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Teodori Massimo - 7 febbraio 1990
Quel che è davvero in gioco con la droga
Massimo Teodori

SOMMARIO: Dietro le norme previste dal disegno di legge governativo sulla droga c'è un drammatico inganno: far credere alla gente che quella legge è la strada per vincere la droga, mentre è solo un vicolo cieco, perché i meccanismi operativi previsti sono impraticabili, perché non offrirà un supporto alle strutture per la cura dei tossicodipendenti, perché l'aggravamento delle pene non sarà un deterrente. Ma lo scontro e la posta in gioco non riguarda in realtà il merito della proposta, bensì il suo valore politico di immagine, come ben sa la leadership socialista.

(La Repubblica del 7 febbraio 1990)

I tratti caratterizzanti il disegno di legge governativo sulla droga, già approvato al Senato ed attualmente in discussione in sede referente alla Camera, sono, dal lato teorico, la proclamazione ideologizzante e, dal lato funzionale, l'assoluta impraticabilità dei meccanismi operativi previsti.

La novità su cui tanto si è insistito sta in quella dichiarazione di illiceità (»è vietato l'uso personale di sostanze stupefacenti e psicotrope ) che rassomiglia più ad una grida manzoniana e ad un precetto morale forzosamente tradotto in norma positiva che non ad una legge volta a colpire specifici atti. Gli estensori intendono stigmatizzare una condizione (oggi del consumatore di droghe; domani - perché no? - dell'omosessuale o comunque del diverso) esorcizzandola come disvalore sulla falsariga dello Stato Etico piuttosto che circoscrivere fattispecie penali a cui applicare specifiche pene commisurate alla entità del reato.

Vi è poi il groviglio delle pene e sanzioni amministrative, delle figure designate ad amministrare l'aspetto repressivo della legge (prefetti, questori, carcerieri oltre che magistrati) nonché dei marchingegni burocratici per i tossicodipendenti e per i consumatori casuali di droghe compresi gli spinelli il cui ultimo ed unico risultato sarà l'intasamento dei rispettivi uffici con l'accumulazione di inutili scartoffie più simile alle memorie kafkiane che non alla gestione di un drammatico e urgente problema di grandissima rilevanza sociale.

Lo scontro, tuttavia, non sta avvenendo sul merito della proposta Iervolino-Craxi. Non sono pochi quelli che nel Parlamento e nel paese si rendono conto che, se questo progetto diverrà legge, non servirà né come efficace strumento per combattere la droga e la criminalità ad essa collegata né per offrire valido supporto di mezzi e strutture per la cura dei tossicodipendenti. Non sarà un efficace deterrente l'enorme aggravamento delle pene perché i pesci grossi, domani come oggi, non saranno presi con le mani nel sacco. Non serviranno a nulla tutte le minacce-prediche amministrative di prefetti e magistrati ai tossicodipendenti abituati a ben altro che non al ritiro della patente. Non potranno essere ospitate né nelle patrie galere né nelle comunità quelle centinaia di migliaia o milioni di consumatori anche casuali che sono i destinatari della legge basata sul binomio ritenuto magico illiceità-punibilità.

Gli oppositori della legge sono ormai consapevoli del drammatico inganno che è dietro le norme proposte, e lo sono quali che siano le posizioni culturali e politiche d'origine: da quella radicale, come di chi scrive, basata sulla convinzione che soltanto attraverso ipotesi in direzione antiproibizionista è possibile cominciare ad affrontare adeguatamente una vera lotta alla droga su scala internazionale a quella del mondo cattolico coagulata nel coordinamento "educare e non punire"; da chi vuole soprattutto distinguere eroina e cocaina dalla marijuana a chi giustamente introduce le questioni dell'alcoolismo e del tabagismo alla stessa stregua delle più vistose tossicodipendenze. Quel che ci sta unendo alla Camera è l'imperativo di dovere fermare un'operazione che purtroppo si configura come un grande inganno: far credere cioè alla gente che quella legge è la strada per vincere la droga mentre si tratta solo di un vicolo cieco senza alcuno sbocco concreto.

Il rude richiamo di Craxi ad approvare rapidamente, costi quel che costi, la legge rappresenta un ulteriore segno che la posta in gioco non riguarda il merito della proposta ma il suo valore politico di immagine. Da oltre un anno la leadership socialista ha operato sulla base di un teorema di questo tipo: la droga è al vertice delle preoccupazioni del paese, occorre far credere di combatterla duramente ed una proposta di legge proclamatoria può servire ottimamente a questo scopo; quindi chi vuole la legge è contro la droga e chi si oppone è a favore della droga. I mezzi di comunicazione di massa televisivi, con la mobilitazione di demagoghi (Muccioli...) che rappresentano una minoranza anche tra gli operatori, hanno fatto il resto con la conseguenza che oggi il segretario del PSI sarebbe anche disposto ad andare alla crisi ed alle elezioni anticipate facendo della droga il suo cavallo di battaglia da giocare nei confronti della opinione pubblica moderata e galvanizzata da messaggi ossessivi e fuorvianti.

La partita che si sta giocando in questi giorni ha dunque un duplice risvolto: apparentemente si discute sulla sostanza della legge, sui meccanismi e sugli strumenti che effettivamente possono fronteggiare la diffusione della droga, sugli aspetti criminali e su quelli sanitari e se tali due lati del problema devono essere tra loro intrecciati o invece separati, come noi oppositori sosteniamo. Dall'altro lato c'è chi usa l'immagine della "guerra alla droga" come puro pretesto per uno scontro politico e per lucrare eventualmente sul piano elettorale dalla crisi che potrebbe essere aperta se il diktat di partito non riusciranno ad avere ragione sullo schieramento che nel paese ed ora anche in Parlamento unisce gli uomini di buona volontà, davvero pensosi del modo in cui si può affrontare la droga non attraverso esorcismi moralistici ma con strumenti efficaci.

 
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