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Strik Lievers Lorenzo - 7 gennaio 1990
Scuola: Relazione di minoranza del senatore Lorenzo Strik Lievers sul disegno di legge relativo alla "Ristrutturazione dell'ordinamento della scuola dell'obbligo" (n. 1756)

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INDICE:

- Valori liberali della sinistra e conformismo sindacale

- Un dibattito positivo

- Superare i limiti dell'insegnante unico. C'e' un solo modo?

- Solo noi moderni? Una riforma che ci porta fuori dall'Europa

- Perche' in tutta Europa resta il maestro di classe

- Il bisogno di sicurezza

- Trattare i bambini come bambini

- La "secondarizzazione" delle elementari. Educare al senso critico, o minarne lo sviluppo?

- Il danno e le beffe. Frammentazione senza specializzazione

- Le elementari "secondarizzate" piu' delle medie, dove - l'insegnante centrale resta

- I nuovi programmi richiedono il "modulo"? E' un falso

- Tre insegnanti: puo' funzionare quando vanno d'accordo. Ma se d'accordo non vanno?

- Si e' sperimentato solo il "modulo" volontario, non quello obbligatorio

- Nei "moduli" obbligatori, inevitabili i dissidi fra insegnanti

- Si crea la figura dell'insegnante privo della liberta' d'insegnamento

- I lavori della Commissione. Il maestro "prevalente".

- Affidarsi alla responsabilita' degli insegnanti. Perche' solo per il primo ciclo?

- La verita' pedagogica di stato

- L'articolo 15 della Camera. La pedagogia di stato nelle scuole parificate......

- .....e chiudere le scuole "altre". Abrogata la liberta' nelle scuole private

- La scelta della Commissione del Senato

- La scuola come problema di cultura e di liberta'

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Colleghi senatori,

non sono davvero questioni di poco momento, ne' lievi responsabilita' quelle che ci stanno di fronte mentre ci accingiamo a deliberare sulla riforma della scuola elementare.

Dobbiamo decidere se la scuola elementare rinnovata dovra' essere concepita "su misura di bambino" o dovra' al contrario rispondere a ben diverse logiche, sindacali o altro.

Dobbiamo decidere se e' accettabile - nel 1990! - creare la figura di un insegnante istituzionalmente privo della liberta' di insegnamento.

Dobbiamo decidere se e' sensato, a due anni dal 1992, introdurre ordinamenti che allontanerebbero radicalmente la scuola elementare italiana da ogni altra esperienza europea, giacche' in

nessun altro paese europeo - non a caso - si e' immaginato di percorrere una strada come quella proposta per l'Italia.

Dobbiamo decidere se e' accettabile che si riduca drasticamente la liberta' di insegnamento obbligando le scuole private a diventare copie conformi di quelle di stato.

Valori liberali della sinistra e conformismo sindacale

Puo' certo apparire singolare, e per molti versi lo e' davvero, che una proposta di riforma scolastica da tante parti presentata come moderna e progressista possa porre di fronte a dilemmi di tal genere. Ma i termini del confronto, non c'e' verso, sono appunto questi. E se e' cosi', come qui di seguito si dimostrera' puntualmente, chi abbia davvero a cuore un rinnovamento serio della scuola, che la metta in grado di meglio rispondere alle esigenze dei bambini e della societa', ha il dovere di non subire passivamente quel conformismo di pseudo-sinistra che elegge senz'altro a unita' di misura del progressismo le posizioni di certo sindacalismo scolastico; ha il dovere di levare il suo grido di allarme, anche sfidando le fin troppo scontate accuse di sacrilego "attacco alla riforma". Semmai, anzi, proprio in nome della coerenza con i valori liberali, democratici, umanisti di una sinistra che non sia piu', finalmente, giacobina, populista e giustizialista e percio' illiberale, occorre decidersi a dirlo al

to: si sono provocati guasti profondi consentendo troppo a lungo che interessi, logiche e criteri sindacali debordassero fuori dagli ambiti che sono i loro - e nei quali sono di vitale utilita' - per diventare i fattori dominanti nelle scelte di politica scolastica e spesso nella complessiva vita della scuola. Cosi', infatti si sono venute stravolgendo ed "espellendo", in tanti e tanti casi, le ragioni e il proprio della scuola, che non puo' ovviamente essere governata e governarsi con criteri di tipo sindacale senza negare in qualche modo se stessa.

Un dibattito positivo

Che una riforma degli ordinamenti della scuola elementare sia necessaria, tanto piu' essendo entrati da tempo in vigore i nuovi programmi, e' cosa fin troppo evidente. Come e' ben fondata la richiesta che giunge dal mondo della scuola di avere finalmente un quadro normativo certo, dopo cosi' ampi dibattiti e cosi' numerose promesse di riforma. Anche per questo non era agevole - rischiava di essere molto impopolare -, quando all'inizio di agosto si e' aperto il dibattito in Commissione al Senato, dire di no alla richiesta di procedere in fretta, ottenendo il passaggio alla sede legislativa per approvare in poche sedute, prima delle ferie estive, possibilmente immutato, il testo giunto dalla Came-

ra. Pure, questa responsabilita' ce la siamo assunti: abbiamo fatto mancare, da soli, l'unanimita' dei gruppi necessaria al trasferimento di sede. Decisione di cui oggi possiamo rivendicare la positivita'. Grazie ad essa ha potuto riaprirsi un dibattito di ampio respiro, i cui termini stessi hanno dimostrato quanto fosse necessario; e ha trovato cosi' lo spazio per esprimersi, accanto alla nostra opposizione, la vera e propria obiezione personale di coscienza che, rispetto ad alcuni degli aspetti piu' gravi e negativi della legge, hanno sollevato esponenti autorevolissimi della maggioranza, dentro e fuori dal Parlamento.

