacchia). In questi paesi la sola presenza di pochissimi compagni radicali e alle volte per pochi giorni, ha consentito il formarsi di piccoli, ma significativi gruppi di iscritti. Al di fuori dell'Europa, attorno a Basile Guissou si sono raccolti in Burkina Faso 20 iscritti.

Per il 1990 sono state raccolte 379 iscrizioni delle quali 318 in Italia, di cui 66 in rapporto all'iniziativa antiproibizionista condotta in particolare dal CORA e 61 negli altri paesi, nella massima parte in Cecoslovacchia (43).

Care compagne e cari compagni,

riteniamo sia evidente che questa nostra relazione è l'ultima relazione relativa al "regime ordinario" e lo conclude. Non è e non lo potrebbe essere la prima del "nuovo regime", quello dei "pieni poteri". Il delinearne la prospettiva, indicandone per quanto possibile allo stato attuale le prime linee di azione, è compito che spetta a Marco Pannella. L'assunzione dei "pieni poteri" lo coinvolge direttamente, assieme ad Emma Bonino, in una responsabilità che è congiunta, comune alla nostra e che non può pertanto esimerci da affidargli l'onere e l'onore di essere lui il primo ad esprimere il pensiero e la volontà dei "quattro", sui quali pesa oggi il gravoso compito di salvare fino al limite dell'impossibile - con il vostro apporto - la speranza del Partito radicale.

 
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