Il risultato di questo confronto e' un testo che chi scrive ritiene per molti versi francamente inaccettabile, carico di ambiguita', di equivoci e di scelte errate; ma che certo su alcuni dei punti decisivi e' stato migliorato in modo significativo rispetto a quello che era giunto dalla Camera. Di cio' e' necessario dare atto, nel presentare questa relazione di minoranza, non solo per dovere di lealta', ma anche perche' e' ancora aperto il confronto con quanti chiedono il ripristino integrale del testo della Camera. Confronto al quale, dunque, dovra' essere dedicata una parte sostanziale delle considerazioni che qui si svolgeranno.

Superare i limiti dell'insegnante unico. C'e' un solo modo?

Il cardine della riforma e' la sostituzione dell'antico maestro unico con il cosiddetto "modulo" di tre insegnanti per due classi. Il testo votato dalla Camera lo configura come una struttura rigida, all'interno della quale gli insegnanti si suddividono in parti uguali le ore di presenza in base agli ambiti disciplinari; salva la sola possibilita' di organizzare il modulo in modo da consentire una maggiore presenza in classe di un singolo insegnante in prima e in seconda. E tanto vuole sia generalizzato questo sistema, che lo impone anche alle scuole private parifica-

te.

Rispetto a questa formulazione, dalle implicazioni gravissime, e che alcuni settori politici e sindacali vorrebbero reintrodurre integralmente, era ed e' doveroso obiettare nel merito e nel metodo.

Che l'antica figura del maestro unico vada superata, intendiamoci, per quanto ci riguarda e' ragionevole e opportuno. Difficilmente una sola persona e' in grado di insegnare in modo adeguato tutte le discipline , comprese le lingue straniere, l'educazione musicale, ecc..; e costituisce sicuramente una esperienza positiva per il bambino quella di udire piu' voci, come e' prezioso e stimolante per l'insegnante lavorare in costante confronto con altri. Il problema e' pero' quello del modo in cui si procede a questo superamento; perche' e' evidente che una soluzione come quella che si e' architettata in questa legge non rappresenta l'unica risposta possibile a una tale legittima esigenza.

Solo noi moderni? Una riforma che ci porta fuori dall'Europa

Al contrario se si guarda fuori d'Italia - dove si puo' supporre che qualche esigenza di modernità venga ben avvertita - si deve constatare che in nessun paese della comunità europea si conosce qualcosa di simile all'ordinamento che si vuole introdurre da noi. Non c'è che rinviare, a questo proposito, al rapporto presentato alla VII Commissione, predisposto dalla Biblioteca di documentazione pedagogica di Firenze (Unità italiana di Eurydice), rapporto che - considerata la ricchezza di elementi di confronto e valutazione da esso offerti - si riproduce in appendice a questa relazione. Ne risulta che in Europa si ha una notevole varietà di ordinamenti; ma che ovunque, senza alcuna eccezione, esiste la figura forte dell'insegnante di classe, variamente coadiuvato in molti casi da insegnanti di materie specifiche o di sostegno. Rafforza semmai il quadro il caso dell'Irlanda, dove si è condotto, dopo il 1971, un progetto sperimentale su un'ipotesi affine a quanto si vuole ora introdurre in Italia; ma dove, no

n per nulla, l'esperimento si è risolto in un fallimento.

Insomma, andare avanti sulla strada che si è imboccata significa, né più né meno, allontanarsi - e proprio ora - da ogni altra esperienza e realtà europea in questo settore. Non è decisione da poco: siamo davvero certi, prima di compiere un passo dal quale sarebbe impossibile tornare indietro, di essere noi l'avanguardia in Europa, i soli ad aver ragione contro l'opinione di tutti? E' solo in Italia che si è colta l'esigenza di avere una scuola al passo con i tempi, mentre in tutta Europa le ragioni della modernità sono sacrificate a nostalgie conservatrici? Certo, il meccanismo che la riforma vuole sia adottato in Italia è quello che meglio di ogni altro tutela le ragioni dell'occupazione dei docenti, in una fase di declino demografico; ragioni degne di ogni attenzione e preoccupazione, e di cui occorre responsabilmente farsi carico. Ma non sarà forse che queste ragioni abbiano fatto velo a quelle che negli altri paesi della Comunita' Europea, in tutti gli altri paesi della Comunita' Europea, hanno por

tato ad escludere una soluzione di questo genere come inaccettabile per la scuola, per le sue finalità?

Perche' in tutta Europa resta il maestro di classe

Cio' a cui nel resto d'Europa non si è rinunciato, e buon

senso vorrebbe che anche da noi non si rinunciasse, è la possibilità per il bambino di trovare nella scuola elementare quel punto

di riferimento centrale, fonte per lui di forza, di sicurezza, di

sicurezza di se', che solo il maestro di classe puo' rappresenta-

re. E insieme a questo, tutt'uno con questo, non si è rinunciato

a mantenere quel carattere proprio e specifico della scuola elementare costituito dall'impostazione globale unitaria dell'insegnamento; visto che, soprattutto nei primi anni, l'insegnamento ha come fine prioritario l'educazione, la formazione della personalità del bambino, e le singole discipline vanno insegnate

in questo contesto, in qualche modo anche come strumenti per questa finalità. Obiettivo questo per conseguire il quale è evidente la funzione decisiva dell'insegnante di classe: integrato quanto

si voglia, e utilmente, dalla presenza di altre figure, o inserito in sistemi a classi aperte, capace di fecondo coordinamento nell'azione educativa con altri maestri, e quant'altro: ma pur sempre robustamente presente.

Il bisogno di sicurezza

Si obietta, da parte dei sostenitori del "modulo" (essi soli, pare, moderni e progressisti in Europa) che queste sarebbero preoccupazioni superate, di nostalgici della "maestrina dalla penna rossa" o della maestra-chioccia, che non conoscerebbero i bambini di oggi e i loro problemi. I bambini, dicono, oggi sono

abituati a una molteplicità di stimoli delle più disparate provenienze: da quelli della televisione agli infiniti altri cui la società moderna li espone; per non aggiungere che già in famiglia trovano una pluralità di punti di riferimento, giacchè i genitori sono due. Ma appunto questi argomenti provano il contrario di quel che si vorrebbe dimostrassero. Proprio il fatto che più di un tempo i bambini siano investiti da stimoli diversi e spesso magari confliggenti rende più che mai necessario che almeno a scuola essi trovino punti di riferimento sicuri. E, certo, i genitori sono due: ma chi non si rende conto di quanto sia drammatica la situazione che si crea per un bambino quando fra i genitori non c'è accordo, bensì scontro e conflitto? Sono molti, semmai, i casi in cui proprio nel rapporto con l'insegnante il bambino trova un parziale equilibrio rispetto alle tensioni che lo circondano in casa. Mentre il "modulo" come proposto dal testo della Camera è appunto tale da non essere in grado, per la sua natura

stessa, di offrire alcuna garanzia contro il rischio che al suo interno si determinino situazioni di conflittualità permanente.

Trattare i bambini come bambini

Il punto è che questo "allontanamento dall'Europa" non

riguarda un fatto tecnico di organizzazione scolastica ma, se ne sia o no consapevoli, comporta una pesante e grave, ancorchè confusa, opzione pedagogico-culturale; di quelle che danno forma e sostanza a un sistema educativo, e configurando in un modo o nell'altro la condizione dell'infanzia e il passaggio dall'età infantile a quelle successive, investono caratteri di fondo di una società.

Il significato ultimo dell'innovazione proposta (ma poi, lo

si vedrà subito, con contraddizioni interne che ne fanno un guazzabuglio incoerente) sta nella "secondarizzazione" della scuola elementare; nella decisione di anticipare ad essa il modello di quella secondaria. Anche se si cerca di negarlo, suddividere l'insegnamento per aree disciplinari tra diversi maestri vuol dire questo e non altro.

Chi scrive è profondamente convinto che questa tendenza rappresenti una conseguenza e un sintomo di una distorsione culturale di fondo, che ha preso ampio piede nelle nostre società: l'incapacità di cogliere le differenze, la profonda diversità fra i bisogni nelle diverse età; l'incapacità di trattare i bambini come bambini, e non come piccoli adulti non ancora cresciuti. E' il tema del profondo allarme e del dibattito sulla "scomparsa dell'infanzia" in corso soprattutto in America, dove il fenomeno è ancor più drammaticamente vistoso che da noi.

La "secondarizzazione" delle elementari. Educare al senso critico, o minarne lo sviluppo?

"Secondarizzare" la scuola elementare significa appunto confondere bisogni psicologici di età fra loro assai diverse. Se è vero che per un adolescente misurarsi con metodologie, impostazioni e punti di vista anche molto differenti da parte dei vari insegnanti puo' costituire un dato non solo di arricchimento culturale ma anche di rafforzamento della personalità, in quanto occasione per mettere alla prova le proprie capacità critiche, ben altro effetto ha la medesima situazione per un bambino di sei o sette anni. Trovarsi alle prese con metodi, criteri di valutazione e opinioni contrapposte non puo'non avere per lui effetti di sconcerto, turbamento, in tanti casi anche di interna lacerazione, provocando stati di insicurezza tali da poter pesare con effetti di lungo periodo sullo sviluppo della sua personalità. E' un'illusione catastrofica ritenere che così si affretterebbe lo sviluppo del suo autonomo senso critico. Al contrario: illudendosi di accelerarlo, lo si mina e lo si compromette. Proprio per mat

urare in sé progressivamente, col crescere, autonomia e capacita' critica il bambino delle elementari - e tanto più nelle prime classi - ha bisogno di solidi punti fermi, di certezza di sé, insomma di forza interiore. Non è su una base di interiore fragilità che l'adolescente o poi l'adulto trova i migliori fondamenti per affermare la propria autonoma personalità, la propria autonoma capacità di scegliere criticamente.

Il danno e le beffe. Frammentazione senza specializzazione

Giudizi, si dirà, opinabili. Ai quali si potrà opporre il vantaggio della "secondarizzazione": quello di avere maestri specializzati nei diversi settori, con specifiche capacità didattiche nelle diverse materie. E si puo'anche capire, se non condividere, che a questo vantaggio qualcuno sia disposto a veder sacrificata la necessità per il bambino del maestro di riferimento, insieme a quella che l'insegnante lavori non tanto nell'ottica della singola materia ma in quella della formazione complessiva del bambino. Impostazione che chi scrive respinge, per le ragioni appena enunciate; ma che indubbiamente ha una sua dignità e una sua coerenza.

Il male è che questa dignità e questa coerenza la proposta di riforma giunta dalla Camera è ben lontana dal possederle. Non si è avuto il coraggio - né ci sarebbe stata la possibilità - di percorrere in modo conseguente la strada della" secondarizzazione", in modo da coglierne almeno i vantaggi. Nel momento stesso in cui si mette strutturalmente in questione la possibilità di garantire l'unitarietà dell'insegnamento cancellando la figura dell'insegnante centrale, non si osa neppure affermarne il principio. Anzi, all'idea di globalità, di non settorializzazione, si

compiono ampi omaggi formali. E a ribadire che si guarda sempre alla globalità dell'azione educativa, si chiarisce che i maestri si dividono sì gli insegnamenti, ma non sono specialisti e specializzati per materie; tanto è vero che (art.5, comma 3) essi vengono utilizzati secondo una "opportuna rotazione nel tempo". E forse, del resto, un'altra strada non sarebbe facile da percorrere: gli specialisti non si improvvisano, né i maestri attuali sono stati preparati a essere tali, e le disponibilità finanziarie e di energie, risibili rispetto agli obiettivi, che la legge prospetta per l'aggiornamento degli insegnanti non sono di sicuro adeguati a consentire un serio rivolgimento in questo campo.

Il danno e le beffe, insomma: il progetto è fatto per assommare i difetti di un sistema a quelli dell'altro. Si frammenta l'insegnamento, a ogni maestro si affida solo un gruppo di discipline, dando vita ad un meccanismo che necessariamente lo sospinge verso una logica di settorializzazione: per la forza stessa delle cose cioè egli diventa l'insegnante di italiano o di matematica, preoccupato di far bene apprendere la sua materia , prima che l'educatore impegnato innanzitutto a favorire la crescita armonica del bambino. Come nelle secondarie, appunto, sacrificando il proprio e lo specifico delle scuole elementari; ma senza prevedere che il maestro abbia, o si procuri, quella specializzazione, che è propria del professore delle secondarie, e che sola potrebbe giustificare una simile scelta!

Le elementari "secondarizzate" piu' delle medie, dove l'insegnante centrale resta

A ben vedere, anzi, per quanto riguarda la questione dell'insegnante centrale la soluzione proposta comporta, paradossalmente, una "secondarizzazione" nelle elementari molto più accentuata che nella stessa scuola media: dove, come è noto, almeno per due anni l'insegnante di lettere è presente in classe per un numero di ore tale da costituire di fatto - pur in presenza di una pluralità di docenti - quella figura di riferimento che invece sparirebbe del tutto proprio nelle elementari (o comunque, anche nel testo della Commissione del Senato, nelle ultime tre classi).

Anche per questo occorre pensarci bene, prima di rendere definitive decisioni da cui sarebbe poi impossibile tornare indietro. La riforma determina l'assurdo di un sistema educativo che cancella per i più piccoli l'insegnante di riferimento mentre ( e a ragione, come l'esperienza dimostra) lo mantiene, nelle secondarie inferiori, per i più grandi. Semmai anzi l'esperienza della scuola media offre elementi preziosi di valutazione rispetto all'opinione, che da molte parti vien fatta valere, secondo cui non sarebbe possibile avere una pluralità di figure docenti e insieme l'insegnante centrale, giacché in tal caso gli insegnanti "collaterali" sarebbero sentiti dai bambini come irrilevanti, privi di autorevolezza, e sarebbero perciò posti nell'impossibilità di svolgere un'efficace azione educativa. Contro questa tesi stanno non solo le innumeri esperienze straniere, o quelle che si sono fatte tanto a lungo anche in Italia in scuole come quelle montessoriane, ma appunto la realtà a tutti ben nota della scuol

a media: ove accanto alla figura di riferimento, quale è il professore di lettere, stanno altri insegnanti, da quello di matematica a quello di lingua straniera, la cui autorevolezza di fronte agli allievi non è per nulla minata per il fatto che essi stanno in classe per un numero decisamente inferiore di ore.

I nuovi programmi richiedono il "modulo"? E' un falso

E' bene infine sgombrare il campo anche di un altro argomento, che è poi quello invocato come decisivo a sostegno del "modulo" dei tre insegnanti: la tesi secondo cui la sua introduzione generalizzata sarebbe condizione necessaria, imprescindibile, per poter svolgere davvero i nuovi programmi adottati nel 1985, per ragioni connesse alla natura stessa di quei programmi, alla loro complessità, all'ipotesi pedagogica che li anima. Si afferma che rifiutare il "modulo", o anche voler reintrodurre nella sua applicazione una differenza fra primo e secondo ciclo, significa sabotare i nuovi programmi. Ebbene, van dette le cose come stanno: in questi termini si tratta di un clamoroso falso, divenuto, a forza di ripeterlo, verità indiscussa. Proprio il testo dei nuovi programmi infatti prevede nel modo più esplicito la figura dell'insegnante di classe; meglio, parla di un "ruolo specifico dell'insegnante di classe - questo particolarmente nel 1· ciclo", (1) distinguendo anche e in particolare da questo punto di vi

sta il primo dal secondo ciclo. Si puo' dunque affermare piuttosto il contrario: è l'abolizione del maestro di classe che non rispecchia le ipotesi alle quali i nuovi programmi si ispirano. (Lasciamo qui impregiudicata la questione, su cui si tornerà, se sia accettabile il principio di un'unica ipotesi pedagogica valida per tutti).

Tre insegnanti: puo' funzionare quando vanno d'accordo. Ma se d'accordo non vanno?

Per la verità, come si è acccennato, nel dibattito in Commissione nessuna voce si è levata a sostenere le ragioni di una "secondarizzazione" della scuola elementare. In linea di principio, anzi, si è realizzata una convergenza generale fra tutti gli intervenuti nel riconoscere che costituisce necessità vitale, irrinunciabile nella scuola elementare l'unitarietà dell'insegnamento; unitarietà che del resto l'art. 5, comma 2, del disegno di legge consacra come un criterio cardine dell'attività didattica. Il dissenso verteva piuttosto sulla necessità o meno a questo scopo della presenza di un insegnante centrale o preminente.

Chi nega questa necessità sostiene che l'unitarietà può garantirla altrettanto bene un gruppo di insegnanti che, in spirito di collaborazione, lavorino insieme, arricchendo semmai ciascuno nel lavoro comune, nello scambio reciproco le proprie capacità di efficace azione educativa.

_______________

(1) Ministero della Pubblica Istruzione - Programmi didattici per

la scuola primaria, Roma, 1985, p. 13

Diciamolo subito, per eliminare ogni possibile equivoco: di per sé, questo è perfettamente vero. O meglio, può esserlo, a una condizione però: che fra gli insegnanti esista una piena armonia. Se questa condizione si realizza, ogni altro problema può certo trovare soluzione. Ma la questione cui non si può sfuggire è: che cosa accade se invece questa armonia non c'è, se all'interno del gruppo si determina una situazione di dissenso o di conflitto? E' qui che mancano, e mancano drammaticamente, serie garanzie.

A fugare le preoccupazioni si cita l'ampia sperimentazione che della formula del "modulo" dei tre insegnanti si è effettuata in questi anni, e ci si rifà alla relazione positiva presentata dagli ispettori centrali del Ministero della Pubblica Istruzione. Va detto, veramente, che diverse riserve possono essere avanzate sulla serietà dei controlli e delle verifiche da cui quella relazione nasce. Come va detto che a ciascuno che sia attento a quanto avviene nella scuola giungono voci molto varie e diverse sul modo in cui queste sperimentazioni si svolgono; e si sente sì parlare di esperienze positive, ma anche di altre negative, caratterizzate da confusione e conflittualità. Ma si accetti pure per vero che nella maggior parte dei casi gli esperimenti abbiano dato buoni risultati: ciò non prova nulla, semplicemente perché le condizioni in cui la sperimentazione si è svolta sono completamente diverse da quelle che si determinerebbero dopo l'approvazione della legge.

Si e' sperimentato solo il "modulo" volontario, non quello obbligatorio

Il fatto è che la sperimentazione si è svolta su base volontaria, per iniziativa dei gruppi di insegnanti che erano d'accordo nel condurla e che, appunto volontariamente, si sono aggregati tra loro, si può presumere, sulla base di comuni intenzioni e di un accordo di base tra loro su metodi, criteri, obiettivi pedagogici. Tutt'altra, radicalmente altra la situazione che si creerebbe in base alla riforma: la struttura del modulo diverrebbe

obbligatoria per tutti, favorevoli e contrari ad essa, e l'aggregazione degli insegnanti si farebbe non più per libera scelta reciproca, a partire da comuni progetti educativi, ma in molte realtà soltanto sulla base del caso, del caso che ha assegnato i singoli insegnanti all'una o all'altra scuola. Dove starebbe allora, se non la garanzia, almeno una ragionevole presunzione che l'armonia del gruppo sia assicurata?

Ma si legga la stessa relazione degli ispettori del Ministero, caratterizzata com'è, con tutta evidenza, dalla volontà di giungere a una conclusione positiva ed elogiativa della sperimentazione compiuta. Si è voluto presentarla come la dimostrazione che ogni preoccupazione sarebbe fuori luogo. Eppure anch'essa deve ammettere:

"La capacità di collaborazione, la disponibilità al confronto e l'accettazione del punto di vista altrui sono condizioni essenziali alla corretta impostazione ed attuazione delle dinamiche relazionali all'interno del gruppo. Nella generalità delle esperienze gli insegnanti in essa impegnati provenivano frequentemente da precedenti iniziative di lavoro in équipe, costituite sulla base di affinità professionali o di libere opzioni.

Quando la costituzione del gruppo-docente sarà determinata in base ai soli coefficienti di organico, o a variabili non sempre controllabili, il problema potrà acuirsi fino a provocare casi di vera e propria conflittualità a tutto danno della proficuità dell'intervento

educativo".

O si veda quanto ha detto Mario Lodi, uomo certo non sospettabile di conservatorismo pedagogico, o di nostalgie per vecchi modelli di scuola. A partire proprio dalla contestazione della figura del maestro isolato, che non trova collaborazione nei colleghi, chiusi ognuno "nella sua aula come in una tana", egli pero' osserva:

La legge tiene conto di questa esigenza di collaborazione, fondamentale per creare un atteggiamento critico. Pero' che cosa succedera' oggi? Che la collaborazione sara' imposta burocraticamente, come nell'Est si voleva creare il "cittadino nuovo". La collaborazione non puo' essere improvvisata. Non si possono mettere insieme il maestro autoritario e quello permissivo". (La Stampa, 10 dicembre 1989).

Nei "moduli" obbligatori, inevitabili i dissidi fra insegnanti

Questo e' il punto nodale. La sperimentazione attuata puo' dimostrare semmai solo che il "modulo" puo' funzionare, e magari anche benissimo, quando liberamente scelto a partire da intenzioni comuni. Ma nulla dice su quello che avverra' quando la formula sara' introdotta a regime. E qui basta un elementare buon senso per capire che in un numero certo rilevante di casi l'imposizione burocratica mettera' insieme persone con forti divergenze tra loro: sui metodi, sulle regole e sui criteri con i quali condurre la vita della classe, su quel che puo' essere o non essere opportuno pretendere dai bambini...

La gravita' delle situazioni che cosi' si verranno a determinare non potra' mai essere sottolineata abbastanza. Per i bambini, innazitutto. Senza avere ovviamente la maturita' critica che permette ai ragazzi piu' grandi di affrontare senza traumi i contrasti fra i diversi insegnanti, i bambini si troveranno a vivere in un clima di tensione, facilmente sottoposti a sollecitazioni contraddittorie, elidentisi l'un l'altra; dunque in uno stato di incertezza, insicurezza, probabilmente di ansia, e comunque certo di profonda confusione.

Si crea la figura dell'insegnante privo della liberta' d'insegnamento

Ma altrettanto gravi, su un altro piano, nella concretezza del vivere quotidiano e in termini di principio, le conseguenze per gli insegnanti. Il buon senso e, come si e' gia' ricordato, la stessa legge richiedono agli insegnanti del "modulo" di garantire l'"unitarieta' dell'insegnamento". Ma che accadra' in caso di contrasto fra loro, contrasto non occasionale o su particolari minori, ovviamente, ma sulle scelte di fondo; dove gli incontri a mezza strada sono piu' difficili, e dove la coerenza e il rigore sono essenziali per dare credibilita' all'azione educativa? In quale condizione si trovera' l'insegnante le cui convinzioni siano minoritarie all'interno del modulo?

Se non si giunge ad un accordo (e quante volte cio'puo' succedere: si pensi alle realta' ben note dei rapporti interni al corpo docente in scuole di ogni ordine e grado!) due sono i casi. O ciascuno procede per la sua strada, secondo le proprie convinzioni; e allora l'"unitarieta'" non esiste, con gli effetti che si sono appena ricordati. Oppure, per senso di responsabilita' verso i bambini che gli sono affidati, chi e' in minoranza garantisce l'unitarieta' accettando punti di vista e criteri che non condivide. Accetta, insomma, di insegnare "contro coscienza".

Non puo' non levarsi, su questo punto, un grido di allarme e, se e' consentito, un monito solenne. Ci si renda ben conto, prima di prendere decisioni definitive, di quel che ci si appresta a scrivere nelle leggi della Repubblica. Con l'introduzione generalizzata e obbligatoria del modulo, il maestro elementare diverra', in via di principio, un insegnante privo "strutturalmente" della liberta' di insegnamento. Si doveva attendere la prima grande riforma "democratica" della scuola, dopo decenni di mancate riforme, per giungere a questo risultato: di creare, per la prima volta, la figura dell'insegnante privo per legge della liberta' di insegnamento.

E' con senso di desolazione che si deve constatare come tanta parte del sindacalismo scolastico - non tutto, per fortuna - rivendichi un simile risultato come un proprio successo, e come anzi difenda il testo della Camera quasi fosse un'ultima trincea del riformismo progressista. Bel successo, in verita'; e bella tutela degli interessi degli insegnanti. Davvero vi si puo' vedere l'immagine esemplare, al confine con il paradosso, dei guasti - cui s'accennava all'inizio di questa relazione - derivanti dall'aver consentito il prevalere nella scuola di criteri e dinamiche sindacali, dell'aver affidato e riconosciuto pressoché solo al momento sindacale la rappresentanza complessiva del mondo della scuola e delle sue istanze.

I lavori della Commissione. Il maestro "prevalente".

Rispetto a questo complesso di questioni, il dibattito in commissione ha visto emergere, soprattutto dall'interno della maggioranza, preoccupazioni in larga misura convergenti con i punti di vista che si sono qui manifestati; e intorno a questi temi si e' sviluppato per buona parte il dibattito.

Chi scrive aveva proposto di uscire da questo intrico di nodi per la via maestra, quella via "europea" che permetterebbe di scioglierli tutti insieme: aveva cioe' proposto che si adottasse la formula del maestro di classe, coadiuvato da altri insegnanti per compiti specifici, insieme cercando i modi migliori per assicurare la possibilita' a chi lo ritenga di seguire anche altri percorsi. Ma l'idea di ribaltare l'impianto della legge non ha incontrato il favore della Commissione.

La via che la maggioranza ha scelto e' quella di una soluzione in qualche modo intermedia; la quale lascia aperti molti dei problemi, ma certo rappresenta almeno un passo nella direzione giusta. Si e' deciso di intervenire sul quinto comma dell'articolo 5, che nel testo della Camera prevede la semplice "possibilita'" che, nei primi due anni, "per favorire l'impostazione unitaria e predisciplinare dei programmi" un singolo insegnante sia presente in classe per un numero di ore maggiore che gli altri due membri del "team". Si e' considerato che la presenza di un insegnante in un certo senso "prevalente" (non gerarchicamente, ma rispetto all'attenzione e alle attese dei bambini) particolarmente per i bambini piu' piccoli, quelli di sei e sette anni costituisce un bisogno importante; che si tratta di assicurare in qualche modo, da questo punto di vista, un loro diritto. A fronte di questo, la constatazione che le dinamiche proprie di una struttura quale il "modulo" di tre insegnanti sono tali da non

incoraggiare, di per se', l'adozione di soluzioni come quella auspicata; se non altro perche' in quell'ambito non puo' non apparire come piu' ovvia, quasi scontata e naturalmente piu' semplice da gestire, una suddivisione rigorosamente paritaria dei compiti. Sicche' il semplice riconoscere la "possibilita'" di adottare il sistema a maestro "prevalente" rischierebbe di risultare inadeguato allo scopo. E si e' deciso, su questa base, di dare un'indicazione forte" circa la necessita' che questa formula venga adottata, pur lasciando un margine per soluzioni diverse in casi particolari, e purche' ovviamente l'eccezione non diventi la regola. Si e' scritto cosi' che "di norma" quella deve essere la strutturazione del modulo in prima e in seconda elementare.

Affidarsi alla responsabilita' degli insegnanti. Perche' solo per il primo ciclo?

Indicazione sicuramente positiva; ma che sembra dovrebbe essere logicamente sviluppata in modo piu' conseguente. La commissione ha ritenuto, giustamente, di dover tutelare un'esigenza dei bambini. A questo scopo la via piu' diretta e certa sarebbe stata, come pure nel dibattito si e' proposto, di stabilire senz'altro che quella "deve" essere, senza eccezioni, la soluzione. Si e' scelto altrimenti, volendo tutelare un margine di flessibilita', o insomma di liberta' degli insegnanti; si e' dato cioe' un indirizzo "forte", ma insieme ci si e' affidati alle responsabili scelte degli insegnanti, nella preoccupazione di non imporre una verita' necessariamente unica per tutti. Lezione di metodo preziosa, quest'ultima, da rivendicare; essa sì, davvero, innovativa, e positivamente, nel panorama della scuola italiana. Ma se questo e' l'intento, occorre non fermarsi a meta'. Perche' non affidarsi agli insegnanti anche per quanto riguarda gli ultimi tre anni della scuola elementare? Perche' non chiarire, come chi

edeva un emendamento presentato da chi scrive, che gli insegnanti i quali lo ritengano giusto possono mantenere il "modulo" con il maestro prevalente anche negli anni successivi alla seconda? Che' se invece il criterio non fosse quello di uno spazio di autonomia da riconoscere ai docenti, coerenza vorrebbe che in base alle valutazioni circa le necessita' dei bambini sopra ricordate si prescrivesse tassativamente per il primo ciclo la formula che si e' individuata come la migliore.

Non si tratta di una questione di dettaglio, di un particolare minore. Implica una grande questione di principio, un'impostazione generale della politica della scuola; o meglio, una concezione del posto da assegnare alla liberta' nella vita della scuola.

La verita' pedagogica di stato

Anni di dibattito sulla riforma degli ordinamenti delle elementari, e da ultimo le discussioni in questo ramo del Parlamento, hanno dimostrato ad evidenza che il sostenere l'una o l'altra formula (il maestro unico, il gruppo paritario o quant'altro) riflette anche, benche' non solo, diversi modi di vedere il bambino, la sua realta' e i suoi bisogni. Il problema che a questa stregua si impone all'attenzione é, nella sua complessita', anche molto netto: e' ammissibile, risponde a un criterio laico, non ideologico della democrazia, e' conciliabile con l'idea di una vita culturale, e dunque anche scolastica, che abbia come regola e criterio ultimi il principio di liberta', la pretesa di imporre a tutti una sola "immagine" del bambino?

Implica appunto questo, infatti, generalizzare come rigidamente obbligatoria (e per il secondo ciclo lo è, sia nel testo della Camera che in quello del Senato) una struttura didattico-organizzativa che riflette un determinato modo di considerare il bambino, o che solo con esso può armonizzarsi, mentre risulta incompatibile con altri. Come, del resto, quando si sono introdotti i nuovi programmi per la scuola elementare. Si è detto e si è scritto allora da ogni parte che si abbandonava finalmente un'immagine del bambino che aveva fatto il suo tempo per adottarne una nuova, rispondente ad altre, più moderne impostazioni psicopedagogiche. Su questo fondamento, riflettendo queste più moderne concezioni, si erano definiti i nuovi programmi.Ma, questo il problema: e chi per avventura avesse condiviso tuttora la vecchia immagine del bambino, quella "legale", iscritta nei programmi ministeriali, fino al giorno prima? O chi ne avesse coltivato o ne coltivi un'altra ancora, come era possibile accadesse, o come an

zi accade? Costoro devono avere diritto di cittadinanza dimidiata? (Salva sempre la facoltà di "arrangiarsi" - siamo in Italia - facendo conto che i programmi non esistano).

In realtà siamo sempre, ancora, alle prese - sia pure in termini più raffinati e meno appariscenti di un tempo - con l'idea, questa sì davvero vecchia, autoritaria e giacobina - di una verità pedagogica di stato che la maggioranza, o piuttosto chi controlla le leve del potere, si ritiene legittimata a imporre uniforme a tutti nella scuola di stato: in nome, di volta in volta, del progresso, delle idealità nazionali, del bene comune, o non importa di che altro.

L'articolo 15 della Camera. La pedagogia di stato nelle scuole parificate......

Clamorosa, e si potrebbe dire addirittura grottesca nella sua gravità, davvero rivelatrice l'attuazione o anzi l'estensione che di questo modo di pensare dava l'articolo 15 del testo della Camera; del quale occorre pur parlare, visto che c'è chi rivendicava e continua a rivendicare l'approvazione integrale di quel testo, e per di più presentandolo come un obiettivo democratico e progressista.

E' l'articolo che tratta della scuola privata. Nella formulazione della Camera esso, modificando radicalmente lo status giuridico vigente, e riformando in senso illiberale, totalizzante, la legislazione fascista, impone trionfalmente la pedagogia di stato anche alla scuola privata, decretandovi la fine della libertà di insegnamento.

Si consideri quale nuova condizione quell'articolo (divenuto l'articolo 14 nel testo per fortuna riscritto dalla Commissione del Senato) creerebbe per i due tipi di scuola privata, quella

parificata e quella autorizzata, a entrambe le quali imporrebbe ben altri vincoli rispetto a quelli ora vigenti.

La scuola parificata, giacchè rilascia titoli di studio, deve ovviamente assicurare una preparazione e svolgere programmi in pieno corrispondenti a quelli della scuola di stato. Attualmente, in base a disposizioni del 1986, le convenzioni con le quali queste scuole ottengono la parifica le impegna ad" adottare, per i programmi e gli orari, l'ordinamento delle scuole elementari di stato". Il testo della Camera invece, quasi ristabilendo un'interpretazione restrittiva della vecchia legislazione fascista (R.D. 5 febbraio 1928, n.577), fa loro obbligo di adeguare in toto i propri ordinamenti a quelli della scuola di stato. La differenza è di enorme rilievo: se è obbligatorio interamente, e non solo per i programmi e gli orari, l'ordinamento della scuola di stato, lo è anche il sistema dei tre insegnanti su due classi. Ciò significa che "obbligatorio" diventa anche adeguarsi alla filosofia pedagogica che con quel sistema è compatibile, mentre sono banditi quei metodi pedagogici per i quali è essenziale il ra

pporto con una figura centrale di insegnante. Ne consegue, ad esempio, che le scuole parificate montessoriane dovrebbero rinunciare alla parifica, o rinunciare ad essere se stesse.

Si tratterebbe di una misura soltanto persecutoria, perchè in nessun modo giustificata dagli scopi istituzionali della parifica. Lo svolgimento dei programmi vigenti infatti puo' essere assicurato perfettamente anche con un'organizzazione del corpo docente diversa da quella del sistema dei tre insegnanti; rendere vincolante il quale non puo' avere altro senso e scopo, allora, che quello di imporre una determinata filosofia pedagogica. (A meno che non serva a sostenere che si debba aumentare in corrispondenza il contributo pubblico di cui godono. E in effetti un ordine del giorno in tal senso è stato accolto dalla Camera...)

.....e chiudere le scuole "altre". Abrogata la liberta' nelle scuole private

Ancor più grave, in termini di principio, quanto l'articolo 15 della Camera statuisce per le scuole solo autorizzate; quelle cioè che non rilasciano titolo di studio.

La legge fascista ancora in vigore prevede che esse applichino programmi "in massima conformi a quelli vigenti per la scuola pubblica". Disinvoltamente, la Camera ha cancellato la formula "in massima" equiparando del tutto la scuola autorizzata a quella parificata nell'obbligo di "applicare i programmi vigenti". Senza porre qui il problema se sia giusto che lo stato detti vincoli programmatici per scuole che non rilasciano titoli, basti notare che abolire la riserva di flessibilità dell' "in massima" comporta mettere senz'altro fuori legge quelle scuole (come quelle steineriane, o le varie scuole americane, svizzere, ecc.) la cui ragion d'essere sta appunto nell'applicazione di programmi in parte diversi da quelli della scuola di stato. Anche qui, in sovrano spregio della libertà costituzionale di insegnamento e dei più elementari principi liberali dello stato di diritto, instaurazione di una e una sola verità pedagogica di stato: non più solo nella scuola pubblica, ma anche in quella privata, spazzand

o via quella riserva, appunto, di ulteriore e piena libertà di insegnamento per assicurare la quale la Costituzione si preoccupa di sancire solennemente il diritto per i privati di aprire scuole, senza oneri per lo stato. Insomma, in omaggio a una demagogia giacobino-populista che si poteva sperare nessuno più, e soprattutto a sinistra, volesse coltivare, soluzioni da stato etico e ideologico più di quanto avesse scritto nelle sue leggi il fascismo in questo campo. E con il risultato di consentire di vivere solo alle scuole private istituite a scopo speculativo, dunque non volte a fornire un insegnamento diverso; o tutt'al più anche a quelle orientate ideologicamente o magari politicamente, di parte dunque, ma tese a far valere la propria differenza esclusivamente sul piano della coloritura ideologica dell'insegnamento impartito, e non su quello delle scelte pedagogiche o didattiche.

La scelta della Commissione del Senato

Posta di fronte a rilievi di questo tipo, la Commissione del Senato ha, in maggioranza, ritenuto di riscrivere l'articolo in questione, in sostanza ristabilendo con chiarezza la situazione oggi vigente in questo campo. La sola soluzione ragionevole, e rispettosa di esigenze fondamentali di libertà, visto che non puo'essere questa legge la sede per meglio regolare organicamente questa materia, come pure occorrerebbe.

Una notazione politica s'impone. Grave che la Camera abbia approvato senza approfondirne le implicazioni (non vi è stato di fatto alcun dibattito in merito) una norma costituzionalmente incredibile come l'articolo 15. Piu' precoccupante ancora che, poste di fronte alle questioni che qui si sono sollevate, alcune forze abbiano ritenuto che si potesse ciononostante sostenere l'opportunità di varare senza modifiche il testo della Camera: come se la Parigi di tempi rapidi nell'introduzione del maestro plurimo valesse la messa di una così pesante violazione dei principi costituzionali di libertà. Veramente sconcertante poi che, una volta che altre modifiche erano state introdotte rendendo comunque necessario un ritorno della legge alla Camera, si sia insistito a votare per il mantenimento dell'articolo 15 tale e quale. Se non altro, pare una scelta di segno contrario rispetto al processo di rinnovamento - positivo, vitale, essenziale per tutta la democrazia italiana - con cui il maggior partito della sinistr

a vuol promuovere una sinistra fondata sulla priorità delle dimensioni del diritto e della libertà

La scuola come problema di cultura e di liberta'

Proprio in questo spirito, invece, per quanto ci riguarda abbiamo sviluppato la nostra iniziativa politica su questo tema. E in questo spirito - quello di chi ritiene che finalmente si debba porre il problema della scuola in primo luogo come problema di cultura, di educazione, e dunque di libertà, collocando in secondo piano altre istanze - si sono ricercate e difese convergenze politiche con tutti quanti fossero disposti a muoversi su questo terreno. Che è poi il terreno su cui misurare i termini obiettivamente nuovi in cui, in una società tanto cambiata, si pongono i nomi, le bandiere e i confini di antiche contrapposizioni o di nuove convergenze anche fra chi giunge dalla tradizione politica laica e chi e' portavoce di quella cattolica.

In questo spirito, comunque, si vuol proporre questa relazione. La quale non è volta, evidentemente, a illustrare la posizione di chi scrive circa i miglioramenti, ma anche i peggioramenti, che su vari aspetti (orari, tempo prolungato e tempo pieno, supplenze, composizione delle classi, ecc.) sono stati apportati al testo della Camera: su questo si puo' ben rinviare agli atti della Commissione. Quel che qui ci si proponeva era di richiamare l'attenzione dei colleghi su alcune riflessioni che - utili o meno starà a loro giudicarlo - comunque investono alcuni delle grandi questioni di principio, e gravide di conseguenze per la vita del paese, che la riforma delle elementari implica e propone.

 
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